venerdì 30 novembre 2018

Paola De Pietri. Apèrto


La galleria 1/9unosunove è lieta di annunciare la prima mostra personale dell’artista Paola De Pietri (1960, Reggio Emilia).

La mostra “Apèrto” raccoglie lavori che Paola De Pietri ha realizzato nel corso di un ventennio, spaziando dalle fotografie in bianco e nero di grande formato della serie “Questa Pianura” (2004, 2014-17) alla serie dei “Dittici”, di dimensioni più piccole e a colori, che risalgono al 1997.
La parola apèrto è il filo conduttore della mostra nei suoi significati di: non chiuso; di cose o attività cui si è dato inizio e che sono perciò in atto, non ancora concluse; di cosa il cui esito è indeciso, quindi ancora imprevedibile, o impregiudicato; ampio, spazioso; all’aria libera, in luogo non chiuso, non coperto o riparato.
Tra le immagini quella di un uomo steso su una piattaforma sul lago che sembra avere ceduto all’urgenza di esporsi al sole a braccia aperte nell’aria immobile tra il pneumatico e le scarpe nere bene ordinate sul fianco.
Il paesaggio e i ritratti sono qui fortemente influenzati da una percezione sensoriale, vitale, atmosferica connessa al ciclo annuale e al passaggio del tempo; sia quando nei paesaggi si possono scorgere legami ‘cosmici’ come l’ombra che si allunga su una collina e che ricorda la rotazione terrestre, sia nel microcosmo dei rami invernali appesantiti da blocchi di ghiaccio, sia nell’evoluzione di una nuvola temporalesca che cambia forma e colore nel volgere di pochi istanti.
Nelle immagini della serie “Questa Pianura” (2004, 2014-17), che rappresenta quasi una ricerca archeologica, la scomparsa della civiltà contadina ha lasciato sul terreno case coloniche in disfacimento e alberi isolati che privi delle loro funzioni originarie sono percepiti come le parole rimaste di un discorso frammentario di cui non è più possibile cogliere il senso complessivo. Sono immagini totemiche dove il tempo se da un lato sgretola le costruzioni rendendole quasi sculture, gli alberi cercano di recuperare la loro forma originaria.
Nella serie dei “Dittici” infine una o più persone sono riprese due volte a pochi istanti di distanza nell’attraversamento di uno spazio nel compimento di un percorso. "Le storie sono minime, appena percettibili, e idealmente infinite. Ognuna di esse è contemporaneamente irripetibile e del tutto priva di significato: regolata dalla scansione temporale imposta dalla duplice immagine, si riferisce però a un tempo in qualche modo sospeso e assoluto, assurdo". (Roberta Valtorta)

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Paola De Pietri
Apèrto

1/9unosunove gallery is proud to announce the first solo show by the artist Paola De Pietri (1960, Reggio Emilia).

The exhibition ‘Apèrto’ features works that Paola De Pietri has produced over the course of some twenty years, ranging from large format black-and-white photographs from the series "Questa Pianura" (2004, 2014-17) to the series of "Dittici" of smaller dimensions and in colour, that date back to 1997.
The word apèrto (‘open’) is the common thread of the exhibition in the senses of: not closed; of things or activities which have been started and which are therefore underway, not yet complete; of something of which the outcome is as of yet undecided and thus still unforeseeable or unprejudiced; wide, spacious; in the open air, in an outdoor place, not covered or sheltered.
Among the images there is that of a man lying on top of a platform on the lake who appears to have given in to the temptation to bathe in the sun, his arms open, in the still air between the tyre and the black shoes laid out carefully next to him.
The landscape and the portraits are strongly influenced here by a sensorial, vital, atmospheric perception, connected to the annual cycle and the passing of time – both when ‘cosmic’ links may be observed in the landscapes such as the shadow stretching over a hillside, reminding us of the earth’s rotation, and also in the microcosm of winter branches, weighed down by blocks of ice, or in the evolution of a storm cloud that changes shape and colour in the space of a few moments.
In the images from the series "Questa Pianura" (2004, 2014-17), which almost represents an archaeological research, the disappearance of the peasant civilisation has left the land scattered with falling-down farmhouses and isolated trees which, bereft of their original functions, are seen like the words left over from a fragmentary discourse of which the overall sense may no longer be grasped. They are totemic images in which time on one hand makes the constructions crumble, almost turning them into sculptures, while the trees attempt to recoup their original shape.
Lastly, in the series of "Diptychs", one or two people are photographed a short time apart during the crossing of a space in the completion of a path. “The stories are minimal, scarcely perceptible, and ideally infinite. Each of them is at the same time unrepeatable and entirely meaningless: regulated by the punctuation of time imposed by the double image. The reference however is to a time in a certain sense suspended and absolute, absurd”. (Roberta Valtorta)


Paola De Pietri. Apèrto


Palazzo Santacroce
Via degli Specchi, 20
00186 Roma, Italia

giovedì 29 novembre 2018

Thomas Orthmann. Finestre sull’immaginario

Thomas Orthmann 
Il quadrato nero 
acrilico su tela, cm 116 x 137 2012


Una retrospettiva di grande pregio dedicata all’immaginario di Thomas Orthmann. Oltre 40 tele di grandi e piccole dimensioni ripercorrono il percorso artistico del visionario artista tedesco che amava definirsi “un piccolo marchigiano”. Come “Finestre sull’immaginario” le opere di Orthmann raccontano un universo sospeso tra lo spazio e il tempo che incuriosisce per la ricca simbologia, meraviglia per la fantasia e stupisce per la tecnica.

La mostra a cura dell’artista Gesine Arps sarà ospitata a Palazzo Bracci Pagani di Fano dal 9 dicembre 2018 al 20 gennaio 2019. Un viaggio nell’arte: la pittura come viaggio nella pittura. Le opere di Thomas Orthmann sono composizioni pittoriche dalla tecnica impeccabile nelle quali convivono i grandi maestri dell’arte con riferimenti espliciti e citazioni degli artisti che più stimava: dai futuristi Depero e Balla al suprematismo di Malevic, la metafisica di De Chirico, Carrà, Sironi, Morandi, ma anche Picasso e Basquiat.

«Spesso scelgo la mia forma tra le figure di altri pittori – spiegava Orthmann – Alcuni passeggiano nella natura, tanti la raffigurano. La mia passeggiata è nella storia dell’arte, nei libri e nelle riviste.» L’esposizione, organizzata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Fano e patrocinata dal Comune di Fano, è a cura dell’artista Gesine Arps e presenta oltre 40 opere di piccole e grandi dimensioni. “Finestre sull’immaginario” inaugurerà sabato 8 dicembre alle ore 17.00 nella Sala di Rappresentanza della Fondazione Cassa di Risparmio di Fano (Via Montevecchio, 114) e rimarrà aperta ad ingresso libero nelle sale espositive del Sistema Museale di Palazzo Bracci Pagani “Diana Art Gallery” fino al 20 gennaio 2019, tutti i giorni tranne il lunedì dalle ore 17.00 alle 19.30.

Thomas Orthmann è mancato a giugno 2018, a pochi mesi dalla sua personale. L’artista e amica Gesine Arps, affiancata dalla moglie Erika, hanno gestito l’immenso archivio di 50 anni di carriera artistica e nella mostra “Finestre sull’immaginario” presentano lo sfaccettato universo del visionario artista dai “Giapponismi” fino alle ultime tele, alcune incomplete. La curatrice Gesine Arps in corso di mostra ha organizzato anche tre appuntamenti tra poesia e musica che approfondiranno il rapporto tra la cultura italiana e tedesca. Tutte le opere della mostra “Finestre sull’immaginario” sono raccolte in un catalogo in lingua italiana, inglese e tedesca, con testi critici di Roberta Ridolfi, Siegfried Wichmann e contributi di Guido Ugolini, Gesine Arps, Carlo Bruscia e Erika Orthmann.

THOMAS ORTHMANN: LA PITTURA COME VIAGGIO NELL’ARTE
Thomas Orthmann (1943-2018) nasce a Brema in Germania. Dopo essersi diplomato presso l’Accademia di Berlino ed aver frequentato il “The Slade School of Fine Art University College” a Londra (1967-1968), è stato Professore in importanti Scuole d’Arte di Berlino e nel 1999 vince il prestigioso “Prix international d'art contemporain” di Montecarlo. Negli ultimi 20 anni della sua vita (dal 1996 al 2018) ha scelto di vivere nelle Marche, nel piccolo borgo di San Giorgio di Pesaro. Impossibile elencare tutte mostre a cui ha partecipato in 50 anni di carriera in Germania, in Italia e in altre nazioni: Berlino, Brema, Bradford, Düsseldorf, Londra, Montecarlo, Monaco di Baviera, New York; e ancora Bologna, Gubbio, Spoleto, Macerata, Pesaro e naturalmente Fano. La critica ha definito Orthmann un “ladro gentiluomo” per i molti “furti” che ha perpetrato nei confronti dei massimi esponenti della cultura figurativa di tutti i tempi. Le citazioni però sono dichiarate e restituite ad un livello superiore per giungere alla creazione di un universo del tutto originale. Le grandi tele di Orthmann incuriosiscono per la ricca simbologia, meravigliano per la fantasia e stupiscono per tecnica. Come “finestre sull’immaginario” le opere di Thomas Orthmann vivono in un’atmosfera sospesa tra sogno e ricordo, tra vissuto ed immaginato. Un percorso inedito ed originale che porta la mente dell’osservatore ad un senso di ritrovamento. Un importante periodo del percorso artistico di Thomas Orthmann è stato ispirato dall’arte Giapponese, anche in questo caso rielaborata nell’astrazione e nel simbolismo. “Finestre sull’immaginario” dedicherà ampio spazio a questa serie di opere in cui l’improvvisazione giapponese e l’arte europea del movimento si fondono in una forma completamente nuova. Orthmann assume a modello di riferimento i maestri dell’ukiyo-e, e attraverso la sovrapposizione di linee e piani differenti, riesce a ricreare un effetto di sospensione che dona movimento all’immobilità e immutabilità delle xilografie giapponesi. Qui sta il grande pregio di Thomas Orthmann: la vocazione alla considerazione e allo studio dell’arte, l’instancabile e prepotente vena creativa, la consapevolezza di essere andato oltre i confini del linguaggio codificato per proporre nuovi percorsi all’affascinante linguaggio dell’arte.

CALENDARIO DI INCONTRI
Durante le settimane di mostra la curatrice e artista Gesine Arps, già conosciuta anche come organizzatrice di importanti eventi (come la mostra d’arte contemporanea internazionale “Sentimento Agreste” che dal 1998 ha seguito per 16 anni nella suggestiva cornice del Teatro del Trionfo di Cartoceto) ha voluto dedicare alla città di Fano una serie di incontri, ad ingresso libero, con che approfondiranno il rapporto tra la cultura italiana e tedesca.

MANIFESTAZIONI “IN TONO”
Venerdì 21 dicembre 2018 ore 20.30 / Palazzo Bracci Pagani

POESIA E MUSICA: UN GIOCO INTORNO AL SOLSTIZIO
Tre poeti presentano tre poeti tedeschi
Con Andrea Angelucci, Claudio Fabbri, Usha Piscini
A seguire concerto di Donatella Tonini (voce) accompagnata da Vanni Oliva
(fisarmonica) su musiche di Bertolt Brecht …e altre sorprese
Sabato 12 gennaio 2018 ore 17.00 / Sala di Rappresentanza della Fondazione

LA MAGIA RAZIONALE DI THOMAS MANN
Presenta Enrico Capodaglio
Venerdì 18 gennaio 2019 ore 21.00 / Palazzo Bracci Pagani

STRANDLÄUFER / LUNGOMARE
Immagini, testo, traduzioni di Sibylle Ciarloni e poesie di Andrea Angelucci
Per tutto il periodo della mostra un’opera di grandi dimensioni di Thomas
Orthmann sarà esposta alla "Mediateca Montanari - Memo" di Fano.

INFORMAZIONI PER LA STAMPA
Media Relations & Digital PR
Angela Forin
press@angelaforin.it / angela.forin@gmail.com
M. + 39 347 1573278

THOMAS ORTHMANN
FINESTRE SULL’IMMAGINARIO
mostra d’arte contemporanea a cura di Gesine Arps

9 dicembre 2018 – 20 gennaio 2019
Palazzo Bracci Pagani – Fano (PU)

Sistema Museale di Palazzo Bracci Pagani “Diana Art Gallery”
Corso Matteotti n. 97 - 61032 Fano (PU)
Tel. +39 0721 802885
info@fondazionecarifano.it
www.fondazionecarifano.it

Con il patrocinio del Comune di Fano
Fondazione Cassa di Risparmio di Fano

DIANA ART GALLERY
Corso Matteotti n. 97
61032 Fano (PU)
Tel. 0721 802885
Fax 0721 827726
info@fondazionecarifano.it
www.fondazionecarifano.it


lunedì 26 novembre 2018

Sabino de Nichilo. VISCERE


Le sale del Museo Archeologico della Fondazione Depalo-Ungaro di Bitonto in provincia di Bari (via Giuseppe Mazzini 44) si aprono all’arte contemporanea e accolgono le sculture di Sabino de Nichilo, in occasione della sua mostra personale “Viscere” curata da Bianca Sorrentino. La mostra si inaugura sabato 1 dicembre 2018 alle ore 18:30 con una lettura di poesie di Silvana Kuhtz e si può visitare fino alla fine del mese.
Le forme cave plasmate dall’artista dialogano con i corredi tombali e le testimonianze archeologiche degli antichi Peuceti e interagiscono in modo installativo con la collezione di gessi della vecchia Scuola comunale di disegno conservati nel museo. Caratterizzate da una volumetria morbida e da colori brillanti di gusto pop, le sculture di Sabino de Nichilo somigliano a strutture organiche e possono ricordare a chi li osserva cuori, fegati e stomaci, ma non rispondono ai canoni di un’anatomia ortodossa. “Organi da asporto”, “Carne frolla” e “Anus” – questi i nomi di alcune serie di opere esposte – sembrano ribellarsi al corpo che li potrebbe contenere e crescono liberamente, a loro piacimento, assecondando un impulso vitale alieno, inconsulto, barbaro. Sabino de Nichilo rende nobili gli scarti e le frattaglie e i processi digestivi ai quali allude evocano la società dei consumi nelle forme di una vanitas contemporanea, mescolando ironia e retaggi alchemici.
“Come un aruspice venuto da un altrove – scrive Bianca Sorrentino – Sabino de Nichilo interroga le viscere deformi che sopravvivono al lento decomporsi del mondo, alla ricerca di un auspicio che pronunci la sua verità di uomo. La ceramica smaltata restituisce nella materia e nel colore il tormento dell’essere fuori misura: se è vero che gli organi che si sottraggono alle leggi della realtà sono espressione di un tempo precario, essi si prestano allora a un dialogo critico con il passato e con i suoi simboli. Nella loro cavità, le sculture sembrano in effetti contenere qualcosa che non resta, ponendosi in questo senso in contrasto con lo spirito che caratterizza ogni Museo, che invece contiene qualcosa affinché resti. Ecco che dal ventre della terra, le reliquie dei banchetti si spogliano della loro sacralità e si rivestono di una visceralità che può dirsi ora pienamente umana”.


NOTA BIOGRAFICA:
Sabino de Nichilo è nato a Molfetta (Bari) nel 1972 e vive a Roma. Inizia il suo percorso espositivo nel 2009 presentando un’installazione nella mostra collettiva “Altrove” negli spazi del centro culturale Rialtosantambrogio di Roma. Attivo per lungo tempo nella scena musicale notturna come dj e nel campo delle arti come curatore di mostre e organizzatore di eventi culturali, si avvicina alla pratica della scultura sotto la guida di Riccardo Monachesi. “Viscere” è il titolo della sua prima mostra personale. Tra le collettive più recenti a cui è stato invitato si segnalano, nel 2018, le mostre “Domestica” nel sito archeologico delle Case Romane del Celio a Roma curata da Francesco Paolo Del Re e “Trèsors d’un monastére” organizzata da Yannick Guerniou-Laviolette nel Convento dei Domenicani di Muro Leccese (Lecce) e nel 2017 “In Crypta” nel Convento dei Cappuccini di Grottaglie (Taranto) e “Le muse del Quadraro” a Casa Vuota a Roma. Nel 2018 ha inoltre esposto i suoi lavori alla fiera “Roma d’Arte Expo” nell’ambito del progetto “BACC - Biennale Arte Ceramica Contemporanea”.


VISCERE
Mostra personale di Sabino de Nichilo
A cura di Bianca Sorrentino

MUSEO ARCHEOLOGICO FONDAZIONE DEPALO-UNGARO
Bitonto (Bari), via Giuseppe Mazzini 44
1-30 dicembre 2018
Inaugurazione 1 dicembre 2018, ore 18:30
con una lettura di poesie di Silvana Kuhtz

INGRESSO GRATUITO
ORARI DI APERTURA: Orari: 9:00-13:00 ~ 17:00-19:00 tutti i giorni; sabato e domenica su prenotazioni
INFORMAZIONI: telefono 080.3715402

Lucio e Peppe Perone. Senza titolo. Segni e visioni di via Varco in Irpinia


In mostra dal 29 novembre 2018 al 19 gennaio 2019 alla Other Size Gallery di Milano, la doppia personale di Lucio e Peppe Perone, “Senza titolo. Segni e visioni di via Varco in Irpinia” segna il quarto e ultimo appuntamento della programmazione 2018 destinata alla presentazione di linguaggi artistici contemporanei che animano le realtà culturali “di periferia” in Italia.
La curatrice Maria Savarese sceglie Lucio e Peppe Perone come interpreti di un humus culturale che rappresenta una vera e propria eccellenza in Italia, in parte ancora da valorizzare: quello dell’Irpinia, territorio ricco di cultura, storia, tradizioni e contraddizioni.
I gemelli scultori lavorano a due percorsi artistici indipendenti ma condividono una tendenza all’ironia e insistono sul non-sense di paradossi visivi.
Le dieci opere esposte – di piccole e medie dimensioni, realizzate con media differenti – combinano quotidianità, fantasia, natura e gioco a una sperimentazione creativa di tecniche e linguaggi: dal legno all’acciaio inox, dalla plastica alle vernici industriali.
Dopo aver proposto all’attenzione del pubblico milanese il lavoro di Christian Leperino per SMMAVE – centro indipendente per l’arte contemporanea nel borgo dei Vergini a Napoli, la parabola creativa di Casa Sponge nelle Marche e un progetto collettivo trans-mediale, quello di Ramdom, dedicato al territorio pugliese di Leuca, la curiosità curatoriale di Maria Savarese si concentra sulla ricerca creativa di Lucio e Peppe Perone (Napoli, 1972) che si svolge a Rotondi, paese in provincia di Avellino.
Il loro studio sorge su via Varco, strada extracittadina cui si arriva dalla statale Appia: percorrendo questo piccolo segmento della Valle Caudina, diviso a metà tra montagna e pianura, si scopre un nodo nevralgico dell’arte contemporanea in Campania, un vero e proprio unicum, essendo presenti, un po’ per caso, un po’ per scelta, gli studi degli artisti Eugenio Giliberti, Umberto Manzo, Perino e Vele, oltre ad aver dato Rotondi i natali a Lugi Mainolfi, da decenni di base a Torino, ma sempre presente nella realtà locale irpina.

Le opere di Lucio Perone nascono da soggetti come matite, frutta, uova, pesci, spazzole, barattoli, sedie e tavoli: secondo un procedimento che affonda le radici nella Pop Art, l’artista aumenta la scala delle dimensioni naturali degli oggetti, di primo acchito familiari, realizzandoli con colori sgargianti e combinandoli insieme in maniera straniante.

Le sculture di Peppe Perrone non assurgono a mera rappresentazione della realtà ma costituiscono metafore, simboli capaci di investigare la società contemporanea. Al valore concettuale dei significanti artistici – amplificato in molteplici direzioni di significato dall’assenza di titoli – si fondono il gioco, l’artigianalità e l’attenzione verso gli equilibri formali ed estetici.


Senza titolo. Segni e visioni di via Varco in Irpinia
A cura di Maria Savarese

Artisti Lucio e Peppe Perone
Sede Other Size Gallery Via Maffei 1, 20135 Milano
Date 30 novembre 2018 – 19 gennaio 2019
Inaugurazione giovedì 29 novembre 2018, ore 18
Orari dal lunedì al venerdì, h.11 – 20. Sabato h. 18 – 22. Domenica chiuso.
Ingresso libero

Info al pubblico Other Size Gallery | t. 02.70006800
direzione@othersizegallery.it| othersizegallery@workness.it|

Ufficio stampa NORA comunicazione - Via Cesare Battisti 21, Milano
info@noracomunicazione.it – 339.8959372

mercoledì 21 novembre 2018

Rosso è… Dodici artisti alle prese con un colore molto speciale

Giuseppe Ciracì, RL 190001r (dal ciclo A Windsor), 2013. Disegno a matita, pennarello, fogli di acetato, nastro adesivo, stampa su carta, cm 70 x 50


Il 7 dicembre alle ore 19 si inaugura presso la Galleria Cattedrale di Conversano la mostra intitolata Rosso è…Dodici artisti alle prese con un colore molto speciale, curata da Lia De Venere.

In mostra le opere di: Dario Agrimi, Mariantonietta Bagliato, Giuseppe Ciracì, Salvo D’Avila, Giuseppe De Mattia, DePalma&Pinto, Nicola Genco, Pierpaolo Miccolis, Marco Neri, Rossella Petronelli, Massimo Ruiu, Enzo Tempesta.

Così scrive in catalogo la curatrice: 
“Il rosso è un colore antico e usato da sempre per esprimere una molteplicità di emozioni, sentimenti e concetti, a volte contrastanti. Amore, passione, sesso, coraggio, dinamismo, rivoluzione, energia, aggressività, protezione, impulsività, eccitazione, pericolo, forza, bellezza, attrazione, repulsione, allarme, divieto, calore, distruzione, gioia, lutto, peccato, sacrificio, ricchezza, compassione, martirio, violenza. Il rosso è di volta in volta questo e molto altro ancora. Dagli inizi del Novecento diversi artisti hanno fatto ricorso all’uso del rosso per la sua capacità attrattiva e la sua ampia pregnanza simbolica, spesso con esiti di grande fascino, tra cui vanno certamente annoverati – tra gli altri – i dipinti di Emil Nolde e di Henri Matisse, molte opere di Lucio Fontana, il Grande rossodi Alberto Burri, i lavori di Mario Schifano, Mark Rohko e Keith Haring. Il rosso ha un ruolo di rilievo anche nelle installazioni luminose realizzate con il laser da Maurizio Mochetti, nelle articolate sculture ambientali di neon di Dan Flavin, nel mappamondo rovente di Mona Hatoum, nei truismi fissi e mobili di Jenny Holzer, negli affascinanti ambienti immersivi di James Turrell. In ognuna delle opere presenti in mostra il rosso ha un significato particolare. Se EnzoTempestachiude in una scatola di legnouna rosa rossa a significare il valore dell’amicizia, è Mariantonietta Bagliatoa compendiare in un drappo rosso marezzato la preziosità degli affetti famigliari. 

La sollecitazione a orientare lo sguardo in modo nuovo che giunge dalla sequenza di immagini di Giuseppe De Mattia, diventa un incitamento perentorio alla difesa della bellezza nel manipolo di uomini in marcia di Nicola Genco. 
E se il barbagianni vendicatore di Pierpaolo Miccolis ci ricorda l’urgenza di mobilitarci per preservare l’integrità della natura, d’altro canto Massimo Ruiu sfrutta la potenzialità segnaletica del rosso per avvertirci della pericolosità di una specie ittica. 
Un oggetto di culto, vera icona del Made in Italy, come la Ferrari ritratta da Rossella Petronelli, è l’emblema eloquente della velocità, mentre nel colore dell’impronta digitale di Leonardo sovrapposta a uno dei fogli della Raccolta Windsor, su cui Giuseppe Ciracì è intervenuto con discrezione, è palese il riferimento alla energia creativa del genio.  Se nell’impalpabile corolla di un papavero – una sorta di vanitas– Salvo D’Avilaha condensato la fragilità dell’esistenza umana, d’altra parte nella raccolta di bandiere di Marco Neriil rosso è di volta in volta simbolo di rivoluzione, coraggio, sangue versato per la libertà, richiamo a principi religiosi o a virtù civili, a elementi della natura, ma anche al calore vitale del sole. Quel sole che matura e conferisce sapore ai grappoli di pomodori della Regina, tipici della terra di Puglia, cui i designer De Palma&Pinto hanno regalato vita duratura tramite la ceramica. C’è un’opera, infine, in cui il rosso è assente. E’ quella di Dario Agrimi, che ci mostra ciò che percepisce al posto del rosso chi è affetto da acromatopsia, un raro disturbo genetico della vista che trasforma i molteplici colori della realtà in una triste scala di grigi”. 

Mostra: Rosso è… Dodici artisti alle prese con un colore molto speciale

Opere di: Dario Agrimi, Mariantonietta Bagliato, Giuseppe Ciracì, Salvo d’Avila, Giuseppe De Mattia, De Palma&Pinto, Nicola Genco, Pierpaolo Miccolis, Marco Neri, Rossella Petronelli, Massimo Ruiu, Enzo Tempesta
A cura di: Lia De Venere
Luogo: Galleria Cattedrale, Largo Cattedrale 9, Conversano (BA)
Inaugurazione: 7 dicembre 2018, ore 19
Durata: dal 7 dicembre al 19 gennaio 2019
Orari: martedì-domenica 17-20 e su appuntamento
Contatti: 339 3916903 - 080 9672994
Email: lucillatauro@hotmail.it
Catalogo in galleria

martedì 20 novembre 2018

Peter Belyi. Sorgente

Sorgente
Sorgente è la storia del congelamento dello scorrere del tempo. Il liquido – acqua? petrolio? – ha improvvisamente interrotto il suo movimento ed è diventato strati di truciolato. Fine. La sorgente si è prosciugata. Il “presente scorrevole” di un individuo privo di fede nel progresso, un progresso aperto ai flussi di informazioni, è divenuto una fonte secca. Nel lavoro dell’artista l’alienazione ha rimpiazzato l’esperienza sovietica e la nostalgia della modellatura commemorativa (La Biblioteca di Pinocchio, Galleria PACK, 2007). Sorgente si trova sul ciglio della transizione dalla critica di un ordine socialmente riconoscibile a una linea più astratta, come se l’artista avesse rivolto uno sguardo nuovo alle forme usuali, come un viaggiatore senza alcuna conoscenza pregressa della finalità degli artefatti di una qualche cultura materiale estranea.

Sorgente
La globalizzazione – la creazione di un’unica società internazionale, la negazione degli stati e delle differenze nazionali – non appare più come un sogno utopico. L’abbattimento delle barriere, la perdita dell’identità, le strategie coloniali – la globalizzazione si è rapidamente diffusa nel mondo, trasformando la vita quotidiana in una pozzanghera di compensato, strati di truciolato sgocciolati sul pavimento. Sorgente è una metafora della modernità, in cui l’universalizzazione a scorrimento veloce è stata arrestata dalla durezza del materiale, dal riconoscimento della crisi. La salvezza dal diluvio ha portato tuttavia a una nuova catastrofe, a una siccità che mette fine a tutti i movimenti. Distratta dall’idea di una società globale, l’umanità ha ignorato l’esaurimento delle risorse della terra e il danno ecologico provocato all’ambiente. Fuoriuscendo dai barili di petrolio, questa massa manca del dinamismo del liquido: stiamo guardando un paesaggio anti-utopico dell’era post-globale.

Peter Belyi: “Sorgente presenta sempre il carattere site-specific, assumendo la conformazione della galleria, e sembra conservare alcuni rimasugli di forma liquida, che scorrono verso il basso, si raccolgono negli angoli, cambiano forma in base allo spazio. Il truciolato di cui è fatto è essenzialmente spazzatura, di second’ordine, post-industriale. Lo spreco derivante da un tipo di produzione che rappresenta lo spreco di un altro, come se riflettesse all’infinito il mondo dei surrogati cui siamo così abituati.”

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Source
Source is the story of freezing the flowing of time. Liquid water? oil? – has suddenly stopped its movement and become sheets of chipboard. The end. The source has run dry. The ‘flowing present’ of an individual without faith in progress, one open to streams of information, has become a dried-up source. In the artist’s work alienation has replaced the Soviet experience and the nostalgia of memorial modelling (La Biblioteca di Pinocchio,Galleria PACK, 2007). Source stands on the edge of transition from criticism of a socially-recognisable order to a more abstracted stance, as if the artist had taken a new look at usual forms, like a traveller with no previous knowledge of the purpose of the artefacts of some alien material culture.

Source
Globalisation – the creation of a single international society, the negation of states and national differences – no longer seems a utopian dream. The breaking down of barriers, the loss of identity, colonial strategies – globalisation swept across the world, turning daily life into a plywood puddle, sheets of chipboard that have dribbled across the floor. Source is a metaphor for modernity, in which fast-flowing universalisation has been stopped by the hardness of the material, by the recognition of crisis. Salvation from the deluge has led to a new catastrophe, however, to a drought that puts an end to all movement. Taken with the idea of a global society, mankind ignored the exhaustion of the earth’s resources and the ecological damage wrought to the environment. Flowing from oil barrels, this mass lacks the dynamism of liquid: we see here an anti-utopian landscape of the post-global age.

Peter Belyi: “Source is always site-specific, taking on the form of the gallery, seeming to preserve some remnants of liquid form, flowing down stairs, gathering in corners, changing form according to the space. The chipboard from which it is made is basically rubbish, second-rate, post-industrial. The waste from one kind of production depicting the waste of another, as if endlessly reflecting the world of surrogates to which we are so used.”


Viale Sabotino 22
20135 Milan, Italy

lunedì 19 novembre 2018

Ana Gloria Salvia. Soliloquio


Kromìa è lieta di presentare Soliloquio, personale della fotografa cubana Ana Gloria Salvia.

In mostra, numerose opere di piccolo formato dalla recente produzione dell’autrice. Dettagli di fiori e piante, colti dall’obiettivo in sguardo ravvicinato e installati in un insieme generante polifonici rimandi estetici ed emotivi, aprono nuovi sensi al di là del dato botanico, verso il rinvenimento della sottile armonia empatica che tutto lega nell’Universo.

Dal testo critico di Diana Gianquitto (curatrice della mostra, con la direzione artistica di Donatella Saccani): «Un alfabeto argenteo, una tavola magica, note musicali, uno spartito cadenzato in architettura e bellezza. I segni sinergici di Ana Gloria Salvia ci interrogano, e solo a un secondo sguardo rivelano l’origine vegetale della loro natura. (…) C’è una telepatia sottile tra semi, petali, foglie delle piante rappresentate. E siamo tirati dentro anche noi, in quelle sottili corrispondenze o contrappunti di segni, tra i quali siamo quasi chiamati a immaginare il nostro posto. È qualcosa di più della semplice sinergia o empatia, e che partecipa della stessa forza con cui, intrinsecamente ma misteriosamente, le particelle costitutive dell’Universo si aggregavano e attraevano nell’atomismo greco. Di più, è un’armonia matematica intesa come vera e propria archè o materia e legge primigenia del mondo, regola musicale pitagorica, forza dinamica vivente di una natura ilozoista che ha per sé e in se stessa scintilla generatrice, movimento e anima (…) Che, col diapason dell’anima in ascolto di sincronicità post-junghiane dell’autrice, ritrova nell’infinito magma dei casi della vita il suo senso. E anche voi, se qui vi ritrovate ad accordare occhi, percezioni e cuore sul suo alfabeto visivo, sarete stati qui portati, a leggere e osservare, da quell’imperscrutabile e infallibile armonia universale per cui, come nota Ana Gloria Salvia, azar, che in spagnolo vuol dire caso, in persiano si colora della musicalissima timbrica dell’accento di azâr, ed è legato al numero nove. Secondo l’antichissima sapienza numerologica pitagorica, il numero dell’amore universale, che di certo è alla base di ogni incontro».

Di seguito, testo critico integrale di Diana Gianquitto.


Testo critico

AZAR / AZÂR
di Diana Gianquitto
Un alfabeto argenteo, una tavola magica, note musicali, uno spartito cadenzato in architettura e bellezza.
I segni sinergici di Ana Gloria Salvia ci interrogano, e solo a un secondo sguardo rivelano l’origine vegetale della loro natura.
Infatti, ben oltre la suggestione - pur presente - dell’erbario medievale ed enciclopedico, le volute palesate, le filigrane e venature delle epidermidi botaniche, le unicità morfologiche di ogni singolo essere naturale, dischiuse da uno sguardo ravvicinato, icastizzate su un buio profondo come un metafisico oceano primordiale, rilevate da riflessi lunari capaci di individuare a al contempo allontanare in una luce siderale senza tempo, finiscono per assolutizzarsi in una grammatica che defunzionalizza il dato pragmatico e attribuisce un nuovo linguaggio e senso.
Onirico, poetico, ma soprattutto filosofico.
Riposto, ma qui dispiegato in spartito visivo affinché risuoni per gli occhi di tutti. 
C’è una telepatia sottile tra semi, petali, foglie delle piante rappresentate. E siamo tirati dentro anche noi, in quelle sottili corrispondenze o contrappunti di segni, tra i quali siamo quasi chiamati a immaginare il nostro posto. È qualcosa di più della semplice sinergia o empatia, e che partecipa della stessa forza con cui, intrinsecamente ma misteriosamente, le particelle costitutive dell’Universo si aggregavano e attraevano nell’atomismo greco. Di più, è un’armonia matematica intesa come vera e propria archè o materia e legge primigenia del mondo, regola musicale pitagorica, forza dinamica vivente di una natura ilozoista che ha per sé e in se stessa scintilla generatrice, movimento e anima. 
Anima. Per l’artista, “l’anima è il diapason che permette di accordarci con ciò che noi chiamiamo caso o coincidenza, e che in realtà altro non è che un incontro e una comunicazione tra le parti dell’Universo, che trasforma il caos in armonia earchitettura per la continuità della vita”. Una visione razionale dell’anima, ma di una razionalità quantica.
Che, come in quantistica, rinviene organizzazione e senso dall’apparente disordine, allo stesso modo in cui le ferme direttrici verticali e orizzontali nella griglia visiva dell’exhibit ne riassorbono in centratura, interiore e percettiva, le ritmate variazioni formali. Centratura e auto-posizionamento empatico evocati inoltre dalle cinque opere assiali, che dal basso verso l’altro alludono - in forma e posizione - ai primi cinque chakra, proprio perché senza prima un propedeutico soliloquio armonico con se stessi, nessuna comunicazione è mai possibile con l’altro da sé. 
Un diapason costituito da una capacità matematica e musicale innata per ogni essere vivente, ma che la società attuale ha tutto l’interesse ad addormentare, temendone la sensibilità. Ed ecco come, anche con i fiori, si può fare politica. Muta ma eloquente, come delicato ma penetrante è agli occhi l’alfabeto floreale sovversivamente decriptatoci dall’artista. Che, al solo contatto visivo, è capace di riallinearci con l’Universo comunicativo nel quale viviamo e con il suo principio vitale. Non a caso, forse, nell’aspetto così simile a rayografie: quelle impressioni dirette dal mondo su carta fotografica che lo stesso Man Ray definiva “organismi viventi” derivanti da momenti di “contatto emozionale”. 
Un living theatre di anime floreali messe a nudo. Riverberante la prima formazione della fotografa, avvenuta in ambito teatrale. Del resto, il teatro è strettamente connesso alla luce, che tanto sulla scena quanto nell’obiettivo fotografico “seleziona le cose in armonia, come una scrittura e traduzione di ciò che vedi, semplificando senza perdere profondità”. E se presentare le cose in armonia è proprio anche della poesia, “che è unione di musica e immagine”, ogni fotografia è anche poema. E metafora, e aforisma. Solo, scanditi con l’immediatezza di una visione, che comunica direttamente. Esattamente come l’intuizione, l’empatia e la telepatia, linguaggi ancestrali che fanno a meno di parole, al centro da sempre della riflessione dell’artista. 
Come nella sua tavola botanica, la ricerca dell’autrice è dunque un’operazione profondamente semantica, protesa - forse anche in virtù della propria biografia cosmopolita - alla scoperta dell’essenza dei segni e delle sinergie comunicative, trasversalmente in ogni arte e cultura, e in definitiva in tutte le comunicazioni ed energie, non solo umane. “Tutto è segno, e il segno è comunicazione, e quindi empatia”.
Che, col diapason dell’anima in ascolto di sincronicità post-junghiane dell’autrice, ritrova nell’infinito magma dei casi della vita il suo senso. E anche voi, se qui vi ritrovate ad accordare occhi, percezioni e cuore sul suo alfabeto visivo, sarete stati qui portati, a leggere e osservare, da quell’imperscrutabile e infallibile armonia universale per cui, come nota Ana Gloria Salvia, azar, che in spagnolo vuol dire caso, in persiano si colora della musicalissima timbrica dell’accento di azâr, ed è legato al numero nove. Secondo l’antichissima sapienza numerologica pitagorica, il numero dell’amore universale, che di certo è alla base di ogni incontro*.

*Signos sinérgicos, per una ermeneutica semplificata dell’amore, è anche il nome della ricerca sperimentale che l’artista conduce attraverso la serie. 

Ana Gloria Salvia. Soliloquio 
Venerdì 7 dicembre 2018 - ore 19.00
dal 7.12.18 al 7.1.19

Napoli, via Diodato Lioy 11 (piazza Monteoliveto)

domenica 18 novembre 2018

Heedful Sight. Joachim Coucke e Maurizio Vicerè


Like A Little Disaster è orgogliosa di presentare "Heedful Sight", a cura di Mattia Giussani, mostra inedita negli spazi di Foothold che raccoglie le opere di due artisti emergenti provenienti dall’Italia e dal Belgio. Joachim Coucke e Maurizio Vicerè presentano sculture, dipinti e un lavoro video collaborativo che esplorano a come guardare ai cambiamenti fra lo spazio fisico e quello digitale.
Le opere in mostra raccontano progetti che sfidano e ricercano nuove metodologie per affrontare il flusso di informazioni nello spazio digitale, cosi come il cambiamento della struttura ecologica avvenuta per colpa di questi cambiamenti.
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"Heedful Sight" è il secondo appuntamento di TALEA, una serie di progetti curati da Like A Little Disaster focalizzati sulle pratiche di curatori internazionali.
La talea è il frammento di una pianta usata per la propagazione vegetativa (asessuata). Generalmente la talea viene sistemata nel terreno o nell’acqua per rigenerare le parti mancanti, dando così vita ad una nuova forma di vita indipendente da chi l’ha originata.
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Opening; Domenica 25 Novembre, dalle ore 19 - fino a tardi.
26 Novembre 2018 / 20 Gennaio 2019
Solo su appuntamento, scrivendo a info@likealittledisaster.com

ENGL
Like A Little Disaster is proud to presents "Heedful Sight", curated by Mattia Giussani, a show focusing at how to look at the changes between the physical and digital realm.
The exhibition will present new, collaborative and recent mixed media works by 2 emerging artists: Joachim Coucke and Maurizio Vicerè.
The artists in this show will investigate, challenge and come up with new ways of addressing the flow of information in a digital environment, as well as the change of the ecological structure due to these technological changing.
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"Heedful Sight" is the second appointment of TALEA, a series of projects curated by Like A Little Disaster focused on the practices of international curators.
TALEA (in Italian) is a piece of a plant used for vegetative (asexual) propagation. It is generally placed in soil or water – if the conditions are suitable, the plant piece will begin to grow as a new form of life independent of the parent.
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Opening; Sunday, November 25th - starting at 7 pm - till late.
November 25th 2018 / January 20th 2019
By appointment only at info@likealittledisaster.com

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Foothold / Like A Little Disaster
Via Cavour, 68
Polignano a Mare (Bari)
Italy

domenica 11 novembre 2018

Lo schermo dell’arte Film Festival 2018



LO SCHERMO DELL’ARTE FILM FESTIVAL
Firenze, Cinema La Compagnia, Palazzo Medici Riccardi, Palazzo Strozzi
Le Murate. Progetti Arte Contemporanea, Cango Cantieri Goldonetta

14 – 18 novembre 2018 - 11° edizione
inaugurazione 13 novembre

Torna Lo schermo dell’arte Film Festival: progetto internazionale dedicato alle molteplici interazioni tra cinema e arte che riunirà un ricco programma di film realizzati da artisti, documentari, cortometraggi, incontri con autori e curatori, workshop. 


Tra gli highlights: la Opening Night con Peter Greenaway, il collettivo ZAPRUDER, Ra Di Martino, la prima italiana di Yayoi Kusama: Kusama Infinity, la mostra European Identities. New Geographies in Artists' Film and Video, la formazione per artisti con VISIO. European Programme on Artists’ Film e Feature Expanded. European Art Film Strategies.

Tra gli ospiti della rassegna gli artisti Phil Collins, Gabrielle Brady, Jumana Manna, Diego Marcon, Ila Béka, Dani Gal, Driant Zeneli.

Scopri tutto il programma su 
Lo schermo dell'arte Film Festival, XI edizione
Firenze, Cinema La Compagnia e altri luoghi
14_18 novembre 2018



Lo schermo dell'arte Film Festival 2018
è realizzato con il contributo di
Creative Europe/MEDIA, MIBAC - Direzione Generale per il Cinema, Regione Toscana nell’ambito di “Toscanaincontemporanea2018” / Giovani Sì, Città Metropolitana di Firenze, Comune di Firenze, La Compagnia / nell’ambito della APQ Sensi Contemporanei Toscana, Fondazione CR Firenze

con il sostegno di
In Between Art Film, Institut français Firenze, Accademia di Belle Arti di Firenze

Sponsor
ottod'Ame, Salvatore Ferragamo, Findomestic, B&C Speakers SpA, Unicoop Firenze

Sponsor tecnici
LUNGARNO COLLECTION Hotels Retreats Villas, Hotel Loggiato dei Serviti

In collaborazione con Compagnia Virgilio Sieni Cango Centro Nazionale di Produzione sui linguaggi del corpo e della danza, CPH: DOX, Festival Scope, FIDMarseille, Fondazione Palazzo Strozzi, HOMEmcr, Le Murate. Progetti Arte Contemporanea, Netherlands Film Fund, Palazzo Grassi - Punta della Dogana, Seven Gravity Collection, Sub-ti, UNIFI/SAGAS-Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo.

sabato 10 novembre 2018

Anno del cibo 2018_Giornata di studi_La cultura del cibo tra innovazione e tradizione



BARI – COMPLESSO DI SAN FRANCESCO DELLA SCARPA 
14 NOVEMBRE 2018 ore 11:00 
2018 Anno del Cibo Italiano 

Presentazione delle iniziative programmate dal Polo museale della Puglia 

Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in collaborazione con il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, ha dichiarato il 2018 “Anno del cibo”. Tra gli intenti dell’iniziativa emerge quello di promuovere il ruolo del cibo quale componente fondamentale del patrimonio culturale immateriale italiano e, a tal fine, mercoledì 14 novembre alle ore 11:00 nella chiesa di San Francesco della Scarpa a Bari il Polo Museale della Puglia presenterà le attività programmate per l’Anno del Cibo Italiano nei propri siti museali in Puglia. Questo Istituto ha infatti messo a disposizione i propri luoghi della cultura come sedi di un percorso integrato, incentrato sul cibo inteso come perno della convivialità nelle diverse società. Il progetto Cibo Rito Convivialità ha esordito lo scorso 21 giugno con l’inaugurazione della mostra fotografica Can food be art? Fotografie di Salvo d’Avila, a cura di Lia De Venere; l’esposizione, che comprendeva fotografie di nature morte dalla connotazione fortemente pittorialista, è stata allestita negli ambienti dell’ex convento di San Francesco della Scarpa a Bari.  Nell’ambito della mostra permanente Preistoria del cibo. Alle origini del pane, allestita nel Museo Archeologico Nazionale di Altamura, è stato inserito invece il nuovo itinerario Dal pane al vino in cui si racconta la storia del cibo dal paleolitico all’epoca medioevale attraverso i reperti archeologici esposti e approfonditamente illustrati tramite QR Code. 

Altre sono le iniziative che completeranno il programma: presso il Parco Archeologico di Monte Sannace sarà possibile visitare gli ambienti arredati di una tipica casa peucezia, ricostruita a fini didattici. La costruzione, edificata con zoccolo in pietra, elevato in mattoni intonacati e tetto di tegole sostenute da travi, rappresenta la tipologia costruttiva che, già attestata in età arcaica, si diffonde capillarmente in ambito indigeno nel corso del IV secolo a.C. All’interno dell’abitazione è realizzata la ricostruzione di un ambiente destinato al banchetto e al simposio e di un ambiente domestico destinato a cucina. Entrambi gli spazi sono arredati anche con alcune riproduzioni di oggetti antichi. 

Nelle sale del Museo Archeologico Nazionale “G. Andreassi” di Egnazia –Fasanoè prevista la presentazione di una videoproiezione appositamente realizzata per l'occasione, che prende avvio da alcuni reperti esposti nel museo, in particolare il noto gruppo fittile dei Banchettanti.Del gruppo, proveniente dal vestibolo di una Tomba a camera di Egnazia del III a.C., verranno presentati una restituzione 3D e un digital storytelling, realizzaticonl'ausilio anche di immagini 3D di altri reperti provenienti dallo stesso contesto: una testa femminile di orante, frutti in terracotta -melegrane, mele cotogne-, tavolinetti (trapezai)fittili. La narrazione, creata con strumenti digitali (web apps, webware) e composta da molteplici elementi di vario formato (video, audio, immagini, testi), prendendo spunto dalla rappresentazione del noto gruppo egnatino in terracotta, svilupperà il tema del banchetto e dell'allestimento della mensa nel periodo ellenistico-romano, soffermandosi sugli aspetti rituali del mangiare e bere insiemee sul tema dell’offerta rituale del cibo alla divinità.

In occasione delle Giornate Europee del Patrimonio svoltesi il 22 e 23 settembre 2018, il Museo Archeologico Nazionale -Castello svevo di Gioia del Colleha ospitato la performance teatrale I giorni del grano, in collaborazione con Cantieri Teatrali Koreja di Lecce, interpretando in maniera innovativa e multisensoriale la tradizione panificatoria del territorio delle Murge. Hanno diretto la performance due attori/apprendisti fornai e voci registrate, accompagnati da musiche e da ambienti sonori che gli spettatori hanno ascoltato attraverso cuffie wireless. Il Museo ha adesso in programma la realizzazione di una mostra all'interno del Castello, dal titolo Tavole imbandite, dove saranno in esposizione alcune nature morte di de Chirico provenienti della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico.
La Galleria Nazionale della Puglia “Girolamo e Rosaria Devanna” di Bitonto, in collaborazione con l’Archivio di Stato di Bari, partecipa al progetto Cibo Rito Convivialità con una mostra dedicata alla rappresentazione della tavola nelle fotografie di Michele Ficarelli; grazie alla selezione di immagini tratte dall’archivio del fotografo barese, celebre per la sua collaborazione con la Gazzetta del Mezzogiorno, sarà possibile ripercorrere le abitudini conviviali nelle giornate feriali e festive in Terra di Bari. La mostra, che si inaugurerà venerdì 23 novembre, sarà aperta al pubblico fino all’8 gennaio 2019. 
Le attività in programma presso il Polo museale della Pugliasi arricchirannoulteriormente dei lavori dell’artista sardo Giuseppe Carta, pittore virtuoso che passa con la medesima maestria dalla natura morta al ritratto, abile scultore già coinvolto in numerosi eventi di richiamo internazionale. Il suo linguaggio alterna la bidimensionalità della tela al formato monumentale dei modelli a tutto tondo e ambisce a costruire narrazioni visive come architetture che prendono corpo nello spazio in cui l’opera viene concepita. 
Il progetto Giuseppe Carta. Epifania della Terra mostrerà al pubblico un articolato corpus di interventi allestitivi in alcuni dei più noti musei e castelli del Polo, adattandosi perfettamente al contesto architettonico.Limoni, cipolle e peperoncini giganti in bronzo e resine policrome troveranno così nuova sede negli spazi interni ed esterni del Castello svevo di Bari, nelle corti del Castello di Manfredonia, di Gioia del Colle e del Castello di Trani.


A completare il ricco programma di iniziative, giovedì 15 novembre si terrà la Giornata di studi dedicata a La cultura del cibo tra innovazione e tradizione; a partire dalle ore 9:00 nella Chiesa di San Francesco della Scarpa a Bari, interverranno docenti dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” e dell’Università di Foggia, nonché storici dell’arte e antropologi, chiamati a relazionare sul tema nelle sue connotazioni storico – culturali e sociali.



venerdì 9 novembre 2018

Olivia Pendergast. Kindness, l'evidenza invisibile


Dopo il successo della prima tappa cosentina, Kindness L’evidenza invisibile, opera di Olivia Pendergast, arriva finalmente a Roma.

L’appuntamento doppio, prevede la conferenza stampa - in collaborazione con il Rome Art History Network(RAHN) - del 6 dicembre al Macro Asilo, il nuovo progetto del Museo di Arte Contemporanea di Roma a firma di Giorgio De Finis, e, a seguire, il giorno 7 dicembre, l’inaugurazione della vera e propria esposizione - in collaborazione con TRAleVOLTE -all’interno degli ambienti dello studio di SALA2 Architettura, situati nel complesso edilizio del Pontificio Santuario della Scala Santa, visitabile fino al 28 dicembre 2018.

La conferenza stampa sarà l’occasione per presentare il catalogo della mostra e discuterne con l’artista, per la prima volta in Italia, ed il curatore, Daniele Garritano, oltre che per assistere, in anteprima assoluta, alla proiezione della docu-intervista di Natasha Sweeney: "Olivia Pendergast - RELATE".

La mostra presenta il lavoro di Olivia Pendergast, un’artista americana che, affascinata dallo stile e la cultura africana, esplora la realtà dei sobborghi più poveri e sovraffollati di Nairobi. I ritratti della Pendergast raccontano, dunque, gli slumsma con sguardo appuntito e inedito, non di visivo come normalmente avviene, né dualistico, perché il punto di osservazione è diretto. Non a caso Olivia ha scelto di vivere e lavorare in Kenya. Così senza filtri, con un approccio non mediato, Kindness- come sostiene il curatore Daniele Garritano -“è testimonianza della forza della comunità femminile e dei legami che costituiscono le reti dei rapporti familiari”.
La gentilezza, Kindness appunto, gemma preziosa dei rapporti umani, costituisce la summa dell’esperienza di quei legami che, seppure invisibili, rinsaldano le generazioni. Protagonista è l’intuizione di una familiarità fondata sul principio materno, come forma di comprensione reciproca che passa attraverso l’evidenza di una forza generativa.
La modalità artistica adoperata dalla Pendergast è il ritratto, perché, come l’arte di narrare, offre: “la possibilità di accostarci alla vita di chi è diverso da noi, con un interesse più profondo di quello di un semplice turista, con comprensione e partecipazione, e arrivando a percepire il grave errore che la nostra società commette rifiutando di considerare le persone nella loro realtà, senza deformazioni”(Martha Nussbaum).


OLIVIA MAE PENDERGAST
Olivia Pendergast frequenta per cinque anni il Columbus College of Art and Design, dove studia prevalentemente illustrazione senza però mai mettere da parte la sua vera passione per l’arte pittorica. Dopo aver lavorato per un po’ di tempo nell'industria cinematograficadi Los Angelescome designer concettuale, si irrobustisce la sua spinta di tornare a dipingere. Taglia le sue carte di credito e si trasferisce in una capanna nelle montagne dello Utah, dove dipinge a tempo pieno. Nel 2008 viaggia per la prima volta in Africa e inizia a vivere in Malawi, ritraendo “persone straordinarie”. Si sposta anche ad Haiti e in Bangladesh, prima di lasciare definitivamente gli Stati Uniti nel 2016 per trasferirsi in Kenya. Attualmente vive con suo marito e sua figlia a Nairobi, dove è artista e madre. Dal 1999 le sue opere sono esposte tra Stati Uniti, Dubai, Malawi, Etiopia e Kenya.

DANIELE GARRITANO
Dopo aver conseguito un dottorato in estetica e letterature comparate alle Università di Siena e Paris 8, attualmente svolge attività di ricerca presso il dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università della Calabria, con un progetto sulle pratiche di lettura nella vita quotidiana. Fra le sue pubblicazioni recenti, Il senso del segreto( Mimesis 2016), Platonismo rinascimentale: i nuovi filosofi inquieti e ribelli (Hachette 2016) e l’edizione italiana di Letture della differenza sessualedi Cixous e Derrida (ArtStudioPaparo 2016). È co-fondatore di Zetaesse *digestioni critiche, rivista digitale di cultura e arti applicate.



OLIVIA MAE PENDERGAST
Kindness
L’EVIDENZA INVISIBILE

a cura di
Daniele Garritano

Un progetto di DiffèrArt
in collaborazione con ZetaEsse*digestioni critiche
rivista online di cultura e arti applicate e

Conferenza Stampa
6 dicembre 2018, ore 16.00 - 18.00 | sala cinema
MACRO ASILO - Via Nizza, 138 - Roma

Inaugurazione
7 dicembre 2018, ore 18.30 - 20.00
TRAleVOLTE- Piazza di Porta San Giovanni, 10 - Roma

Fino al 28 dicembre 2018 | dal lunedì al venerdì: 17.00 – 20.00

Ufficio stampa
Artpressagency di Anna de Fazio Siciliano
e-mail: annasicilianodefazioatgmail.com
tel. 349.1505237

Silvia Giambrone. Il danno


STUDIO STEFANIA MISCETTI è lieto di presentare il danno, seconda mostra personale di Silvia Giambrone presso gli spazi della galleria, costituita da una serie di opere inedite – il lightbox Dollhouse (2018), le sculture Il danno (2018), Mirrors (2018) e Frames (2018) e i collage Icone(2017-2018) – realizzate appositamente per l’esposizione.

Nell’immaginario dell’artista, il concetto di “danno” fa riferimento a una lesione provocata in maniera silenziosa, subdola e profonda, non necessariamente fisica o visibile, ma non per questo meno determinante per l’individuo che l’ha subita. Luogo di eccellenza per l’esercizio di questa forma di violenza, è l’ambiente domestico. Spazio reale tanto quanto psicologico, il domestico, il privato, distaccandosi da una concezione che lo associa a ciò che per definizione dovrebbe essere affidabile e familiare, diviene quindi la sede dove esercitare persino un’educazione alla coercizione, un soggiogamento che diviene linguaggio e sistema, agito e concesso, tanto dalla vittima che dall’esecutore. In tale contesto, gli oggetti, spesso muti osservatori delle dinamiche relazionali instauratesi, alienati dal loro contesto e dalla loro funzione, assumono la capacità di essere riattivati, sia nel loro valore estetico sia nella loro qualità testimoniale. Le opere esposte, elevate allo statuto di oggetti emblematici, non solo ci costringono a prendere visione di tali meccanismi di sopruso e a diventare a nostra volta consapevoli del ruolo che assumiamo in quanto testimoni e complici, ma ci invitano anche a riflettere sulle diverse declinazioni della violenza e sulle possibilità che essa stessa prospetta. In questo senso, per quanto si offra apparentemente come confine invalicabile, lo spazio della violenza può divenire terreno fertile sul quale, in maniera dolorosa e feroce, si prepara e rende possibile una reazione catartica e liberatoria.

“Chi ha subito un danno è pericoloso, perché sa di poter sopravvivere.” 
Josephine Hart, Il danno, 1991 – Il danno, 1992 film diretto da Louis Malle.


Silvia Giambrone è nata ad Agrigento nel 1981. Vive e lavora tra Roma e Londra.
Dopo essersi laureata nel 2006 presso l’Accademia delle Belle Arti di Roma, ha frequentato, nel 2009, il Corso Superiore di Arti Visive della Fondazione Antonio Ratti. Nel 2015 ha partecipato a una residenza artistica presso l’International Studio & Curatorial Program (ISCP) di New York e nel 2019 risiederà presso lo Swatch Art Peace Hotel Residency di Shanghai, Cina. Selezionata nel 2008 per il Premio Giovani Artisti promosso dalla Fondazione Agnelli di Torino, l’anno seguente ha vinto il Premio Epson rilasciato dalla Fondazione Bevilacqua La Masa, nel 2013 il primo premio della Biennale di Kaunas e nel 2014 il riconoscimento dei collezionisti durante il Premio Celeste.

Tra le principali esposizioni a cui ha partecipato, ricordiamo:
nel 2018, Young Italians, a cura di Ilaria Bernardi, Italian Institute of Culture, New York; nel 2017, Time is out of Joint, a cura di Cristiana Collu, e Corpo a corpo, a cura di Paola Ugolini, entrambe alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma; nel 2016, dillo con fiori, allo Studio Stefania Miscetti, W. Women in Italian Design, a cura di Silvana Annicchiarico, alla IX Triennale di Milano e Archeology of the domestics vol. I, Italienisches Kulturinstitut Köln, Germania; nel 2014, Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo, a cura di Federico Mazzonelli e Denis Isaia, Museo Alto Garda, Trento; nel 2013, Silvia Giambrone, Critica in Arte, a cura di Silvia Cirelli, Museo MAR, Ravenna, Let it go, a cura di Nari Ward e SACS, American Academy in Rome, Autoritratti. Iscrizioni del femminile nell’arte italiana contemporanea, coordinamento curatoriale di Uliana Zanetti, MAMbo, Bologna, Mediterranea 16 Young Artists Biennial – Errors Allowed (BJCEM), a cura di Charlotte Bank, Alessandro Castiglioni, Nadira Laggoune, Delphine Leccas, Slobodne Beze/Loose Associations, Marco Trulli, Claudio Zecchi, Ancona, e SUBJECTIVE MAPS/ DISAPPEARENCES, Parallel Borders 1 / Monuments & Shrines to Capitalism, a cura di Mark Mangion per Malta Contemporary Art, National Gallery of Iceland; nel 2012, Re-Generation, a cura di M. Alicata e I. Gianni, MACRO Testaccio, Roma, e Flyers, la Fortaleza de La Cabaña, Oncena Bienal de la Habana, Cuba; nel 2010, Qui vive?, a cura di Daria Pyrkina, Daria Kamyshnikova, Moscow International Biennale for Young Art, Russia; nel 2009, A Camel Is a Horse Designed by a Committee (Attempts at Rewriting the Wor(l)d), a cura di Stefano Coletto, Anna Daneri, Cesare Pietroiusti, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia, e Pandora’s boxes, BAC!10.0, Centro di cultura contemporanea di Barcellona, Spagna; nel 2008,Eurasia. Geographic cross-overs in art, a cura di A. Bonito Oliva, L. Benedetti, I. Boubnova, C. Casorati, Hu Fang, C. Rekade, J. Trolp, MART, Rovereto.

Negli anni, ha esposto in vari musei pubblici italiani, tra cui il MART di Rovereto e Villa Croce a Genova, e internazionali, tra cui il NiMAC di Cipro e il National Museum of M. K. Čiurlionis in Lithuania.

Bibliografia selezionata:
Giada Cipollone, “Con un filo di voce. Il ricamo: la memoria contemporanea di un gesto femminile. Il caso di Silvia Giambrone”, in Lorenzo Donghi, Deborah Toschi (a cura di),Al presente. Segni, immagini, rappresentazioni della memoria, Pavia University Press, Pavia 2017
Cesare Biasini Selvaggi (a cura di), 222 Artisti emergenti su cui investire, Exibart edizioni, Roma 2017
Cristiana Perrella e Silvia Giambrone, Dillo con i fiori, catalogo della mostra, Studio Stefania Miscetti, Roma 2016
Fabrizio Pizzuto, Nina Power e Silvia Giambrone, Archeologia domestica vol. I, catalogo della mostra, Crearte Studio, Gianni Sartori Editore, Ponte di Piave (TV) 2015
Davide Enia, Der Blitz, catalogo della mostra, MAG/Mart, Trento 2014
Laura Francesca di Trapani, Essenza, Dario Flaccovio Editore, Palermo 2014
Silvia Cirelli e Silvia Giambrone, Critica in arte, catalogo della mostra, MAR, La Greca Arti Grafiche, Forlì 2013
Silvia Giambrone e Laura Iamurri in AA.VV., Autoritratti. Iscrizioni del femminile nell’arte italiana contemporanea, catalogo della mostra, MAMbo, Corraini Edizioni, Bologna 2013 Andrés D. Abreu (a cura di), Flyers, Oncena Bienal de la Habana, catalogo della mostra, Skira, Milano 2011
Cecilia Casorati, “La rivoluzione siamo noi”, in Achille Bonito Oliva, Eurasia, catalogo della mostra, Skira, Milano 2008.

via delle Mantellate 14 – 00165 Roma tel/fax: +39 0668805880 
info@studiostefaniamiscetti.com 
orari: dal martedì al sabato, dalle 16 alle 20