Paolo Gualdi RetinicheVisioni
Fuori dagli occhi, una contro-cultura istintiva
a cura di Marco Nardini
Fuori dagli occhi, una contro-cultura istintiva
a cura di Marco Nardini
La Galleria MiES di Modena inaugura la stagione 2012 con l’obbiettivo di coinvolgere un pubblico eterogeneo e giovane, con l’impegno di valorizzare sia artisti emergenti che di caratura internazionale presenti sul territorio.
L’occasione si presenta ospitando dal prossimo 21 gennaio e fino al 10 marzo 2012: Paolo Gualdi, fotografo, scenografo e art director; dopo quasi vent’anni (1989-2007) in cui nel suo lavoro vi era come una sorta di separazione fra opere temporanee poste all’aperto, ed istallazioni legate alla sua attività di tour musicali, teatrali, convention, spettacoli di piazza ed eventi.
Le sue immagini sono servite come scenografie, proiezioni scenografiche per centinaia di spettacoli come: “Il Cavaliere dell’Intelletto”, opera teatrale di Franco Battiato, Cattedrale di Palermo, Settembre 1994, “Enzo Re”, spettacolo teatrale per la regia di Arnaldo Picchi, con testo di R. Roversi, rappresentato in Piazza S. Stefano a Bologna in occasione di: Bologna Capitale della Cultura del 1998. Oppure “La Boheme”, al 49° Festival Pucciniano di Torre del Lago nel 2003, con le scenografie di Jean Michel Folon e il Tour mondiale del maggio 2005 di “Luciano Pavarotti”. Ora il lavoro di Gualdi si cala in una dimensione destinata a musei e gallerie, una interfaccia tra lo spettatore/ visitatore e l’artista quale produttore di significati. In questi anni la fotografia ritorna ad essere una dei principali interessi della sua professione e vita.
Retiniche Visioni, armoniche e speculari, sottendono una capacità di avanzare oltre il reale. Disposte in sequenze progressive, riordinate, rivelano il movimento dei personaggi nelle stratificazioni come deposito di immagini memoriali; qui si scansiona soprattutto materia, non certo il lato visivo del visibile. Questa nuova opera prima, generata dal lungo corso di Paolo Gualdi, è per lui come una introspezione, un nuovo incontro con la visione, un girar pagina e ritrovare una strada, un percorso che per molti anni è stato celato. Una impressione retinica capovolta, si ricompone, misteriosa come una visione ancora partizionata, nella sua dimensione concettuale, neurologica, anticipativa di frammenti ed istanti: totale.
Una nuova geografia, una mappatura del reale mutuato dal linguaggio del fotosensibile, esprime l’umano; svela l’anima come rilievo di corteccia, un interrotto “flusso” frenetico mentale che è lo smembramento come base e riduzione alla base di un processo di costruzione d’ordine complessivamente risolto. Una idealità insolita: [Po’littico Femminile] composto oltre il reale per il reale da queste 1000 parti di... Isa, Dony, Elisa, Jaya, Laura, Amina, Silvy. Costruzione di infinite altre immagini, attraverso una de-materializzazione di massima tensione simbolica, liberate nella loro sincopata composizione e svelate della lentezza dello sguardo.
Una pluralità di percorsi, sorretti da una accresciuta consapevolezza critica, portano le idee in primo piano, con alcuni falsi movimenti mostrano quello che non c’è, oltre a cosa è accaduto, sequenze rimaste come carezze ricordate, o come testimonianze crude di luoghi e fatti anche violenti, sguardi su verità nascoste. Finestre del Tibet e Le lampadine di Damasco si animano di luci e di movimenti con scarsi elementi per suggerire le varie situazioni, qualche riferimento con l'attuale, evitando una attualizzazione troppo limitativa. Una finestra sul cosmo, dove le immagini solidarizzano legami costitutivi che accompagneranno il viaggiatore.
Una fabbrica della figurazione anche a base di elementi viventi genera da un lato un’umanità frammentata e un’ossessione di idosincrasia con i tratti caricaturali. Dall’altro una elaborazione metonimica delle fratture sociali, dove anche il corpo a frammenti non è quindi molto diverso dai pezzi di corpo o dal fare a pezzi il mondo. Un interessante contrappunto frutto di una controcultura istintiva e viscerale, abile a muoversi fra i linguaggi e media, si trova ora nella posizione ideale per indagare e interpretare il mondo osservato in cui intervene e da cui proviene, con un realismo fortemente radicale. Esistono categorie per tutto ma ogni tentativo di definirne con certezza i contorni vanifica la sua intenzione risolutiva, dove regnano: silenzio, essenzialità, vastità, luce, immobilità apparente; un ipertesto che vuole lavorare su questa idea della rappresentazione non come tessuto ma come corpo, quindi come proiezione di un organismo vivente.
L’occasione si presenta ospitando dal prossimo 21 gennaio e fino al 10 marzo 2012: Paolo Gualdi, fotografo, scenografo e art director; dopo quasi vent’anni (1989-2007) in cui nel suo lavoro vi era come una sorta di separazione fra opere temporanee poste all’aperto, ed istallazioni legate alla sua attività di tour musicali, teatrali, convention, spettacoli di piazza ed eventi.
Le sue immagini sono servite come scenografie, proiezioni scenografiche per centinaia di spettacoli come: “Il Cavaliere dell’Intelletto”, opera teatrale di Franco Battiato, Cattedrale di Palermo, Settembre 1994, “Enzo Re”, spettacolo teatrale per la regia di Arnaldo Picchi, con testo di R. Roversi, rappresentato in Piazza S. Stefano a Bologna in occasione di: Bologna Capitale della Cultura del 1998. Oppure “La Boheme”, al 49° Festival Pucciniano di Torre del Lago nel 2003, con le scenografie di Jean Michel Folon e il Tour mondiale del maggio 2005 di “Luciano Pavarotti”. Ora il lavoro di Gualdi si cala in una dimensione destinata a musei e gallerie, una interfaccia tra lo spettatore/ visitatore e l’artista quale produttore di significati. In questi anni la fotografia ritorna ad essere una dei principali interessi della sua professione e vita.
Retiniche Visioni, armoniche e speculari, sottendono una capacità di avanzare oltre il reale. Disposte in sequenze progressive, riordinate, rivelano il movimento dei personaggi nelle stratificazioni come deposito di immagini memoriali; qui si scansiona soprattutto materia, non certo il lato visivo del visibile. Questa nuova opera prima, generata dal lungo corso di Paolo Gualdi, è per lui come una introspezione, un nuovo incontro con la visione, un girar pagina e ritrovare una strada, un percorso che per molti anni è stato celato. Una impressione retinica capovolta, si ricompone, misteriosa come una visione ancora partizionata, nella sua dimensione concettuale, neurologica, anticipativa di frammenti ed istanti: totale.
Una nuova geografia, una mappatura del reale mutuato dal linguaggio del fotosensibile, esprime l’umano; svela l’anima come rilievo di corteccia, un interrotto “flusso” frenetico mentale che è lo smembramento come base e riduzione alla base di un processo di costruzione d’ordine complessivamente risolto. Una idealità insolita: [Po’littico Femminile] composto oltre il reale per il reale da queste 1000 parti di... Isa, Dony, Elisa, Jaya, Laura, Amina, Silvy. Costruzione di infinite altre immagini, attraverso una de-materializzazione di massima tensione simbolica, liberate nella loro sincopata composizione e svelate della lentezza dello sguardo.
Una pluralità di percorsi, sorretti da una accresciuta consapevolezza critica, portano le idee in primo piano, con alcuni falsi movimenti mostrano quello che non c’è, oltre a cosa è accaduto, sequenze rimaste come carezze ricordate, o come testimonianze crude di luoghi e fatti anche violenti, sguardi su verità nascoste. Finestre del Tibet e Le lampadine di Damasco si animano di luci e di movimenti con scarsi elementi per suggerire le varie situazioni, qualche riferimento con l'attuale, evitando una attualizzazione troppo limitativa. Una finestra sul cosmo, dove le immagini solidarizzano legami costitutivi che accompagneranno il viaggiatore.
Una fabbrica della figurazione anche a base di elementi viventi genera da un lato un’umanità frammentata e un’ossessione di idosincrasia con i tratti caricaturali. Dall’altro una elaborazione metonimica delle fratture sociali, dove anche il corpo a frammenti non è quindi molto diverso dai pezzi di corpo o dal fare a pezzi il mondo. Un interessante contrappunto frutto di una controcultura istintiva e viscerale, abile a muoversi fra i linguaggi e media, si trova ora nella posizione ideale per indagare e interpretare il mondo osservato in cui intervene e da cui proviene, con un realismo fortemente radicale. Esistono categorie per tutto ma ogni tentativo di definirne con certezza i contorni vanifica la sua intenzione risolutiva, dove regnano: silenzio, essenzialità, vastità, luce, immobilità apparente; un ipertesto che vuole lavorare su questa idea della rappresentazione non come tessuto ma come corpo, quindi come proiezione di un organismo vivente.
Una vera contaminazione tra diversi media e diversi campi di lavoro producono una istantaneità intuitiva. Apparentemente inserito all’interno dal dichiarato intento di “previsualizzazione” sia anologico che digitale, è invece la matrice funzionale archetipica del lavoro a segnalare l’orientamento della ripresa fotografica da dettaglio caleidoscopico. La costruzione apparentemente fragile, delicatamente capace di colpire l’animo dell’osservatore con nitidezza, evita terreni già battuti.
Fragilità umana che invece di rivolgersi all’occhio, alla percezione visiva, fa riferimento alla mente, al modo in cui si pensa qualcosa, come una persona/specchio si rivolge all’individualismo e al comportamento, con alcuni affondi nella carne e nelle idee isolate,
“i tuoi passi rincorrono ciò che non si trova fuori dagli occhi, ma dentro”
(Italo Calvino).
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Amalia Di Lanno