Impronta della mano sinistra aperta di Pino Pascali, 1963
Pino Pascali. Mediterraneo Metropolitano dal 10 febbraio al 21 aprile 2018
Inaugurazione: sabato 10 febbraio 2018, dalle ore 16.30
COMUNICATO STAMPA
Sono passati ormai 50 anni (1968-2018) da quando un tragico incidente con la sua moto ha interrotto la folgorante parabola artistica di Pino Pascali (Bari, 1935 – Roma, 1968), uno dei protagonisti più signifcativi dell'arte italiana della seconda metà del XX secolo, la cui genialità era già stata riconosciuta con la sala personale dedicatagli alla Biennale di Venezia e l'assegnazione Gran Premio per la Scultura pochi mesi prima della sua morte e, poco dopo, con la retrospettiva alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma nel 1969. Seguiranno presto altri riconoscimenti postumi, dagli anni novanta ad oggi, come le mostre personali organizzate dai più importanti musei europei, come il Musée d'Art Moderne de la Ville de Paris e il Rijksmuseum Kröller-Müller di Oterlo nel 1991, l'IVAM Centre Julio Gonzàlez di Valencia nel 1992 e il Museo Natonal Centro de Arte Reina Sofia di Madrid nel 2001, per arrivare alla Gagosian Gallery di New York nel 2005 e al risultato raggiunto, un anno prima, dall'opera Cannone Bella Ciao, della serie Armi, all'asta londinese di Christe's (2,6 milioni di dollari).
La galleria Colossi Arte Contemporanea di Brescia intende celebrarlo riproponendo la mostra Mediterraneo Metropolitano, realizzata nel 2011 con il patrocinio dellaFondazione Museo Pino Pascali di Polignano a Mare (Ba) e accompagnata dal catalogo corredato dal testo introduttivo di Rosalba Branà, direttrice della Fondazione.
La mostra, che inaugura negli spazi espositvi della galleria sabato 10 febbraio 2018, dalle ore 16.30, presenta un'ampia selezione di opere realizzate per la casa di produzione di cortometraggi pubblicitari Lodoloflm, di Sandro Lodolo, tra il 1958 e il 1968, periodo durante il quale ha lavorato, non solo come scenografo, ma anche come animatore e creatore di personaggi e storie intriganti, volte a catturare l'attenzione degli spettatori tramite storielle animate, sketch comici o intermezzi musicali, che si concludevano sempre con l'inserimento del messaggio commerciale, da inserire nel famoso format televisivo Carosello, appositamente ideato ed introdotto dalla Rai nel 1957, ma anche di spot commissionati da varie aziende e sigle per programmi televisivi. Dall'anno in cui lo conobbe, nel 1958, Pascali ha instaurato con Sandro Lodolo, oltre che un continuativo e proficuo rapporto professionale, anche una profonda amicizia, che ha permesso all'artista di esprimere al meglio il suo genio creativo nell'inventare sempre nuovi soggetti.
Avendo frequentato i corsi di scenografa con Toti Scialoja all'Accademia di Belle Art di Roma, il giovane Pascali, emigrato nel 1956 dal contesto rurale del Mezzogiorno alla grande metropoli romana, animata dal fervore del boom economico, dove ha avuto modo di assistere anche alle performance del Living Theatre, ha fin da subito manifestato un'attudine alla teatralità, che si sarebbe poi tradotta nella sua attività scultorea, dal 1965 al 1968, partendo dal ciclo delle Armi, presentate alla Galleria di Gian Enzo Sperone a Torino nel 1966.
Questo dimostra come, il lavoro di scenografo e pubblicitario sia collegato alla dimensione scenica e spettacolare che Pascali ha introdotto nella scultura dal 1965 al 1968 con un'apparente leggerezza ludica: l'artista ha sfruttato l'oggettualità della scultura come presenza scenica, rivoluzionando le coordinate ambientali e linguistche della galleria d'arte o del museo come luoghi convenzionali di esposizione delle opere in senso scenografco. Come sosteneva Sandro Lodolo: “...una sorta di filo rosso mi pare che colleghi questi suoi disegni, progetti, scenografie a tutta la sua scultura”.
I bozzetti realizzati per la pubblicità contengono in nuce, nell'estrema sintesi grafica dei segni e nelle forme stlizzate dei personaggi, la riduzione della natura e degli elementi tpici della cultura mediterranea allo schematismo di segni simbolici, frammentari che rielaborano le forme del reale (il Mare, la Scogliera, le Cascate, le canne di bambù, le balene, le code dei cetacei, i delfni, i rettili, i serpenti, i pellicani, la Barca che affonda, i Dinosauri che emergono come nelle vignete di B.C. di Johnny Heart, nella serie degliAnimali, 1966) tramite materiali sostitutvi, come la tela bianca tesa su centne lignee per arrivare alla “natura imbrigliata” in parametri di misurazione oggettivi (32 metri quadrati di mare circa e1 e 2 metri cubi di terra e 9 metri quadrati di pozzanghere, esposte alla galleria L'Attico di Roma, in occasione della mostra storica Fuoco Immagine Acqua Terra nel 1967, con 9 metri quadrati di pozzanghere). Nei lavori per la pubblicità presentati in questa mostra, la sintesi estrema di forme ancestrali si fonde a tutta l'energia dirompente emanata dai simboli, dalle insegne luminose e dagli slogan della nascente metropoli romana del boom economico vissuta da Pascali; le lettere e i numeri stlizzati dell'iconografa pop, conosciuta tramite la Biennale del 1964 che vede protagonista Rauschenberg, si uniscono qui alle immagini, ai ricordi, alle citazioni che appartengono all'immaginario visivo di Pascali fin dall'infanzia (le armi, le navi, le locomotive e i treni), ridotte alle forme primarie del gioco della fanciullezza, secondo il “pensiero magico” di Lévi-Strauss, condiviso anche dalla concezione rituale del teatro di Grotowski.
L'arte diventa, così, il mezzo per conciliare cultura industriale e civiltà mediterranea, realtà e immaginazione, passato e presente atraverso un segno estetco simbolico e antnaturalistco che rifete gli archetpi trat dall'inconscio colletvo e dalla sua mitologia privata (l'amore per il mare della sua terra nata, la pesca subacquea, gli animali delle profondità marine, le balene, i delfni) nei sogget e nei personaggi che dominano l'immaginario favolistco dei suoi bozzet per la pubblicità. Qui si ritrova, infat, una grafca essenziale, come quella studiata per la sigla di Tv7, giocata su una sequenza di righe in bianco e nero, ispirata ad un messaggio telegrafco, o come quella ideata per il programma televisivo Prima Pagina, ricca di immagini elegant e sintetche, di cui restano i bozzet per la presentazione delle immagini nello story board.
Tra il 1956 e il 1964 l'artsta aveva eseguito una serie di collage a tecnica mista su zinco, bitume su lamiera, lamiera inchiodata su faesite o gesso e catrame che rappresentavano navi, treni, armi e armature, ricostruite con fogli di lata inchiodat su faesite, inchiodate da bulloni, sovraccariche di guarnizioni punzonate, dipinte con bitume impastato a petrolio. Sono sogget che materializzano i sogni proibit e appartengono ad un panorama iconografco che lo accompagna fn dall'infanzia, quando giocava con la pistola del padre polizioto e che ritroviamo, con la stessa varietà eterogenea nell'uso dei materiali e lo stesso ribaltamento ludico dei simboli della guerra, nei missili disegnat per lo spot commissionato dall'azienda petrolifera Esso, nelle scenografe per i caroselli o per lo spotChe posizione! commissionato dalle Ferrovie dello Stato alla Lodolo; qui, cartoncini colorat e carte adesive vengono ricompost in un assemblage sintetco di segni e simboli trat dal panorama della cartellonistca urbana, così come avviene nella forma geometrica dei personaggi dei suoi spot. Un esempio sono iPostero's, buf generali bafut, oI Killers, realizzat per pubblicizzare i gelat dell'Algida, ispirat ai mafosi italo-americai degli anni trenta, con le loro lussuose macchine (L'auto di Al Cafone) e nominat scherzosamente con il gioco della tautologia, con i quali vince il premio al Festval Nazionale di Trieste nel 1962: Al Cafone, Joe Malamente, i Gemelli Kiessler, il Ragno, Billy Tacchino, Joe Scicchetoso.
Le figure in cartone e stoffa realizzate per la pubblicità dei biscotti Maggiora e della conserva Arlecchino tra il 1964 e il 1966, raffiguranti soldati scozzesi, gentiluomini in bastone, mantello e cilindro o arlecchini, re e cortgiane, di forma cilindrica, sono l'anello di congiunzione tra il lavoro pubblicitario e quello oggetuale, sperimentato con i Personaggi, come frutta, bottiglie di champagne, pentole e altri oggetti ad uso domestco, azionati da un meccanismo a rotelle su un palcoscenico ed esposte in occasione della prima personale alla galleria romana La Tartaruga, nel 1965 all'interno di un Teatrino.
Le scenografe che fanno da sfondo alle guerre tra bande sono prive di prospetva e piate, sono scenari realizzat ritagliando carte colorate, cartoncini e carte adesive, composte da element semplici e molto grafci, dall'allure surreale, ma compatbile con lo stle disneyano dei suoi personaggi, a volte realizzat, anch'essi, con i tagli di pellicola, come i samurai, i cowboy, i guerrieri realizzat nel 1966 per la sigla dell'Anicagis, società di promozione per il cinema e lo spetacolo. L'artsta sapeva bilanciare questa sintetca e lineare composizione contrapponendo element non perfet per dare l'idea del disegno infantle a mano libera, con il quale ricostruisce, secondo un immaginifco caleidoscopio, element, sogget, partcolari che hanno colpito il bambino Pascali nella vita quotdiana. Pascali, che arriverà a ritagliare una porzione di mare nel flm di Luca PatellaSKMP2 del 1968 (dove l'happening di Pascali è accostato a quelli di Sargentni, Kounellis e Matacci) per mimare il ciclo biologico della natura, è insuperabile nella tecnica del ritagliare le carte otenendone svariate sagome, versatle nella pratca del collage con il quale realizza le sue scenografe, assemblando vari materiali di recupero: linoleum, legni, retni, carte da parat, segni grafci, letere. Arriva persino ad inventare una pasta colorata che stende sui fondini e a sovrapporre numeri a riquadri optcal.
Ed è esattamente ciò che faceva Pino Pascali vagando perlustrando le strade di Roma, tra i vicoli di Bari vecchia, a Marechiaro, tra i pescatori napoletani, a raccogliere, con la sua macchina fotografca, suggestoni (e materiali, nelle ferramenta, in un supermercato, ma anche nella natura) e fotografarle: letere, numeri, insegne, ombrelloni, geometrie di muri e paviment) che troviamo riassemblate nelle scenografe per i Caroselli o per lo short Che Posizione!, vincitore, nel 1961, del secondo premio al Festval Nazionale di Trieste e commisionato alla Lodolo dalle Ferrovie dello Stato, dove adopera antche stampe e dipinge fondali in stle futurista.
Come sostene Sandro Lodolo, la casa romana di Pino Pascali “era piena di innumerevoli e insolit ogget: un'elica, rotami di bicicleta, una banderuola, segnali stradali... c'era davvero di tuto!”. Un panorama variegato di simboli che include anche quelli della cultura mediterranea e rurale, rivisitat in chiave contemporanea nella sua produzione scultorea: gli ombrelloni possono essere associat alle tele centnate bianche delMare esposto alla Galleria L'Attico di Roma nel 1966, mentre le ceste dei pescatori si ritrovano nei manufat del ciclo dellaRicostruzione della natura (1968), come la Trappola in lana d'acciaio, la Tela di Penelope, il Cesto.
Senza mai dimentcare i miti che lo accompagnano fin dalla sua infanzia. Il primo è la motocicletta, vero e proprio cult cinematografco degli anni '60, canonizzato dai dannati e ribelli, dalla bellezza sottimente dark, in pelle nera che sfrecciavano per le strade: Jeames Dean in Gioventù bruciata (1955) e Marlon Brando né Il Selvaggio (1954), come faceva anche Pascali con la sua moto. E come James Dean, con la sua Porsche nel 1955, anche Pascali morirà in un tragico incidente stradale, schiantandosi nel tunnel sotto il Muro Torto a Roma nel 1968. A ricordarci il suo amore per la moto, in una scenografa di Scala Reale, ambientata in paradiso, tra le nuvolette, compare un ragazzo su una motocicletta simile a quella dell'artista.
Altro mito che popola il suo immaginario, dalla produzione scultorea al suo lavoro di pubblicitario, sono le navi, fgure emblematche nelle narrazioni mitologiche, reinterpretate con numerosissime tecniche, unendo il gusto di Pascali per l'artgianato alla passione per il navimodellismo, la pesca subacquea, la mania di raccogliere ogget, residui e materiali curiosi: daBiancavvela (1964), quadro-oggeto composto da una strutura lignea rivestta con un tessuto spugnoso dove sporge la sagoma della nave e dell'onda, accentuando la duplicità del bianco e del mare in poche, semplici forme geometriche pure (che dimostrano l'intenzione di tornare ad uno stato preculturale, originario, preistorico) per arrivare alla Barca che afonda, esposta all'Atco di Roma nel 1966, spezzata in due tronconi, due forme essenziali di tela bianca.
La riduzione a forme essenziali e il ritorno alle forme primigenie della cultura è una carateristca costante nel lavoro di Pino Pascali, dai “quadri-oggetto” (1964), passando per iDelfni (1967), iTrofei di caccia (1966) iDinosauri e iGrandi retli (1966), per arrivare alla Ricostruzione della Natura (1968), con manufat e trofei di caccia ricostruit con pagliete di ferro e pelo acrilico. Nel suo lavoro di pubblicitario, si passa dalla strutura totemica dei personaggi creat per la pubblicità, simbolo della tpicità dell'uomo contemporaneo, alla stlizzazione dei disegni tribali africani, trasformandoli in un sistema di segno, quel codice essenzializzato adeguato alla comunicazione visiva, alla sua osservazione del mondo contemporaneo. Questo dimostra come il lavoro di pubblicitario e scenografo di Pino Pascali scorra parallelo a quello scultoreo. Pascali adegua al linguaggio scultoreo l'alfabeto comunicatvo e percetvo della contemporaneità, servendosi di un panorama iconografco che si nutre di messaggi pubblicitari, spot pubblicitari, artfci mediatci e teatrali. La stessa produzione scultorea di Pino Pascali prosegue per cicli, come i ritmi degli spot pubblicitari. Con la serie dellaRicostruzione della natura (1968), l'artsta ricostruisce fgure archtpiche che richiamano scenari primordiali, come ilPonte levatoio, l'Arco di Ulisse, laMeridiana, leLiane, ilNido, fetcci ricreat in forme schematche, tornando ad una condizione umanistca minima, al funzionamento antropologico della scultura. Lo dimostra la serie di quindici brevi sketch commissionat dalla Rai alla Lodolo-Saraceni per la campagnaRadio Telefortuna nel 1965, dove Pascali sceglie di ispirarsi all'Africa e all'Estemo Oriente. Da sempre afascinato dal tribale e dal primitvo, l'artsta interviene sull'acetato con le tempere e sulle fotografe togliendo i toni intermedi di grigio per creare un alto contrasto di luce in modo da evidenziare il segno, rievocando lo stle delle piture rupestri; riesce, così, a fare uscire dalla tecnica dell'alto contrasto, un modo bidimensionale di scolpire. Ispirato dalle tecniche del dripping di Pollock, che aveva studiato atentamente all'accademia, e dall'inchiostro di China usato nell'Estremo Oriente, faceva sgocciolare macchie di inchiosto su pannelli e fogli, sui quali, con una tecnica spontanea, simile all'automatsmo dei surrealist, prendevano forma le sagome di animali della savana, come gli gnu o i leoni. In uno spazio bidimensionale come il foglio, rivivono i ritmi tribali della giungla.
Riemerge, così, la vocazione metafisica alla teatralità dell'artista che lo portava a ricreare scenari classici con i suoi Ruderi su prato (1964), una composizione tridimensionale di colonne classiche, all'interno delle quali Pascali si fa fotografare, come a suggerirci che esse sono al confine tra rovine monumentali (o la rappresentazione di esse, secondo l'ironica tautologia linguistca di ascendenza magrittiana che Pascali amava tanto utlizzare fin dai tempi dei “quadri-oggetto”) e un manufatto scenico; così come riemerge l'impulso all'acquisizione di uno spazio e di un'immaginazione oggettuale tipici della scenografa teatrale nella scultura, a ricreare l'ambiente dell'esposizione in uno spazio magico e rituale dove cambiano le coordinate della scultura, dove le forme della sua personale mitologia, con radici antiche e ancestrali, vengono ricondotte ad una linea estetica contemporanea.
(Guendalina Belli)
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