Parte il 7 maggio alle
ore 19.00 il primo dei sei interventi di “Wall in progress” progetto
promosso dall’Associazione Culturale BLUorG di Bari e a cura di Marilena
Di Tursi.
Per tutti un muro con cui fare i conti. Un limite, un confine, un insormontabile impedimento o semplicemente una superficie. ‘Wall in progress’ nasce da qui, dall’idea che un gruppo di artisti potesse rapportarsi a una barriera con l’unico vincolo di utilizzarla a piacimento dinanzi un pubblico. Del resto, il titolo di questa rassegna è del tutto autoreferenziale ed è l’unica restrizione imposta ai sei selezionati. Giuseppe Abate, Pamela Campagna, Rosa Ciano, Luca Coclite, Chiara Gatto e Ferenz Kilian, ciascuno rappresentativo di un linguaggio, palesato e reso eloquente nel rapporto con l’inedito e sovradimensionato supporto, coincidente per l’occasione con lo spazio espositivo ‘tout court’. Ognuno degli artisti opera trasformando il muro in tempo reale, davanti agli ospiti durante la serata della vernice, un ‘work in progress’ o, per l’appunto, un ‘wall in progress’, i cui esiti diventano necessariamente imprevedibili. E’ visibile fino al successivo appuntamento quando viene cancellato e sostituito da un nuovo lavoro. Unica memoria dell’ operazione, un video, a testimonianza di un divenire creativo affidato ad un fatale palinsesto che sotterra e annulla il gesto dell’artista.
Il muro come tutti i muri, d’altronde, è invadente, soverchiante, chiude lo spazio della galleria fino ad impedirne l’accesso, è un elemento di separazione tra un "al di qua", dove l’atto creativo è assente, e un "al di là" un territorio irraggiungibile, inesplorato, estraneo, ignoto e ogni volta diverso che riguarda invece l’espressione.
Fin dall’antichità, con l’istituzione della proprietà privata e delle prime forme di Stato, l'uomo è ricorso al muro per tutelarsi, per custodire la propria identità, dal limes romano, alla grande muraglia cinese o alle mura medievali. E i muri nel tempo hanno caratterizzato la storia di interi popoli, mutandone la configurazione ambientale, alzati quasi sempre per disgiungere e escludere, come quello di Berlino, ormai in frantumi o quello invece perfettamente devoto alla sua funzione, tra Israele e la Cisgiordania. Non dissimili i muri della Memoria, lo Yed Vashem e di Praga, in ricordo della Shoah, o quello di Santiago del Cile per i“desaparecidos” e le vittime della dittatura militare, o quelli della Vergogna innalzati costantemente per segregare, estromettere, respingere, fino a quelli di gomma con cui sotterrare colpevolmente misteri e stragi di stato.
E allora il muro, metafora del limite umano, della mancata integrazione, del perdurare di vessatorie convenzioni e di abietti pregiudizi, o, ancora, ‘memento’ di storiche e fatali separazioni, di sacralità protette, obbliga sempre ad una contrapposizione ad un scontro/confronto, nel desiderio inappagabile di valicarlo, o nell'incapacità frustrante di abbatterlo, o forse nella percezione di una esclusione erroneamente coltivata come rassicurante e protettiva.
Pamela Campagna è la prima artista a cimentarsi con il muro da lei riconvertito in una pedana, quindi appoggiato orizzontalmente sul pavimento e infine nuovamente riposizionato nella sua originaria versione verticale. Su di esso la “bailadora” flamenca, Berta Temiño Frade, munita di cuffie balla per 15 minuti al ritmo di una musica che solo lei ascolta mentre allo spettatore resta il suono del “taconear”, ossia dei colpi di tacco sul podio transitorio. Su di esso campeggia uno stencil ‘ton sur ton’, bianco su bianco che i piedi della ballerina opportunamente sporcati di cenere provvederanno a rendere leggibile. Alla fine della danza, generata dal frenetico susseguirsi dei passi, sarà visibile la scritta “Dance until you die”, titolo del lavoro ma anche sintesi di un’idea del ballo quale atto estremo, quale azione di resistenza politica come accade per il collettivo spagnolo FLO6x8 che, suggerisce l’artista, usa il “flamenco” per opporsi al capitalismo. La partica coreutica, per dirla con Paul Valéry, si conferma allora come esperienza capace di schiacciare e calpestare ciò che è reale, di trasfigurare la contingenza, di palesare ciò che non appare e dunque di manifestare con i gesti un altrove spirituale altrimenti invisibile.
“Wall in progress”
Primo intervento - 7 maggio ore 19.00 - Pamela Campagna in collaborazione con Berta Temiño Frade.
A cura di
Marilena Di Tursi
Associazione Culturale BLUorG
Bari , Via M. Celentano 92/94
+39 080.9904379 info@bluorg.it www.bluorg.it
Per tutti un muro con cui fare i conti. Un limite, un confine, un insormontabile impedimento o semplicemente una superficie. ‘Wall in progress’ nasce da qui, dall’idea che un gruppo di artisti potesse rapportarsi a una barriera con l’unico vincolo di utilizzarla a piacimento dinanzi un pubblico. Del resto, il titolo di questa rassegna è del tutto autoreferenziale ed è l’unica restrizione imposta ai sei selezionati. Giuseppe Abate, Pamela Campagna, Rosa Ciano, Luca Coclite, Chiara Gatto e Ferenz Kilian, ciascuno rappresentativo di un linguaggio, palesato e reso eloquente nel rapporto con l’inedito e sovradimensionato supporto, coincidente per l’occasione con lo spazio espositivo ‘tout court’. Ognuno degli artisti opera trasformando il muro in tempo reale, davanti agli ospiti durante la serata della vernice, un ‘work in progress’ o, per l’appunto, un ‘wall in progress’, i cui esiti diventano necessariamente imprevedibili. E’ visibile fino al successivo appuntamento quando viene cancellato e sostituito da un nuovo lavoro. Unica memoria dell’ operazione, un video, a testimonianza di un divenire creativo affidato ad un fatale palinsesto che sotterra e annulla il gesto dell’artista.
Il muro come tutti i muri, d’altronde, è invadente, soverchiante, chiude lo spazio della galleria fino ad impedirne l’accesso, è un elemento di separazione tra un "al di qua", dove l’atto creativo è assente, e un "al di là" un territorio irraggiungibile, inesplorato, estraneo, ignoto e ogni volta diverso che riguarda invece l’espressione.
Fin dall’antichità, con l’istituzione della proprietà privata e delle prime forme di Stato, l'uomo è ricorso al muro per tutelarsi, per custodire la propria identità, dal limes romano, alla grande muraglia cinese o alle mura medievali. E i muri nel tempo hanno caratterizzato la storia di interi popoli, mutandone la configurazione ambientale, alzati quasi sempre per disgiungere e escludere, come quello di Berlino, ormai in frantumi o quello invece perfettamente devoto alla sua funzione, tra Israele e la Cisgiordania. Non dissimili i muri della Memoria, lo Yed Vashem e di Praga, in ricordo della Shoah, o quello di Santiago del Cile per i“desaparecidos” e le vittime della dittatura militare, o quelli della Vergogna innalzati costantemente per segregare, estromettere, respingere, fino a quelli di gomma con cui sotterrare colpevolmente misteri e stragi di stato.
E allora il muro, metafora del limite umano, della mancata integrazione, del perdurare di vessatorie convenzioni e di abietti pregiudizi, o, ancora, ‘memento’ di storiche e fatali separazioni, di sacralità protette, obbliga sempre ad una contrapposizione ad un scontro/confronto, nel desiderio inappagabile di valicarlo, o nell'incapacità frustrante di abbatterlo, o forse nella percezione di una esclusione erroneamente coltivata come rassicurante e protettiva.
Pamela Campagna è la prima artista a cimentarsi con il muro da lei riconvertito in una pedana, quindi appoggiato orizzontalmente sul pavimento e infine nuovamente riposizionato nella sua originaria versione verticale. Su di esso la “bailadora” flamenca, Berta Temiño Frade, munita di cuffie balla per 15 minuti al ritmo di una musica che solo lei ascolta mentre allo spettatore resta il suono del “taconear”, ossia dei colpi di tacco sul podio transitorio. Su di esso campeggia uno stencil ‘ton sur ton’, bianco su bianco che i piedi della ballerina opportunamente sporcati di cenere provvederanno a rendere leggibile. Alla fine della danza, generata dal frenetico susseguirsi dei passi, sarà visibile la scritta “Dance until you die”, titolo del lavoro ma anche sintesi di un’idea del ballo quale atto estremo, quale azione di resistenza politica come accade per il collettivo spagnolo FLO6x8 che, suggerisce l’artista, usa il “flamenco” per opporsi al capitalismo. La partica coreutica, per dirla con Paul Valéry, si conferma allora come esperienza capace di schiacciare e calpestare ciò che è reale, di trasfigurare la contingenza, di palesare ciò che non appare e dunque di manifestare con i gesti un altrove spirituale altrimenti invisibile.
“Wall in progress”
Primo intervento - 7 maggio ore 19.00 - Pamela Campagna in collaborazione con Berta Temiño Frade.
A cura di
Marilena Di Tursi
Associazione Culturale BLUorG
Bari , Via M. Celentano 92/94
+39 080.9904379 info@bluorg.it www.bluorg.it
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Amalia di Lanno