martedì 2 dicembre 2025

Angelo Casciello, Sospesi nell’aria



Sabato Angiero Arte è lieto di presentare la mostra personale di Angelo Casciello dal titolo Sospesi nell’aria. La mostra prende forma intorno a un imponente intervento site-specific, che trasforma la sala più grande della galleria in un unico ambiente immersivo. Sulle pareti bianche, per oltre cinquanta metri, corre un tratto continuo di pittura a carbone: un fluire di linee essenziali, non figurative, capaci però di evocare ritmi musicali, ricordi infantili e la visione aerea di un paesaggio trasfigurato, sospeso tra leggerezza e malinconia. Accanto al tratto scuro di carbone che percorre la sala, un segno più chiaro crea l’illusione di un’ombra proiettata, suggerendo la presenza di una struttura tridimensionale, aderente alle pareti. Una percezione che si amplifica nel dialogo con le altre opere in mostra: strutture metalliche sospese o applicate a pochi centimetri dal muro, piccoli teatrini metafisici e frammenti di paesaggi interiori, ormai del tutto trasfigurati ma di cui rimane traccia nei titoli (Nel vento, Brezza estiva, Canto all’imbrunire). Il percorso si sviluppa così all’interno di un ambiente attraversato dalla luce, scandito da ritmi e pause, dove è facile sentirsi a propria volta sospesi, quasi nell’aria.

La mostra si conclude con una saletta più intima, dedicata a una selezione di dipinti: uno spazio raccolto, pensato come invito alla sosta e alla familiarità, dove Casciello sembra invitare ancora una volta il visitatore a un dialogo silenzioso e personale.

Alla mostra, sarà dedicato un catalogo a tiratura limitata, contenente un foglio originale del maestro A. Casciello, un repertorio di immagini del fotografo P. Maisto che racconta l’esposizione realizzata specificamente per la galleria e il saggio introduttivo di G. Motisi curatore dell’esposizione.

Angelo CASCIELLO, già professore ordinario presso l’Accademia di Belle Arti di Brera - Milano, nasce a Scafati (Salerno) il 9 settembre del 1957. Scultore e pittore. Il suo esordio nel mondo dell’arte risale al 1975. Nel 1979 tiene una mostra personale a Napoli alla Galleria Lucio Amelio nell’ambito della Rassegna della Nuova Creatività del Mezzogiorno. Si impone sulla scena nazionale e internazionale nel 1986 partecipando alla XI Quadriennale di Roma e alla XLII Biennale di Venezia dove sarà presente negli anni 2006 e 2011.

«Siamo diventati dei veri patiti di strade secondarie»
R.M. Pirsig, Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, 1974

Qualche settimana fa, appena salito in macchina fuori dalla stazione di Scafati, la prima cosa che Angelo Casciello mi ha detto è stata: «io sono un uomo materiale». La strada verso Saviano – mezz’ora scarsa, tra il traffico irregolare dei comuni vesuviani, la luce intensa dell’estate di San Martino e i profili delle montagne che da queste parti, a volte, sembrano spingere l’orizzonte improvvisamente verso l’alto – è stata sufficiente per capire come quella frase fosse tutt’altro che una posa. Si trattava, al contrario, della dichiarazione più schietta e precisa di come Casciello concepisce il proprio stare al mondo, oltre che, come conseguenza quasi inevitabile, la sua stessa pratica artistica: un contatto diretto, necessario, talvolta fisico con le cose – un istinto a dare nuova forma a tutto ciò che lo circonda, con la stessa felicità e naturalezza con cui un bambino è capace di costruire storie e paesaggi con i pochi materiali che si trova portata di mano. Usciti dal centro di Scafati, mentre fuori dal finestrino cominciava a delinearsi un tessuto urbano frammentato, fatto di interruzioni, punti morti e improvvise aperture di luce, alcune sculture monumentali di Casciello comparivano da dietro l’inferriata di un deposito all’aperto: strutture imponenti, felici e inquiete. Guardandole, è facile pensare a stravaganti forme di vegetazione locale: piante affamate di luce e di suoni, cresciute spontaneamente dal suolo vulcanico malgrado le successive colate di cemento. Impossibile, invece, non leggerle come estensione diretta, quasi involontaria, dell’uomo seduto al posto del passeggero: un artista dall’entusiasmo contagioso, in grado di passare in pochi secondi dal racconto appassionato alla risata improvvisa, sempre in cerca di uno scambio, di una relazione con l’esterno. L’opera, per Casciello, non è mai un oggetto astratto, isolato, ma il risultato di un dialogo continuo con il proprio territorio, i propri ricordi, le proprie visioni. Con queste immagini ancora addosso, arrivare alla Sabato Angiero Arte suscita un piccolo scarto percettivo. La galleria – spazio discreto, quasi mimetizzato tra le villette a un passo dai campi – accoglie una mostra che, a un primo sguardo, sembrerebbe quasi smentire l’idea di Casciello «uomo materiale». L’allestimento si presenta elegante, essenziale, scandito da bianchi e neri, intervalli e sospensioni perfettamente misurate. Eppure, bastano pochi minuti per accorgersi di come questa leggerezza non abbia nulla di freddo. Nessuna astrazione. Nessun tentativo di barricarsi nella logica della pura forma – o peggio, preciserebbe Casciello, della teoria. Anche qui, seppure in maniera più distillata, continua a vibrare la stessa fedeltà al mondo, lo stesso piacere del toccare e del dare forma concreta: come se Casciello avesse trasformato la materia in ritmo, in personale respiro visivo. Il vero cuore della mostra è Andante malinconico (2025): l’intervento site specific che percorre per oltre cinquanta metri le pareti della sala principale. Una pittura a carbone che, di primo acchito, dà la sensazione di trovarsi di fronte a una struttura metallica tridimensionale: un dispositivo costruito nello spazio e che sembra proiettare la propria ombra lungo i muri. In realtà, le linee più scure, tracciate con il gesto ampio e sicuro di chi senza una matita in mano sente subito di aver perso qualcosa lungo la strada, sono meticolosamente messe in rapporto con un sistema di segni più chiari, che ne offre una sottile e calcolata eco luminosa. Le traiettorie che si inseguono, si sovrappongono e si diradano finiscono in questo modo per evocare ritmi e riverberi musicali, ma anche ricordi di paesaggi visti a volo d’uccello, forse sognati, e ormai del tutto trasfigurati: una geografia mentale in cui il segno si fa strada, battito, fuga. Il visitatore non può che entrarci dentro, muoversi seguendo il variare dei segni, abitare questo spazio fatto di pause e accelerazioni continue. Difficile poi, camminando in mezzo al brusio e alle voci di chi ci sta intorno, non sentire il desiderio di ritornare in questo ambiente da soli – a sala vuota – per ascoltare il silenzio dell’opera e ripercorrere le ore che Casciello ha trascorso qui, tracciando i suoi ritmi lungo le pareti. L’illusione di tridimensionalità del grande intervento murale si amplifica nel dialogo con le sculture in ferro – tutte realizzate nel corso dell’ultimo anno – esposte nelle sale vicine: opere sospese, fissate al soffitto o a pochi centimetri dalle pareti, che condividono la stessa leggerezza e lo stesso andamento musicale del disegno a carbone. Alcune grandi sculture – Perplesso, Nel vento, Sospeso nell’aria, La nascita della luce, Malinconia antica – sfiorano i due metri di altezza e si innalzano come totem familiari e benevoli. Si tratta di strutture per lo più verticali, slanciate, che sembrano ricordare paesaggi e memorie trasformate in scrittura personale. Hanno qualcosa della scala ingrandita di un disegno infantile: come se una mano, seguendo un impulso di gioia e curiosità, avesse liberato sulla carta – e poi nello spazio – dei motivi nati dal puro piacere di combinare forme e linee. È forse questa spontanea felicità del gesto, questa prospettiva istintiva e immediata, l’aspetto che rimane maggiormente impresso nelle curve di questi oggetti. Accanto a questi lavori, alcune sculture di dimensioni minori, come La clessidra, Il cuore della foresta o Brezza estiva, appaiono come piccoli teatrini sospesi, scenografie intime e metafisiche. Casciello, per una volta, gioca a travestirsi da Fausto Melotti – un Melotti che tuttavia, alla purezza assoluta delle forme, non riesce a fare a meno di sovrapporre un richiamo sottile ma continuo al suo primo e indimenticabile amore: il mondo. Si riconoscono anche qui le tracce di una passione di lunga data per il disegno: in queste opere, alcuni interventi con il ferro filato sembrano quasi voler tradurre puntualmente nello spazio quello che, in origine, era il tratto della matita sul foglio. Si fa volutamente sottile, talvolta, il confine tra il bozzetto e l’opera compiuta, tra ciò che apparterrebbe all’esercizio privato e ciò che invece viene offerto allo sguardo del pubblico. Nessuna sorpresa: Casciello ama ancora giocare a carte scoperte, aprendo costantemente all’osservatore le porte della sua officina – fisica e mentale –, come a voler offrire la possibilità di misurare in prima persona la grammatica e le regole che stanno alla base del suo lavoro. La visita si chiude con una sala più piccola, quasi domestica: un camino, un divano, un tavolino. Alle pareti, piccoli acrilici su tela che riecheggiano i motivi del grande intervento murale e delle sculture in ferro. In questo spazio, Casciello ha inserito anche due piatti, da lui realizzati qualche anno fa, e un unico quadro rosso, che interrompe il dualismo bianco-nero dell’intera mostra. È un gesto volutamente semplice, accogliente: un invito a ‘ritornare a terra’ e a parlarsi da amici, dopo essere rimasti per un po’ sospesi nell’aria. È il saluto di un artista che, ancora una volta, non sa rinunciare all’incontro con tutto ciò che sta al di fuori di sé. La mostra apre una finestra preziosa sul lavoro di Casciello: una pratica che nasce dal contatto con la materia e con il mondo, e che allo stesso tempo è capace di elevarsi in strutture leggere, ritmiche, percorse da una segreta malinconia ma anche da quella schietta gioia del fare che appartiene ai gesti più basilari dell’uomo. In ogni linea e in ogni curva rimane incastrato un brusio di memorie, suoni e sensazioni: urla, preghiere, sogni interrotti, ma anche una risata scappata per sbaglio in un pomeriggio di tanti anni fa, poi dimenticata. I segni diventano ritmi e paesaggi. Le sculture, con un po’ di vento, potrebbero oscillare come rami, o come quinte di piccoli teatri di luce. Sospesi nell’aria offre così l’opportunità di muoversi in uno spazio che si presenta insieme concreto e immaginario, intimo e collettivo. Uno spazio amico da attraversare, abitare e, forse, tornare a visitare quando tutto tace.


Angelo Casciello. Sospesi nell’aria
Testo di Giorgio Motisi

Sabato Angiero Arte – Saviano (NA)
12 dicembre 2025 ore 18.00



Via Padre Girolamo M. Russo, 9 - Saviano (Na)