Il Mattino ha Lory in bocca, installation view, Bari, 2023
Conferma il suo potenziale di festa e di pubblico la mostra da balcone curata da Francesco Paolo Del Re, visitabile fino a domenica 27 agosto. E gli abitanti del quartiere Madonnella a Bari mettono già a disposizione altri balconi per l’anno prossimo.
Non passano inosservate le opere d’arte appese dal 19 al 27 agosto 2023 ai quattro cantoni di un incrocio di Bari, tra via Dalmazia e via Spalato, nel popolare e vivace quartiere di Madonnella, a due passi dalla casa natale di Pino Pascali e dalla pinacoteca metropolitana intitolata a Corrado Giaquinto. Anzi sono numerosi i visitatori accorsi, sia in occasione dell’inaugurazione che nei giorni successivi, a vedere la seconda edizione della mostra-evento “Il mattino ha Lory in bocca”, nata da un’idea del curatore Francesco Paolo Del Re e da lui organizzata insieme ai collezionisti Loredana Savino e Matteo De Napoli, che abitano proprio in via Dalmazia.
“Centinaia di persone – commenta Francesco Paolo Del Re – vengono a trovarci, attratte dalla curiosità dell’iniziativa. Senza contare gli innumerevoli passanti che, anche senza volerlo, diventano attori di un’operazione artistica che non si limita a essere un’esposizione di opere, ma diventa un più elaborato dispositivo di comunicazione. È il quartiere stesso a mostrarsi ed è proprio l’interazione con gli abitanti del luogo ad attivare e vivificare gli interventi degli artisti. La popolazione di Madonnella non si trova a essere un soggetto passivo, ma il vero motore dell’evento, che è allo stesso tempo una festa di quartiere e un’occupazione giocosa e insurrezionale che risignifica gli spazi e mette in subbuglio abitudini, aspettative, desideri, immaginario e sogni”.
“Amplificando tutto il suo potenziale fantasmagorico e persino sovversivo – prosegue il curatore – l’arte dunque si ritrova in mezzo alla strada e qui si mostra, fuori dai tradizionali contesti espositivi che segnano inevitabilmente barriere e limiti. ‘Stare fuori come un balcone’ è il motto ironico che accompagna la mostra: non solo un invito a rompere le regole, ma anche un modo concreto di dimostrare agli artisti che non bisogna aspettare che qualcuno dall’alto dica loro cosa fare. In assenza di spazi e di progettualità specifiche per l’arte contemporanea, gli artisti hanno il compito di organizzarsi e appropriarsi di spazi non convenzionalmente attribuiti all’arte, trasformandoli per il tempo necessario in inusitati territori di liberazione e aggregazione e ripensando, nell’esperienza di una condivisione, il modo di essere parte di una comunità”.
“È stata una bellissima festa!”, dichiara Loredana Savino, organizzatrice dell’evento. “Mi rende felice – spiega – la curiosità degli abitanti del quartiere, il loro interesse per le opere esposte e la volontà di essere protagonisti nelle prossime edizioni”. A fare un bilancio della manifestazione e un confronto con la prima edizione è Matteo De Napoli. “È un’esperienza – dice – che diventa sempre più intensa con persone sempre più amiche e con artisti sempre più bravi a cui offrire piacevolmente la nostra ospitalità”.
Se l’anno scorso il balcone era uno, quest’anno sono stati una decina gli appartamenti “abitati” dagli artisti, con balconi “parlanti”. Sono stati gli stessi abitanti delle palazzine affacciate sull’incrocio a proporsi e offrire le loro ringhiere. La voglia di prendere parte all’iniziativa e di far crescere la mostra, nella prospettiva di un terzo appuntamento espositivo da organizzare nel 2024, è contagiosa e stanno arrivando numerose nuove adesioni da parte della popolazione di Madonnella, che si riconosce in questa festa d’arte e vuole sostenerla e promuoverla. Accessibile liberamente da chiunque passi per strada e in qualunque momento della giornata, la mostra presenta le opere di diciannove artisti, che si mostrano con la leggerezza del bucato steso al sole. Non ci sono solo dipinti, ma anche sculture, fotografie, video, installazioni: tutti interventi costruiti su misura o ripensati per l’occasione da Natascia Abbattista, Mariantonietta Bagliato, Pierluca Cetera, Guido Corazziari, Marika D’Ernest, Sabino de Nichilo, Elisa Filomena, Nunzio Fucci, Simona Anna Gentile, Iginio Iurilli, Pierpaolo Miccolis, Ezia Mitolo, Mario Nardulli, Patrizia Piarulli, Stefania Pellegrini, Fabrizio Provinciali e Fabrizio Riccardi. Accanto alle loro opere, due citazioni di Cristiano De Gaetano e Jolanda Spagno, due bravissimi artisti pugliesi che non ci sono più.
LE OPERE DELLA SECONDA EDIZIONE DELLA MOSTRA DA BALCONE
Passando in rassegna le opere della seconda edizione mostra, è dall’imbrunire in poi che si può apprezzare “Morbus sacer” (2014-2023), la videoinstallazione Natascia Abbattista che proietta una grande figura ieratica e dolente sul margine destro della parete di via Dalmazia, con il mare e la torre del palazzo della provincia a fare da sfondo. Si interroga Abbattista (facendo sue le parole di Roberto Lacarbonara che aveva presentato per la prima volta il video in mostra): “Chi è che decide del buon senso, del giusto e dell'inopportuno, del folle e del santo? Se occorre individuare un grado zero della follia bisogna rintracciare il momento in cui essa viene separata dalla non-follia, mettendo in discussione le unità interamente date: date dalla storia come oggetto di verità conoscitiva, date come assolute. Operando un’aggressiva decostruzione della mia immagine e agendo tra ironica stravaganza e drammatica deformazione, rievoco il percorso analitico tracciato da Jean-Martin Charcot nel trattamento delle malattie mentali. Charcot, uno tra i maggiori neuropsichiatri del XIX secolo, operò nell'istituto parigino Salpêtrière dove condusse i suoi studi sull’isteria epilettiforme, definendola come una nevrosi che si manifesta con attacchi di estremo parossismo. Attraverso una accuratissima ricerca fotografica il medico documentò fasi e anatomie isteriche, soffermandosi in particolare sulle impressionanti forme di ‘attitudes passionelles’ legata alle strazianti fasi allucinatorie”. Proprio queste fotografie sono il punto di partenza delle deformazioni che Abbattista imprime sul suo viso e sul suo corpo.
Sono sculture morbide e imbottite, realizzate con stoffe, scampoli di pizzi e paillettes, i quattro “Colombi” di Mariantonietta Bagliato, realizzati appositamente per la mostra e collocate in bilico su una ringhiera in modo da comporre un’installazione. “L’idea di ‘Colombi’ – spiega la scultrice barese – nasce dall’invito alla partecipazione alla mostra dai balconi ‘Il mattino ha Lory in bocca’. L’installazione site specific riprende la funzionalità del balcone come riparo cittadino per i piccioni, colombi e vari uccelli. La lotta tra gli abitanti delle case e questi volatili che occupano gli spazi umani avviene spesso con strambi rimedi da parte dell’uomo”.
Pierluca Cetera occupa interamente il primo piano affacciato su via Spalato di una palazzina ad angolo, con un’imponente e suggestiva tela di sei metri di lunghezza e quattro di altezza: è l’intervento più grande dell’intera mostra. “Date il pane al pazzo cane, date il pane al cane pazzo”, questo è il titolo dell’opera, è un dipinto a olio e acrilico su tela del 2010, ripensato nel 2023 nella forma di un’installazione ambientale. “La scena si divide in due parti”, racconta Cetera. “A sinistra un gruppo di figure nude, con un uomo di spalle, una donna seduta con in grembo un cane e una ragazza inginocchiata. Queste figure appaiono illuminate come da un riflettore ad “occhio di bue” teatrale e guardano lateralmente nel vuoto della tela. A destra, in piedi, vi è un’altra figura nuda di un uomo albino che guarda in avanti. Il soggetto vuol rappresentare un gruppo familiare in cui sono messe a nudo comportamenti sconvenienti e bestiali. Il personaggio a destra è come un voyeur che spia i comportamenti peccaminosi e li censura, infatti è rappresentato impassibile mentre guarda in avanti, mentre i personaggi del gruppo familiare guardano lateralmente nel vuoto capendo di essere stati spiati. L’intera scena è concepita con un intento narrativo che invita gli spettatori a ricomporre la vicenda. Come uno scioglilingua ci ripete che tra le mura domestiche possono nascondersi bestialità”.
Proprio accanto all’opera di Cetera trova posto sulla ringhiera di un balcone un trittico pittorico di Guido Corazziari, un artista residente proprio a Madonnella, che presenta la serie “Porn Food” del 2021, tre acrilici su tele misuranti rispettivamente di centimetri 80 per 80. Ecco come Corazziari racconta dal suo punto di vista l’opera e la ricerca all’interno della quale essa si inserisce: “‘Porn Food’ è il dettaglio, il particolare, che diventa feticcio. Il cibo, come il sesso, vivono la dimensione del ‘troppo’, propria del piacere mai del tutto soddisfatto. La ‘gola profonda’ scambia e confonde il cibo con la vita stessa”.
Di grande impatto sul pubblico è l’installazione di Marika D’Ernest “Un’altra cena rovinata”, da lei pensata appositamente per la mostra sui balconi. Su una ringhiera vengono stesi tovaglioli ricamati del corredo della nonna, su ciascuno dei quali l’artista scrive con colore per serigrafia una lettera per comporre un messaggio che colpisce per il suo messaggio politico e sociale. “La mia installazione – argomenta – prende il nome dal libro di Sara Ahmed ‘Un’altra cena rovinata’. La frase dipinta con colore da serigrafia è presa da ‘Parole d’amore’ di quel simpaticone misogino di Guy de Maupassant. Dipinta sui tovaglioli da tavola del corredo che mia nonna ha destinato a mia madre, mia sorella e a me: la dote. Crescere in un contesto patriarcale significa (tra le altre cose) tenere la bocca chiusa soprattutto a tavola, zittite in continuazione per non rovinare la cena con le nostre idee di libertà e autodeterminazione. Interiorizza il limite. È davvero un guaio il fatto che noi finalmente parliamo: un guaio per voi! È un invito a parlare, a denunciare, a disordinare”.
Nel decennale della sua prematura dipartita all’età di 37 anni, viene omaggiato l’artista Cristiano De Gaetano con la proiezione su un muro del video “Incubo” del 2003, da lui realizzato in occasione di una mostra dedicata a Erik Satie e allestita nella casa natale del compositore Niccolò Piccinni a Bari. È lo stesso artista tarantino il protagonista della visione onirico-musicale raccolta nel video, nel quale si incontra appunto con Satie, Adolf Hitler e Pablo Picasso.
Una installazione al centro del crocevia, leggera e surreale, è stata pensata da Sabino de Nichilo, che la realizza assembla dei coloratissimi scovoli per le pulizie, facendo assumere a essi la forma di una freccia vagamente zoomorfa, che intitola “Via Dalmazia 58”. Cos’è questo indirizzo? Spiega de Nichilo: “Il mio è un omaggio a Pino Pascali, collocato al centro dell’incrocio tra via Dalmazia e via Spalato a cinquanta metri dalla casa natale dell’artista. Una freccia, realizzata con i materiali da lui impiegati per i celebri ‘Bachi da setola’, indica la direzione precisa della sua abitazione, dove una targa ricorda ai passanti l’importanza del luogo. Sospesa in aria e ancorata ai cavi elettrici mai dismessi del vecchio filobus, è un monito ironico a non dimenticare e insieme una decorazione temporanea per una festa di quartiere, che oscilla al vento come uno strano pesce volante, fluttuante contro il cielo azzurro di agosto”.
È una grande tela dipinta nel 2022 con pennellate leggere e ritmiche il “Satiro” di Elisa Filomena, un’artista che vive e opera a Torino. “L’opera – racconta Filomena – è stata dipinta dopo una resistenza tenuta presso la Fondazione Lac o Le Mon a San Cesario di Lecce. Le forze telluriche e lo spirito ancestrale della terra si sono rivelate in me in una interpretazione della figura mitologica greca. La Puglia è la mia terra d’origine, viverla e dipingere un omaggio alla sua natura e alla sua storia è stato un atto spontaneo. Probabilmente, in modo inconscio, ho elaborato le mie origini più profonde, confrontandomi con il mondo e con la cultura da cui deriva il sangue che mi scorre, di generazione in generazione, nelle vene e nella pittura”.
Pugliese di nascita ma residente in Piemonte è Nunzio Fucci, che sceglie di dipingere su un lenzuolo della nonna un’opera “Senza titolo”. “Chi di noi non ha mai inseguito una faraona?”, si domanda. “Questo uccello galliforme con una livrea di un grigio ipnotico e una testa azzurrognola e glabra, mia nonna con rispetto lo chiamava ‘la jaddina faraon’. La simbologia qui non c’entra e nemmeno l’allegoria: quest’opera è un fermo-immagine ripescato dai cassetti della mia memoria, delle giornate passate a inseguire il pennuto, quando da bambini ‘si andava a caccia’ della faraona scappata dal pollaio. Nel mio bestiario personale, la faraona ha un posto di eccellenza e non perché simboleggia la resilienza dell’essere vivente o la sua adattabilità all’ambiente ma perché, quando corre, sembra avere le ruote”.
Si presenta stesa su una ringhiera anche “Babushka’s Dream”, l’opera di Simona Anna Gentile, datata 2019, che mette insieme pittura e collage di tessuti. “La base del mio lavoro – spiega la giovane artista tarantina – è l’utilizzo dei tessuti, siano scampoli o lunghi rotoli, che accolgono racconti e suggestioni visive”. L’opera è presa da un ciclo più ampio di lavori. “In ‘Babushka’s Dream’ – prosegue – riprendo la funzione di un polittico rinascimentale”. L’intervento si caratterizza, secondo l’artista “per i suoi contenuti onirici e altamente significativi per il luogo in cui sono allestite queste opere”. “La sfida– conclude – è focalizzarsi sul linguaggio non verbale, prestare l’attenzione a ciò che non è esplicito visivamente e concedersi per pochi istanti all'analisi necessaria per controbattere la velocità delle informazioni, delle relazioni, delle esperienze che la contemporaneità continua ansiosamente a imporci”.
Ha festeggiato il suo ottantesimo compleanno proprio nei giorni della mostra l’artista Iginio Iurilli, che su uno dei balconi presenta il dipinto “Senza luce”, una variazione sull’idea della cerbottana e dei giochi infantili, temi sui quali da tempo la sua ricerca si concentra. “Il mio mare bianco alla finestra – racconta Iurilli – sciorina il colore e la forma conica dei tanti cartocci scaturiti dalla memoria di un'infanzia felice fatta di semplici giochi e di pure emozioni”.
Pierpaolo Miccolis riprende un’antica coperta di lana e su di essa sembrano manifestarsi due figure in tela di cotone nell’opera “Revealed (talk to me)”, realizzata appositamente per la mostra e fatta sciorinare dal secondo piano di via Dalmazia dall’artista, che racconta: “Una vecchia coperta realizzata a telaio intorno agli anni 50/60 fa da sfondo a due sagome che sembrano riposare poggiate sopra di essa. Le due figure teriomorfe, come suggerisce il titolo dell’opera, sono riprese nell’atto intimo del confidarsi (rivelati, parlami), rappresentate prive di caratteri distintivi, come ombre del passato o spiriti. Rifletto spesso su quanto gli oggetti di uso comune siano coprotagonisti di tanta vita. Immagino questa coperta ascoltare pensieri, confidenze, litigi e vivere l’amore per mezzo di chi l’ha vissuto sotto di essa, i maltrattamenti della cenere nel bucato e delle striglie dalle setole dure. La nostra idea di affezione ad un oggetto si traduce in molte religioni, tra cui lo shintoismo, nella creazione di un’anima all’interno di esso. Appropriandomi liberamente di questo concetto, mediante l’idea di spiritualità libera, mi piace affermare che ‘Revealed’ sia non solo un’opera, ma un oggetto che reca in sé un’anima”.
Una serie di singoli elementi scultorei, solidi eppure leggerissimi perché ricavati lavorando vecchie lenzuola con la resina, compongono l’articolato andamento site specific dell’installazione “Forse c'è scampo” della tarantina Ezia Mitolo. “L’installazione – spiega l’artista – è composta da un insieme di sculture bianche di diverse dimensioni realizzate con lenzuoli irrigiditi dalla resina che fuoriescono dalla finestra della casa dirigendosi verso l’esterno come nell’atto di voler volare liberi. Lenzuola come metafora di intimità, di sogno, di libertà e leggerezza. Ogni scultura è diversa dall’altra ed ha una sua plasticità, un suo movimento. Sono come vive, hanno bocche come a voler respirare, comunicare. Alcune sono forme leggere pronte a liberarsi nell’aria, altre tendono a restare incastrate tra le sbarre. Un progetto sul tema della difficile ma possibile (e a volte necessaria) evasione dalle dinamiche ‘domestiche, da condizionamenti e legami con le proprie radici”.
“Gonfalone” è il titolo di un grande stendardo verticale, lungo tre metri e mezzo, dipinto con colori acrilici su cotone da Mario Nardulli nel 2017 per decorare originariamente il Castello di Copertino e ricollocato in via Dalmazia per questa mostra. “Considerato il mio background nel graffitismo e nell’arte urbana – afferma Nardulli – ho impostato il lavoro come se fosse un murales destinato ad essere visibile da grande distanza. In questi casi abbandono sia le lettere, che ogni riferimento figurativo, puntando ad una ricerca cromatica fra spazio e forme che subisce il fascino dell’arte visiva degli anni ’70, dell’estetica Ultras italiana e della vivacità del mondo del fumetto Disney”.
Su un piccolo balcone che guarda il mare, Patrizia Piarulli ripensa la sua installazione del 2008 intitolata “Misspia”, preziosa nella minuziosità dei suoi interventi costituiti da cuciture, ricami e concrezioni di paillettes, che vanno a impreziosire un corredo di indumenti intimi femminili carichi di erotismo e non privi di ironia nella loro sfacciata esibizione. Spiega Piarulli: “I miei sono feticci appartenenti a un mondo che oscilla tra trasgressioni soft e qualcosa che ricorda l’infanzia”.
Un po’ supereroina e un po’ evocazione di un tempo ancestrale, la “Vitruvian Arachne” di Stefania Pellegrini, del 2023, è stata realizzata lavorando all’uncinetto fili colorati di lana e cotone, per ottenere una sorta di enorme centrino circolare nel quale si iscrive una figura femminile dai molti arti. L’artista spiega che la sua “Vitruvian Arachne” “è un ibrido che mette in contatto l’Uomo di Vitruvio con il mito greco di Aracne, una trasformazione del maschile in femminile e poi, con la moltiplicazione degli arti, dell’umano in animale; un cocktail tra Leonardo da Vinci, Louise Bourgeois e Spider Woman”.
Fabrizio Provinciali presenta invece una sua fotografia scattata a Bari nel 2022 e intitolata “La famiglia felice”. “È un’anticipazione – racconta Provinciali – della serie fotografica “La bella stagione”. La nascita del progetto, ancora inedito, coincide con la mia scoperta della città di Bari. Durante le passeggiate nella spiaggia di Pane e Pomodoro sono stato attratto dalla spensieratezza emanata dai corpi al sole di persone intente in attività ricreative. Ma in questi scatti di vita quotidiana non cerco di ritrarre tanto il folklore, quanto sensazioni universali come la leggerezza, ricorrendo spesso ad una composizione di tipo teatrale, senza interazione con i soggetti né manipolazione della scena fotografata, perché quello che mi affascina maggiormente è la messa in scena che offre la realtà”.
Sono figure delineate con l’utilizzo della fiamma ossidrica su un multistrato di legno sagomato le “Testacce” di Fabrizio Riccardi, create appositamente per la mostra come altre opere sposte. Con particolari equilibrismi di allestimento, l’artista le sospende a dei vecchi ganci già presenti sul muro dell’angolo fra le due strade, lasciando a questa preesistenza il compito di combinarle fra loro in una sorta di dialogo intrecciato. “Il mio intervento – spiega Riccardi – si propone di raccontare le voci di quartiere su alcuni fantomatici abitanti dei luoghi, i quartieri che diventano accumulo di personalità diverse che diventano autoctone dello stesso. Il matto, chi pensa alla morte come sollievo, chi guarda con diffidenza tutti i passanti, il curioso, il pettegolo. Abitanti che contribuiscono a rendere questo luogo unico”.
Ultima artista presente in mostra è Jolanda Spagno. Venuta a mancare a 51 anni nel 2018, è stata citata con l’esposizione di “Heima”, una sua opera del 2014: si tratta di un delicato disegno a grafite su carta che viene animato, nel modo tipico dell’artista, dall’apposizione di una lente Olof in grado di modificarne la visione. L’opera è statacollocata nell’enoteca affacciata sull’incrocio ed è stata visibile soltanto il giorno dell’inaugurazione.
LA PERFORMANCE DI NATASCIA ABBATTISTA PER L’INAUGURAZIONE
Replicando la fortunata formula del 2022, anche nella serata di inaugurazione della seconda edizione di “Il mattino ha Lory in bocca” Natascia Abbattista ha presentato una sua performance intitolata “Amami”. Se quella dello scorso anno si era svolta sul balcone, quest’anno l’artista la lavorato direttamente in strada, interagendo con il pubblico e fermando le macchine che passavano. “La mia performance parla di amore”, racconta Abbattista. “Sulle note di una scanzonata ‘24.000 baci’ di Adriano Celentano, corro tra la gente per strada marchiandola di baci, colorati dal mio rossetto rosso. Il mio amore è libero e vuole raggiungere non solo i passanti ma anche i muri, i palazzi, le macchine: ogni cosa. Il mio gesto simboleggia la voglia di invadere l’altro e di rompere i limiti imposti. I miei baci sono liberi, emancipati e arrivano a tutti, indiscriminatamente. Durano però il tempo di una canzone e, alla fine del brano, restano solo impronte rosse delle labbra su facce, macchine e palazzi. Nella fase finale della performance, che il mio gesto diventa anche una richiesta. Prendo del sale, tanto sale e spargendolo per strada scrivo AMAMI sull’asfalto, al centro dell’incrocio che un attimo prima mi ha vista protagonista ironica e spregiudicata. Non mi interessa se le macchine si fermano, suonano o mi schivano. Il mio corpo diventa penna e il sale diventa inchiostro. AMAMI è la necessità, in quanto donna, di essere amata e rispettata. AMAMI è l’amore ridotto alla sua essenza, è l’amore inteso nelle sue mille sfumature. L’amore, come il sale, deve anche saper curare. I miei baci ora assumono un significato diverso: sono baci salati, salati come il mare, come Bari, come l’amore, come le ferite che portiamo dentro. Prima di andarmene mi butto alle spalle tre manciate di sale, un gesto scaramantico ereditato dalla mia terra, con l’auspicio che il mio messaggio sia arrivato”.