lunedì 4 febbraio 2013

Mario Cresci / D'après Retablo

Mario Cresci
Mostra / D'après Retablo
Gallery Photology - Milano - 7 Febbraio / 5 Aprile 2013

Dice Sciascia, a proposito di Retablo, il libro di Vincenzo Consolo: “…si può dire, per quel che vi si svolge e per come è scritto, che questo racconto è come un miracolo: il che peraltro, esattamente si conviene alla parola retablo, di solito i retablos in pittura rappresentano le sequenze di fatti miracolosi ”.
E' nel prelievo di questa“ incantata e incantevole fissità di un cangiare e trepidare
di linee, di colori, di eventi luministici “ che si orientano, in questo mio progetto, la messa in scena e l'azione diretta sulla natura, con il desiderio di creare immagini dentro a una metaforica realtà dei luoghi e delle cose. Non una fotografia premeditata e rispettosa del reale, quanto piuttosto, una fotografia lasciata aperta allo sguardo nel tempo del viaggio, ma anche all'istante in cui si manifesta l'imprevisto. Non solo quello retinico del vedere in una frazione di secondo una casuale congiunzione prospettica delle cose o un'apparizione, o un piccolo e apparentemente insignificante e quasi invisibile evento, ma anche quello sensoriale del sentire dentro di sé, nei momenti di pausa e di silenzio, lontano dal brusio dei paesi e delle cttà una straordinaria empatia con l'ambiente, la natura e le persone.
Sono attimi di innamoramento che non hanno nessuna logica o premeditazione, ma che aprono il pensiero, la mente e il corpo, per cui l'atto del fotografare non è che la parte terminale di un processo culturale e sensoriale riemerso dal profondo e reso visibile attraverso le immagini.

Prima di partire per la Sicilia, dove mi sarei fermato per tutto il mese di ottobre del 2012, avevo solo in mente alcune riflessioni ricavate dalla lettura del romanzo di Consolo e del significato emblematico del titolo del libro.
In Retablo il protagonista, un viaggiatore che viene dal nord Italia, scopre un territorio e una geografia umana sentite come impreviste rivelazioni di senso, di cose e di parole che si incrociano tra loro, reinventando una realtà che non è solo memoria antica di tradizioni secolari, quanto piuttosto la via per entrare nel pensiero e nel sentimento di una narrazione che si arrende continuamente alla magia della parola e che apre lo sguardo alla profonda e arcaica bellezza di quella terra.
Arrivato in Sicilia ho semplicemente seguito le impressioni dovute alla lettura del romanzo e ho cercato di trovare in me stesso un minimo di orientamento, una parvenza di idea che mi aiutasse a disegnare nella mente un particolare viaggio, il più possibile dentro a ciò che ogni giorno incontravo, chiudendo spesso gli occhi sulle ferite inflitte dall'ignoranza dell’uomo alla natura e all'ambiente. Anche Consolo si sarà domandato come doveva essere la Sicilia di quel tempo ormai lontano, nel quale diede vita al suo racconto immaginando natura e luoghi non più reali, ma ancora presenti attraverso le tracce del passato. Ho pensato, nei limiti delle mie possibilità, che avrei potuto seguire un'idea simile alla sua nella ricerca di un'ecologia dello sguardo e attraverso l’uso della fotografia cogliere il rapporto tra il mio sé e il segno magico delle cose che volevo scoprire nella dimensione del non visibile.

Con il passare dei giorni, dal Palmento restaurato in cui ero ospite, alla campagna con le riserve archeologiche e naturalistiche delle aree intorno a Noto, andando verso le spiagge ormai vuote, lungo le coste di Pozzallo all'estremo sud della Sicilia e nei riflessi di un limpido mare dai colori cangianti, il non visibile assumeva il senso del visibile nella ricerca di un mia particolare scrittura d'immagini. Mi sembrava finalmente di cogliere ciò che inconsciamente desideravo vedere e nella più ampia libertà di pensiero: stavo uscendo dalla realtà percepita all'inizio del viaggio per entrare in quella misteriosa e magica che avevo incontrato nel racconto di Consolo.
Così l'idea del Retablo descritto nelle sue parole si imponeva su tutto ciò che vedevo e sentivo, dai più piccoli segni impressi nella sabbia, impronte di insetti misteriosi, alle tracce lasciate durante la notte da lumache, grilli, cavallette e lombrichi sulle pareti della casa che mi accoglieva, sino alle vaste colture dei fichi d'india, che la circondavano da decenni, e poi ai carrubbi, alle olive cadute sul terreno, agli alberi e alle bacche del pepe rosa, agli odori e ai silenzi che segnavano i momenti degli sguardi e delle attese per cogliere le “giuste luci” del giorno e della sera, prima di fotografare.
Pensando al senso delle mie immagini che stavano nascendo, mi ritrovai ad identificarle con una frase di Consolo, che in una delle ultime interviste, considerava la sua scrittura non come forma comunicativa quanto piuttosto come forma espressiva: iniziai così il mio lavoro di messa in scena della natura.
A Vincenzo Consolo dedico questo mio appassionato contributo creativo.

Mario Cresci
Maggiori info: http://www.photology.com/

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Amalia di Lanno