giovedì 23 febbraio 2012

Anselm Kiefer_Il Mistero delle Cattedrali



La nuova sede di Bermondsey della galleria londinese White Cube dedica la sua seconda mostra all’artista tedesco Anselm Kiefer, allestendo la più grande personale di quest’autore mai realizzata nella capitale britannica. Con Il miracolo delle cattedrali, Kiefer orchestra un’esibizione pienamente organica e unitaria, che occupa gli 11.000 metri quadri della galleria naturalmente, come fosse un’unica opera ambientale composta da venti frammenti isolati ma comunicanti.


Il titolo rimanda al celebre testo esoterico scritto nel 1926 da Fucarelli, volume in uno magico e scientifico, che si riprometteva di dare ai suoi lettori gli strumenti necessari per dissipare, almeno in parte, la coltre di mistero che ricopriva, e ricopre ancora, molti fenomeni naturali, indicando le cattedrali gotiche quali espressione fisica dei codici alchemici, e quindi potenziale chiave di lettura per i segreti del mondo. L’interesse di Kiefer per questo libro partecipa nella creazione di un nucleo di opere ad alto potenziale mistico, legate tanto al mondo della natura quanto a quello dei prodotti della società post-industriale. Il resto del materiale lo regala la pesante eredità di Joseph Beuys, che, come di consueto, fa ben udire la sua eco tra le realizzazioni del più giovane collega e allievo (si guardi il volo effimero degli aeroplanini di metallo che “percorrono” l’opera Dat rosa miel apibus, e soccombono sotto il peso dell’impossibilità in Samson ).La costante citazione naturalistica, i giganteschi bouquet di fiori metallici, lasciati ad essiccare davanti alle tele, i serpenti giallastri che sembrano muoversi attraverso le forme (Opus Magnum), le ali d’uccello spiegate e già turbate dal vento (Sprache der Vögel, 1989), riscaldano il cemento, insieme all’acciaio di polverose macchine per cucire, di biciclette e di libri dalle pagine vuote, creando reti di legami tra il materiale sofferto delle sculture e quello della pittura, tra le parole tracciate col gesso, gli inserti materici e il nostro stesso sguardo, infine. La cattedrale, il tempio estetico destinato a vincere il tempo, è qui rappresentato da ciò che resta del dismesso aeroporto berlinese di Tempelhof, definito da Sir Norman Foster “madre di tutti gli aeroporti”, ritratto da Kiefer in quattro grandi tele occupanti l’ultima sala dell’esibizione (Die Freimauer, Antonin Artaud Heliogabalus, Dat rosa miel apibus e Tempelhof).L’artista tedesco celebra le forme razionaliste, e i vuoti enormi, di un complesso architettonico una volta lodato fino all’esaltazione (dal regime nazista in particolare), poi declassato ad aeroporto secondario, abbandonato all’incuria, e infine diventato luogo di ritrovo, non-parco cittadino in cui gli abitanti del quartiere di Neukölln amano far volare gli aquiloni. Con Kiefer l’immagine di Tempelhof si fa icona del concetto d’entropia, la misura del disordine che anima e corrode tutto in questo mondo, la naturale tendenza di qualsiasi sistema fisico a passare da uno stato d’ordine a uno di caos, la stessa che l’autore sfrutta quando affida parte della concreta realizzazione dei suo lavori all’azione corrosiva dell’ossidazione, al logoramento materico provocato lasciando tele e sculture in balia degli agenti atmosferici, collaboratori ultimi dell’artista. Kiefer capisce bene come sia proprio il movimento impercettibile causato dal degrado a consegnare agli oggetti una scintilla di vita, e per questo il suo sguardo su Tempelhof risulta tanto caldo, vibrante, tenero.Il vero talento dell’autore risiede proprio in questo, nella capacità di condensare una riflessione articolata, storicamente e filosoficamente motivata, in un corpo fisico elaborato e complesso che riesce, in un istante, a espandersi davanti allo spettatore come fosse cosa leggerissima, pura e immediata comunicazione emotiva, quasi immateriale.Quella di Kiefer è un’arte faticosa e faticata, tanto nella ricerca di pensiero quanto nell’esecuzione materiale, un’arte difficile da concepire, da fare, da comprendere, perfino da comprare. Perché, come egli stesso spiega durante l’incontro con il pubblico in occasione dell’inaugurazione della mostra, l’arte non può, né deve, essere facile: esprimere un giudizio di valore partendo dal successo di mercato è il grande peccato dei nostri tempi, ma è quell’artista il quale permette che ciò accada il solo vero colpevole.In questo autunno/inverno Londra ha saputo tributare notevoli onori all’arte di produzione tedesca, prima con lo show assoluto e celebrativo del caposcuola Gerhard Richter alla Tate Modern, poi con Gesamtkunstwerk, mostra collettiva e promozionale di giovani talenti teutonici alla Saatchi Gallery. Ma se in molti parlano la lingua di Goethe di questi tempi forse solo Anselm Kiefer riesce a elaborare delle rime veramente convincenti, maneggiando nel giusto modo una metrica fatta di appropriate citazioni, riferimenti, riflessioni. E così il suo Mistero si (ri)scopre poesia.


White Cube di Bermondsey St. fino al 26 febbraio 2012


Fonte: http://www.teknemedia.net/


Segnala: Amalia Di Lanno