La partizione in arte non c’è. Di che cosa stiamo parlando?
Dei rapporti conflittuali tra India e Pakistan per risolvere i quali, nel 1947,
a ovest il Pakistan è stato staccato dall’India mentre a est è stato costituito
il Bengala, che nel ’71 diventa indipendente come Bangladesh. Questa premessa
storica è necessaria per introdurre una delle più belle mostre viste a Venezia in
questo inizio di settimana di Biennale. "My East is your West” (a palazzo Benzon, fino al 1 ottobre, a
cura di Feroze Guyral con collaborazione di Martina Marzotta e Natasha
Ginwala). Due artisti soli, il pakistano Rashid Rana (Crowd, foto di copertina)
e l’indiana Shilpa Gupta (I live under
your sky too, foto sopra). Il primo che lavora in un continuo slittamento
spazio-temporale, realizzando video- ambienti interattivi di grande impatto
visivo e dotati di un discreto potere straniante, grazie anche a un uso non
convenzionale dei pixel. Shilpa Gupta che conferma il rigore linguistico di cui
ha dato prova fin dall’inizio della sua brillante carriera. Dal 2011 la sua
attenzione è sul confine tra India e Bangladesh di cui in Occidente si sa molto
poco, ma che invece è uno dei confini più complessi del mondo, dove avvengono
traffici illeciti, fa cui anche di minori, e che costituisce una delle pagine più imbarazzanti dell’India
contemporanea.
Gupta affronta tutto questo con uno sguardo lucido lavorando
per sottrazione con una modalità che quasi "raffredda” la scabrosità
dell’argomento, accompagnando alcune installazioni con piccoli scritti
delicati. Oggetti che circolano nei
commerci lungo il confine, l’oro, la droga e la nebbia che spesso grava sulla
linea di demarcazione sono collocati da Shilpa Gupta in alcune teche che li
evidenziano ma, al tempo stesso, sembrano volerli sottrarre al COMMERCIO.
La mostra pare particolarmente riuscita perché mette insieme
due sensibilità e due sguardi che la storia avrebbe voluto contrapporre. Non è
la prima volta che l’arte riesce invece nel dialogo, una prova fu, anni fa, con
la mostra "Subcontingente” realizzata dalla Fondazione Sandretto Re
Rebaudengo e, più, recentemente "Indian Highways” che è stata di scena
anche al MAXXI. Ma in questo caso il secco vis-à-vis tra due artisti appare una
scelta curatoriale particolarmente coraggiosa.
Pubblica:
Massimo Nardi