giovedì 10 marzo 2011

DANILO MONTINI Racconti del Po - ACQUEFORTI dal 12 al 24 marzo 2011


Galleria "Arianna Sartori"
Mantova - via Cappello, 17 - tel. 0376.324260
Danilo Montini. “Racconti del Po”. Acqueforti
Date: dal 12 al 24 marzo 2011
Inaugurazione: Sabato 12 marzo, ore 17.00. Sarà presentate l’artista.
Intervento: di Wainer Mazza (Cantastorie del Po)
Orario di apertura: 10.00 - 12.30 / 16.00 - 19.30. Chiuso festivi.

Il Centro Studi Sartori per la Grafica presenta alla Galleria “Arianna Sartori - Arte” di Mantova, nella sede di via Cappello 17, dal 12 al 24 marzo 2011, la mostra personale dell’artista mantovano Danilo Montini (Borgoforte 1918) intitolata “Racconti del Po”.
Danilo Montini, che ha già esposto alla Galleria Arianna Sartori nell’ottobre 2002, nel marzo 2009 con la mostra “Sboccia la primavera” e nel marzo 2010 con la personale “Cascinali e borgate del mantovano”, ritorna in questa occasione presentando un ciclo di acqueforti che hanno in comune il soggetto e cioè il grande fiume: il Po.
La mostra sarà inaugurata Sabato 12 marzo alle ore 17.00 alla presenza dell’artista e con l’intervento di Wainer Mazza (Cantastorie del Po).

“Danilo Montini è un artista a tutto tondo, egli pratica infatti oltre all’incisione, prediligendo la tecnica dell’acquaforte, la pittura e la scultura. Per l’incisione egli rappresenta più frequentemente il paesaggio del Po, in pittura predilige la natura morta, mentre per la scultura realizza delle terrecotte quasi astratte che ricordano i rami e i tronchi di legno corrosi dalla permanenza nelle acque del fiume Po.
Mantova si può dire la patria dell’incisione a partire da Andrea Mantegna che l’inventò per passare ai grandi incisori mantovani del ‘500 che, con Giorgio Ghisi, fondarono un’autentica scuola, fino agliesiti più recenti con Polpatelli, zerbinati, Carbonati, Gorni e Giorgi. La tradizione gloriosa mantovana dell’incisione si contrassegna nel quadro della classicità ed anche Montini si colloca in questo ambito. L’incisione in origine venne utilizzata, specie con Marcantonio Raimondi, per divulgare le opere degli artisti più grandi come Raffaello, e quindi senza troppo badare ai mezzi espressivi autonomi che essa aveva. Montini invece valorizza le possibilità di autonoma espressione artistica dell’incisione, impiegando con grande perizia tecnica l’acquaforte, realizzando effetti di luce e di ombra nel paesaggio padano e riuscendo a graduare l’intensità del segno per rendere la profondità e la lontananza degli oggetti rappresentati.
Egli si presenta quindi a Mantova, a più di ottat’anni quasi sconosciuto e quindi una sua mostra personale ha il sapore di una autentica scoperta”.
Giannino Giovannoni, 2002
(dal catalogo: “Danilo Montini. Incisioni”, Arianna Sartori Editore)


“Il momento più emozionante è quando sollevi il primo foglio dalla lastra e lo guardi”. Ha mani grosse Danilo Montini. È stato il cantiere la sua scuola, tra mattoni e calcina. “Allora tutta la tensione che hai accumulato nella preparazione si scioglie ma anziché distenderti nervi e muscoli, un nodo ti sale alla gola: è la commozione nel vedere, ogni volta, anni di prove, di tentativi, di ricerche inglobati nel segno che l’inchiostro ha fissato sulla carta. È quando l’idea che hai preparato, incorporea, nella mente prende forma sul foglio non ancora asciutto e le punta delle dita si coprono di un sentore di umido”.
Per anni Montini ha soffocato la pulsione artistica che urgeva dentro di lui, pressato dalla necessità della vita. È forse per questo che nei pochi momenti che il lavoro di manovalino, prima, poi pian piano, di muratore ed infine di capo-mastro responsabile di altri uomini, gli lasciava libero, correva sulle sabbiere di Po, alla ricerca dei “legni”, che le acque abbandonano nelle sciutte. Sculture che diventavano “sue” senza “perdere” il tempo dell’esecuzione e che quindi raccoglieva con amore, quasi con commozione, come fosse una compartecipazione a quel meraviglioso modellatore che èla Natura, che traduceva in forma concreta le sue “intuizioni” mentre lui era stretto nella morsa della necessità, che l’arte è, per i diseredati, bisogno non primario. Poi, superata abbondantemente la boa di mezza vita, ecco scaturire dalla mano guidata quasi misteriosamente la prima lastra, i primi segni vergati sullo zinco senza sapere nemmeno come fare poi ed il perché di quella traccia sul metallo anziché sul foglio o sulla tela com’è per tutti. La prima ed unica tiratura da un conoscente. “Bisogna rubare con l’occhio e fare con la ragione. Lo strumento più bello che abbiamo è la testa, che fa muovere tutto, anche le mani”. Non si può non ricordare questo percorso di vita, guardando le acqueforti di Montini. Nessuno infatti sospetterebbe l’assenza di scuola, la mancanza di giovanile coltivazione, la carenza di studi specifici dietro al livello ed al valore delle sue opere. Non una caduta di tensione, non una seppur vaga incertezza nella qualità della sua produzione, che raggiunge vette di rara eccellenza nei suoi paesaggi, nelle sue vedute degli amti campi, nei suoi alberi, nelle sue nature morte, quasi che le incisioni nascano dalle sue mani in un naturale, mirabile equilibrio tra tecnica e poesia. Si sente insomma che le opere di Montini vengono da una necessità di vita creativa piuttosto che da un momento di autocompiacimento o d’incauta autostima. Si avverte che la “facilità” delle stesse altro non è che la “felicità” di una vita che ha trovato infine la capacità di dare corpo ad un talento naturale poggiante però su un impegno ed una applicazione costanti tesi non tanto a guadagnare il tempo perduto quanto piuttosto a liberamente e finalmente soddisfare una intima, antica vocazione espressiva”.
Gilberto Cavicchioli, 2003
(dal catalogo: “Danilo Montini. Incisioni”, Arianna Sartori Editore)

“Nelle acqueforti si ritrovano la storia del Grande Fiume, i vapori delle albe e dei tramonti, i campi arati nelle fertili golene, i pioppi che danzano solitari. L’artista amò la visione di questo paesaggio naturale in cui ravvisò la sua scuola ed Accademia, che presto tradusse in opere di pittura, mentre impastava la calcina per i mattoni. (…)”.
Rosaria Guadagno
(da: “Gazzetta di Mantova”, 19 marzo 2010)