Leone d’Oro a Tino Sehgal per “l’eccellenza e la portata innovativa del suo lavoro che apre i confini delle discipline artistiche”. Credo che questa vittoria possa essere considerata quasi rivoluzionaria e sicuramente molto in linea con la Biennale di quest’anno, perché è una vittoria di quell’arte contemporanea che sfugge qualsiasi logica di produzione e compravendita e che fa del progetto costruttivo l’arma vincente.
Logica che ha seguito Gioni scegliendo artisti sconosciuti o ultrafamosi, già storicizzati, di cui spesso ha selezionato opere datate, fuori dal mercato, lasciando così a bocca asciutta potenziali acquirenti o mercanti.
Logica che, a modo suo, ha sempre seguito Sehgal “smaterializzando” le sue opere d’arte. Lui non realizza opere oggettuali e oggetive ma “solo” situazioni, di fronte alle quali ci si trova increduli, spiazzati, rapiti… è un artista troppo atipico per essere descritto in maniera comprensibile. Agli addetti ai lavori, in casi come questo, piace parlare di tableaux vivants ma non credo che una definizione del genere possa aiutare a capire Sehgal. Il suo lavoro destabilizza, rapisce, ipnotizza. Nella sala dei Giardini di Venezia in cui alle pareti sono esposte le “lavagne” di Steiner, il lavoro di Sehgal è formalizzato da un gruppo di performer di diversa età, sesso, nazionalità che, a turno, si alternano due a due, spesso seduti sul pavimento, con movenze, sibili, sguardi, nenie. Fanno pensare, con i loro turni, a ricambi generazionali in cui resiste un passaggio del testimone con una staffetta che non è qualcosa di concreto ma il rituale stesso.
Guardare due persone umane come opera d’arte è di per sé gia’ un fatto coinvolgente, lo è di più e acquista un significato diverso se le persone coinvolte non sono gli artisti stessi ma altri e se ti sorprendono perché non avvertono di quel che succede, improvvisando in maniera perfetta e spontanea allo stesso tempo. Il valore aggiunto è anche nel fatto che, Sehgal, di fronte a questo, al suo modo di fare arte, scompare del tutto e lascia parlare le situazioni che fa interpretare spesso ad attori, o a ballerini, anche a bambini, spesso ai custodi del museo che vengono istruiti appositamente.
Nato a Londra nel 76, l’artista è anche attualmente candidato al Turner Priz.
La partecipazione a Documenta di Kassel dello scorso anno è solo una delle sue tappe importanti più recenti. Lui ha gia’ partecipato anche a un’altra biennale, quella del 2005, anno in cui ha partecipato con la performance del motivetto poi diventato celebre, improvvisato in maniera corale da un gruppo di attori che fischiettavano”this is so contemporary” in faccia ai visitatori del padiglione tedesco.
Delle sue azioni performance non esiste traccia dal momento che non vuole che si facciano registrazioni e fotografie. Le opere di Sehgal si conoscono per resoconti e passaparola, proprio come nella tradizione orale che si tramanda all’infinito, soggetta alle diverse interpretazioni degli ascoltatori e, in questo caso, dei performers e dei visitatori della Biennale. Valentina Bernabei d.blogautore.repubblica.it