martedì 28 novembre 2023

MOSTRA DEI FINALISTI DEL CONCORSO TERRAFUOCO / Terlizzi porta un fiore

 




Comune di Terlizzi
Mercoledì 6 dicembre sarà inaugurata la mostra collettiva di presentazione delle opere selezionate per Prima Edizione del Concorso internazionale di Ceramica Artistica e Artigianale “TERRAFUOCO/Terlizzi porta un fiore”, promosso dal Comune di Terlizzi, con la direzione artistica di Pietro Di Terlizzi, docente di arti visive e direttore dell’Accademia di Belle Arti di Foggia e organizzato dall’associazione Eclettica Cultura dell’Arte, presidente Stefano Faccini.

La mostra, a cura di Michela Laporta, si snoderà tra piano terra e sotterranei della Pinacoteca “Michele de Napoli”.

Sezione “DESIGN E ARTIGIANATO” opere di taglio artigianale e di design a firma di Michele CATALDO, Nicola D’ANIELLO, FATTICOLPENNELLO (Angelica Romanazzi e Gaetano Anecchino), Valeria GIOVANNIELLO/Donato ROMITO/Agostino BRANCA, Arianna LADOGANA, Nadia LOLLETTI, Angelica LUCCHETTI, Mirta MORIGI, Massimo NARDI, Olimpia Ilia SCARDIGNO.
Sezione “SCULTURA E INSTALLAZIONE”, opere complesse di Francesco ARDINI, Valeria CURSANO, Paolo DE SARIO, Giuseppe FIORIELLO, Michele GIANGRANDE, Maria JACOMINI, Tammaro MENALE, Ezia MITOLO, Andrea SALVATORI, Antonio SALZANO, Francesco SCHIAVULLI, TECNELAB, Annibale TRANI.
In occasione dell’opening, saranno annunciati i vincitori delle due sezioni che si aggiudicheranno il montepremi totale di 6.000 euro e le menzioni speciali, conferiti dalla Giuria presieduta dal direttore artistico della rassegna Piero Di Terlizzi e da Fabio De Chirico, Direttore del Servizio Arte e Architettura Contemporanee della Direzione Generale Creatività Contemporanea e Rigenerazione Urbana del MiC, Viola Emaldi, curatore d’arte presso AiCC-Associazione Italiana Città della Ceramica, Pietro De Scisciolo, scultore e docente presso l’Accademia di Belle Arti di Foggia, Giusy Caroppo, storica dell’arte, curatore d’arte contemporanea e direttore artistico di Eclettica Cultura dell’Arte, associazione per cui ha curato il coordinamento generale delle fasi del concorso e della mostra collettiva con il presidente Stefano Faccini.

Informazioni e dettagli della mostra sono pubblicate sui siti
www.comune.terlizzi.ba.itwww.ecletticaweb.it
www.circuitodelcontemporaneo.it

Teorèma Celèste di Ilaria Abbiento

Ilaria Abbiento_Teorèma Celèste, 2020


Ilaria Abbiento ha concepito Teorèma Celèste non solo come un'installazione artistica, ma come la conclusione significativa di un percorso di memoria. L'opera si fonde in modo organico con la Sala Circolare di Palazzo Fondi, un luogo che, per diversi anni, ha custodito silenziosamente l'onere di una storia significativa, ora dimenticata. Originariamente destinata a commemorare le vittime civili della prima guerra mondiale, la sala ha subito, come tutto il palazzo, gli affanni dell'abbandono. La memoria dei caduti, incisa nei marmi delle pareti, è stata privata di “voce”. I loro nomi, una volta saldamente presenti, sono scomparsi, lasciando solo “buchi” di ricordi.

In questo contesto, il progetto Sala Circolare si è manifestato in un ciclo di dieci capitoli - di cui Teorèma Celèste è l'ultimo – ciascuno contribuendo in modo unico a restituire la memoria a questa sala dimenticata. Attraverso 10 visioni artistiche differenti il progetto ha ri-creato la memoria di una caratteristica intrinseca al territorio napoletano, trasformando la sala senza intervenire materialmente su di essa. 

Teorèma Celèste emerge come l'unico capitolo dedicato in modo esplicito alla memoria di una persona speciale per l’artista: Oscar, suo padre. In questo lavoro, l'artista ha intessuto una narrazione visiva che va oltre i confini dell'arte immateriale, onorando la memoria del genitore in modo tangibile. L'installazione si fonde con la storia della Sala Circolare, completando il cerchio della memoria e riportando in vita ciò che era stato perduto. 

La mostra completa un itinerario tra due luoghi della città, che sono stati reinterpretati in modo temporaneo da un'istallazione di Ilaria Abbiento: Incanto nel tratto dell'Acquedotto Augusteo gestito dall'Associazione VeginiSanità (visibile nei week-end, fino al 7 gennaio) e Teorèma Celèste a Palazzo Fondi. Mentre all'Acquedotto lo sguardo dell'artista di rivolge in basso, verso la terra, ricreando un paesaggio marino immerso nelle profondità della città; a Palazzo Fondi lo sguardo di Ilaria Abbiento si rivolge in alto, verso il cielo, facendo del paesaggio marino il simbolo dell'inizio di un viaggio... verso l'infinito. 

Si ripropone qui a seguire il testo lirico scritto da Ilaria Abbiento a complemento della ricerca da cui è scaturito Teorèma Celèste. 

sono una conchiglia 

Nel perimetro della mia camera mi chiedo quale sia la misura di una distanza. 

Aldilà dei vetri la Terra, assorbita dal silenzio, si prende cura della mia malinconia. 

L’unico suono di cui ho nostalgia è quello delle sirene delle navi che si allontanano dal porto. Il tempo, ora, si cristallizza per dar luce alla memoria. 

Ricordo quando da piccola salivo con te sul tetto della casa in campagna a guardare le costellazioni. Ogni estate ti facevo sempre la stessa domanda. 

Poi diventeremo stelle? 

E tu, sorridendo: sì, ed è lì che un giorno ci incontreremo ancora. 

Ora ti cerco tra le meccaniche celesti, nelle mappe stellari, 

nel formulario azzurro in cui riscrivo un’equazione per risolvere la teoria della distanza. 

Nei sali marini di una carta del cielo immaginaria. 

Provo a orientarmi tra i meridiani e l’equatore, nelle coordinate di una terra irrigata dagli astri. E ti conservo, nella fotografia di te bambino che, come un piccolo marinaio, 

naviga nel suo mare d’argento. 

***** 

Ilaria Abbiento_Teorèma Celèste, 2020_frame dall'opera video

Ilaria Abbiento è un’artista partenopea. La sua ricerca artistica, incentrata da molti anni sul mare, parte da un’immersione introspettiva volta a costruire una narrazione poetica che, costellata da immagini, materia, testi poetici e letterari, percorre itinerari cartografici immaginari e indaga il suo oceano interiore. La sua pratica spazia dalla fotografia, alle installazioni site-specific, al video. Allieva dell’artista Antonio Biasiucci nel 2012, orienta il suo percorso verso una ricerca artistica autoriale. Le sue opere sono state esposte in molte gallerie d’arte e musei prestigiosi sia in Italia che all’estero tra cui Fondazione Pino Pascali, Polignano a Mare (2022), PAC-Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano (2022), Acquario Civico, Milano (2022), Pac/Porto d’Arte Contemporanea, Salerno (2021), Institut Culturel Italien, Parigi, Francia (2021), Fondazione Francesco Fabbri, Treviso (2021), Fondaco Arte Contemporanea, Bra (2021), Museo di Villa Pignatelli, Napoli (2019), Art Pur Gallery, Riyad, Arabia Saudita (2019), Hafez Gallery, Jeddah, Arabia Saudita (2019), Le Quadrilatère Galerie, Beauvais, Francia (2018), Castel Dell’Ovo, Napoli (2017). Alcune opere sono presenti in Collezioni d’Arte pubbliche e private tra cui il Museo Pino Pascali, Imago Mundi Art, e la Biblioteca Vallicelliana di Roma. Ha partecipato a varie residenze d’artista tra cui Residenze Mediterranee, Corsica (2021), Plaza Art Residency, isola di Capraia (2020), The Photosolstice, isola dell’Asinara, Sardegna (2019), BoCs Art, Cosenza (2015). Ha esposto in Festival di fotografia internazionali tra cui Recontres PhotoGaspésie, Canada (2023), Photolux Festival, Lucca (2022), Photaumnales, Francia (2018). Ha vinto diversi premi e ha avuto molti riconoscimenti, tra cui un’opera finalista alla decima edizione del Premio Francesco Fabbri per le arti contemporanee (2021).

Ilaria Abbiento | Teorèma Celèste 
A cura di Marco Izzolino
Sala Circolare, Palazzo Fondi
via Medina 24, 80133, Napoli 
Aperta tutti i giorni dalle 10 alle 16 

Opening venerdì 1 dicembre 2023 ore 18





Vettor Pisani | L'enigma e il segreto

Vettor Pisani, Senza Titolo 2005. Courtesy Fondazione Morra, Napoli ph. Diana Del Franco

La Fondazione Pino Pascali è lieta di annunciare la mostra personale di Vettor Pisani dal titolo “L’Enigma e il Segreto”, a cura di Giovanna dalla Chiesa e Carmelo Cipriani.

L’evento si inserisce nel prosieguo del nuovo format di Fondazione Pino Pascali "Confluenze" dedicato ad artisti che nel corso della loro carriera hanno incrociato la vita, la storia e l’opera di Pino Pascali innescando relazioni e straordinarie congiunture.

La mostra che ha il pregio di far luce per la prima volta sugli anni baresi dell'artista, è con oltre 60 opere tra disegni, collage, sculture, installazioni, progetti e stampe in pvc, la più ampia retrospettiva dedicata sino ad oggi a Vettor Pisani in terra di Puglia. Un focus, una lente per penetrare nell'universo del grande maestro, insignito del Premio Pascali nel 1970, senza operare alcun taglio storico, ma andando al vivo della sua complessità. Come nel caso di Pino Pascali, quel cosmo rappresenta il genio di una terra ricca di fermenti, percorsa in lungo e in largo da culture che ne hanno alimentato l'immaginario e, insieme, da un sofisticato spirito numerico, come quello di Fibonacci, che aleggia ovunque, convocando ripetutamente, sotto i nostri occhi, il mistero di un ordine geometrico, che orienta e ordina lo scheletro del mondo. Il cuore dell'opera di Vettor Pisani risiede nel suo Theatrum - R. C. Theatrum = Teatro Rosacroce e insieme Theatrum mundi - alla cui creazione ha collaborato per tutta la vita Mimma Pisani - un'architettura ideale, a forma di doppia semi croce, intorno a cui ruotano le più variegate espressioni del mondo fenomenico, in perenne metamorfosi tra gli estremi di Eros e Thanatos, di Realtà e Finzione, di Vita e di Morte. La complessità di questo universo invita ad annodare i fili che ne formano il nucleo profondo e chiede, semmai, che con i giusti accorgimenti, ciascuno ne ricerchi la chiave, nel rispetto del segreto che sta al fondo di ogni esistenza, come di ogni invisibile interiorità. Gli scorci, che le Sette Sale dell'esposizione – numero caro a Vettor Pisani, come somma del Tre e del Quattro, simboli di Spirito e Materia – presentano, vanno dagli esordi all'epilogo, dal centro alla periferia, attraverso un percorso frastagliato e prismatico che dagli Anni Settanta giunge fino ai Duemila, ma approda sempre a un centro: la doppia semi croce de Il Coniglio non ama Joseph Beuys della Biennale di Venezia del 1976, capace di agire e di espandersi, ogni volta, lungo i propri assi cardinali da Nord a Sud, da Est a Ovest, per aprirsi poi, verso un orizzonte infinito. Oltre ai temi di Edipo e la Sfinge – de Lo Scorrevole, della Piccola (con Fratel Coniglietto) e de la Grande Opera (con la Casa filosofica, Virginia Art Theatrum, sospesa su una cava di travertino, simbolo del processo da cui dovrà scaturire la Pietra Filosofale) – e alla qualità delle singole opere, la mostra presenta alcune splendide incursioni in un mondo privato e intimo, dall'intenso profumo di sogno e di erotismo – come nel magnifico ambiente di Animanimale (2008) – o al contrario, nella tragica storia dell'Occidente – come in GER:MANìA (1991) – che l'artista affronta ideologicamente, o ancora, nelle splendide installazioni di Concerto invisibile di Gino De Dominicis e Il Ventre della Gioconda, in cui Vettor Pisani era maestro. L'esposizione, in collaborazione con l'Archivio Vettor Pisani, presenta per la prima volta in Puglia un ricco corpus di opere - disegni, collage, sculture – un nucleo di video di Mimma Pisani - installazioni, progetti e stampe in pvc, che troveranno il loro approdo in un catalogo bilingue - italiano e inglese - (edizioni Sfera) che ne documenta gli aspetti, con saggi di Giovanna dalla Chiesa, Carmelo Cipriani, Asia Benedetti, Achille Bonito Oliva e Mimma Pisani.

Biografia
Nato a Bari il 14 giugno 1935, amava raccontare di essere figlio di un ufficiale della Marina e di una ballerina di strip-tease e di essere nato a Napoli o ad Ischia, isola che, insieme a Capri, ricorre di frequente nelle sue opere, dagli anni Settanta ai Duemila. Fin da giovane anima la vita culturale barese facendosi promotore d’iniziative d’avanguardia. Nel 1963 inaugura la Galleria La Metopa, con una personale di Aldo Calò. Nel 1965 costituisce, insieme a Gianni Leone (giovane intellettuale barese, che due anni prima lo ha affiancato nella nascita de La Metopa), il gruppo La Gironda che nel 1966 porta al Teatro Piccinni il Living Theatre. Esperienze che già rivelano il suo spirito anticonformista, in cui presto coinvolge anche Carmela Bruno, per lui e per tutti Mimma, che presto diventa la sua compagna di vita. Giunto a Roma nel 1968, nel 1970 tiene la sua prima personale “Maschile, femminile e androgino. Incesto e cannibalismo in Marcel Duchamp” presso la Galleria La Salita. La mostra non solo lo inserisce nell’ambiente d’avanguardia della capitale, ma gli fa aggiudicare in quello stesso anno la seconda edizione del Premio Nazionale “Pino Pascali”. Del 1970 è anche la partecipazione a “Vitalità del negativo nell’arte italiana 1960-70”, curata da Achille Bonito Oliva a Palazzo delle Esposizioni. Nel 1972, nello studio di Elisabetta Catalano, realizza l’installazione-performance Lo scorrevole (già esposta a Bari, ma senza performer femminile), presentata in quello stesso anno a Documenta 5 a Kassel. L’anno successivo presenta la performance Androgino. Carne umana e oro a “Contemporanea”, curata da Bonito Oliva e allestita nel nuovo parcheggio sotterraneo di Villa Borghese non ancora adibito allo scopo. Nel 1973 tiene con Michelangelo Pistoletto la mostra “Plagio” alla Galleria Marlborough di Roma. Nel 1976 è invitato a partecipare alla Sezione Ambiente della XXXVII Biennale di Venezia con Il coniglio non ama Joseph Beuys, opera anticipatrice di una ricerca che si protrarrà lungo tutta la sua carriera artistica. A quel primo invito a Venezia seguono quelli nel 1978, 1984, 1986, 1990, 1993 e 1995. Insofferente alle convenzioni e alla concezione tradizionale del fare arte, partito da Duchamp, De Chirico e il surrealismo e dai più prossimi Beuys e Klein, rintraccia in seguito la sua personale mitografia nella pittura di Böcklin (costante è il riferimento all’Isola dei morti) approda a Khnopff, Klinger, Moreau, Bellmer, fino al contemporaneo De Dominicis. Si appassiona all’alchimia e alla filosofia Rosacroce, intesa come stato di perfezione morale e spirituale, volto a diffondere le arti sotto l’egida di un’elevata spiritualità. Pratica indistintamente performance, installazione, scultura e collage. Attinge liberamente alla storia dell’arte, mixando opere celebri a immagini tratte dai rotocalchi. Nei decenni tra gli Ottanta e i Duemila la sua attività artistica si fa intensa. Negli anni Ottanta inizia la sua importante riflessione sul mito di Edipo e la Sfinge, con cui chiarisce l’importanza del Simbolismo come origine della modernità. Nel 1982 partecipa ad “Avanguardia/Transavanguardia” a Roma e ad “Italian Art Now: an american Perspective” al Guggenheim Museum di New York. Nel 1995, a Serre di Rapolano presso Siena, individua il luogo dove dare origine al Virginia art theatrum (Museo della Catastrofe), vasto progetto che lo impegna fino al 2006. Identifica nella dimora dinanzi alla Piramide Cestia e al Cimitero acattolico, cimitero degli artisti e dei poeti dove, nel 1986, aveva scritto di voler essere sepolto, il suo studio e ultima dimora, dove si toglie la vita il 22 agosto del 2011. Nel 2012 il MACRO di Roma organizza il primo omaggio a Vettor Pisani, post mortem a cui seguono varie personali. Tra il 2013 e il 2014 il MADRE di Napoli organizza una sua grande retrospettiva “Eroica/Antieroica". La mostra, che si svolge in rapida successione a Napoli e a Bari, nel Teatro Margherita, rispettivamente sua città elettiva e città natale, mette in luce la complessità della sua ricerca.

VETTOR PISANI. L’ENIGMA E IL SEGRETO
a cura di Giovanna dalla Chiesa e Carmelo Cipriani

Inaugurazione: 2 dicembre 2023, ore18

Apertura al pubblico: 2 dicembre 2023- 25 febbraio 2024
Orari: dal mercoledì alla domenica 10/13 – 16/20

Fondazione Pino Pascali, Via Parco del Lauro 119
Exchiesetta, Via Porto, centro storico
Info: 080 424 9534 - press@fondazionepascali.it
+39 3201122513


venerdì 17 novembre 2023

Alice e Ahad. Humus

Alice e Ahad, Futuro anteriore, 2020, scultura di polvere

La vita segreta della polvere si svela nella mostra Humus, la prima personale romana del duo italo-iraniano Alice e Ahad (Alice Mestriner e Ahad Moslemi), ospitata dal 18 novembre 2023 al 14 gennaio 2024 nelle stanze di Casa Vuota, lo spazio espositivo indipendente in via Maia 12 a Roma. 

L’osservazione della stratificazione di tracce e sedimenti prodotti dal passaggio del tempo in uno spazio vissuto è al centro dell’intervento site specific pensato dagli artisti per gli spazi di Casa Vuota. Alice e Ahad presentano al pubblico estroflessioni scultoree che interagiscono con l’architettura, aggregatori mobili di particelle, archivi fotografici di ispezioni microscopiche, annotazioni visive e tappeti come giardini di infiorescenze particolari, opere in dialogo fra loro e con lo spazio.

Alice e Ahad iniziano a utilizzare la polvere come materia prima e snodo teorico della loro ricerca artistica nel 2017, a partire da un progetto installativo costruito all’interno di una dimora seicentesca, Villa Memo Giordani Valeri a Quinto di Treviso. “Siamo rimasti affascinati dalla ricchezza e dalla struttura di questa materia”, raccontano, spiegando che il loro intento è andare a “svelare le presenze assenti, eppure vive e tangibili, di quello che è stato tracciato, traducibili attraverso un’immagine altrettanto viva, tangibile ed effimera, fatta di polvere: sede dell’identità, della storia, della vita, della trasformazione e della sedimentazione, che porta alla narrazione degli eventi che sono successi e succedono al suo interno”.

La polvere che sostanzia le visioni e gli oggetti artistici di Alice e Ahad viene analizzata come concetto e struttura: secondo gli artisti “è un nome collettivo che si apre all’interpretazione, memoria plastica ed estetica dell’immortalità”.
“Identità in divenire, cronologie e intrecci pulviscolari – annotano Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo – si mostrano attraverso le memorie impresse sugli elementi costitutivi dello spazio, che si fanno linguaggio. Ecco aggregarsi il corpus della polvere, il suo trionfo e la sua vitalità postumana, con l’imponderabile molteplicità delle storie che raccoglie nella forma di frammenti, via via ricomposti in un’unità mobile e sconfinata, senza inizio né fine”.
L’humus che dà il titolo al progetto espositivo – scrivono i curatori della mostra – è una sostanza vitale cherisignifica il negativo, invertendo la sua polarità per affermare un potenziale creativo palingenetico. L’unione delle particelle di cui è composta la polvere è arricchimento, catalizzatore di vita. Il presente è fatto di storie sempre nuove e per Alice e Ahad, nella trasformazione della materia e nel suo rimescolamento, il vuoto della decostruzione porta con sé la possibilità di abitare forme rinnovate, elementi plastici che si fanno nel momento stesso in cui si lasciano raccontare, trattenendo il fiato nel timore che si disgreghino con la stessa facilità con cui si sono formati”. 

La ricerca artistica di Alice e Ahad si concentra sullo studio e sulla formazione dei significati che si trasformano o vengono modificati, perduti o ridefiniti dal corso del tempo. Il significato è un gioco della lingua: un’associazione relativa, astratta e convenzionale, decisa a posteriori, che a intervalli precisi di tempo ha la capacità di creare e definire l’identità della realtà e allo stesso tempo l’irraggiungibilità della stessa. Estendendosi così in un’archeologia infinita dove i frammenti sono indizi necessari ma non sufficienti. “Esiste un forte legame tra l’identità, il linguaggio e il tempo – dichiarano – e questo legame che dà significato alle cose è un gioco percettivo tra noi e il mondo”. Il luogo e la forma in cui tutto questo si manifesta per Alice e Ahad è la polvere, intesa come un insieme vivo di tracce e non come il ricordo di ciò che è stato. Il percorso di ricerca del duo si muove da questa materia plastica verso l’esterno. “Osservando le narrazioni contenute all’interno della polvere – spiegano gli artisti – intraprendiamo percorsi di lettura suggeriti dalla materia stessa, nei quali si riflettono alcune problematiche contemporanee. La struttura e la formazione della polvere ci portano a descriverla come una nuova forma simbolica della contemporaneità. La composizione della polvere spazia tra biologia, scienza, tecnologia, filosofia, antropologia, sociologia, psicologia, archeologia e linguistica, silenziosa sede dell’estetica dell’immortalità”.

Alice Mestriner (Treviso, 1994) e Ahad Moslemi (Teheran, 1983) vivono e lavorano tra Italia e Iran. Studiano rispettivamente in Italia all’Università Iuav di Venezia frequentando il Master in Arti Visive in Canada all’Université du Québec a Trois-Rivières, in Turchia all’Università di Hacettepe e in Iran. Si incontrano in Canada nel 2016 e danno inizio alla loro collaborazione artistica che si basa sull’intersezione di tempo, linguaggio, identità, memoria e coabitazione, che dà origine al lavoro sulla polvere come nuova forma simbolica. Entrambi nel 2016 collaborano con Ola-Dele Kuku e organizzano la conferenza “A Continuous State of Time” per la 56.a Mostra Internazionale di Architettura alla Biennale di Venezia. Nel 2018 frequentano insieme a Londra il corso Erasmus+, Mobility of Youth Workers, “Social Inclusion Through Artistic Tools’’. Nel 2020 frequentano il corso della Harvard University “Tangible Things: Discovering History Through Artworks, Artifacts, Scientific Specimens, and the Stuff Around You’’. Nel 2022 si laureano (MA) in Arti Visive all’Università Iuav di Venezia e prendono parte al progetto europeo COME2ART: “Introducing a collaborative scheme between artists & community members fostering life skills development and resilience through creative placemaking”. Accanto alla loro ricerca artistica hanno creato workshop e programmi educativi in scuole, università e aziende.

Ahad Moslemi vive le conseguenze della Rivoluzione Islamica del 1979, un evento che ha cambiato completamente la cultura e la società del suo paese. Analizza e ricerca lo sviluppo e gli effetti di queste e nuove definizioni. Nel 1998 inizia i suoi studi alla scuola di Belle Arti di Teheran. Nel 2011 emigra in Canada dove frequenta il Cégep Du Vieux Montréal, continuando poi all’Università del Québec a Trois-Rivières nel dipartimento di arti plastiche. Partecipa a mostre e conferenze a Montreal, Quebec, Messico, Grecia, Venezia e Portogallo. Nel 2016 vince il Prix du Doyen con il progetto “Les Conséquences de la guerre sur les enfants”. Nel 2017 partecipa espone nel North Adams (U.S.A.) per la Biennale di stampe.

Alice Mestriner (Treviso, 1994) si avvicina alla filosofia del linguaggio nel corso dei suoi studi al Liceo Artistico Statale di Treviso. Questo incontro modifica e influenza la sua ricerca basata sull’osservazione degli atteggiamenti umani e gli influssi del linguaggio sugli stessi. Nel 2015 è in Turchia per studiare alla Hacettepe University di Ankara con il programma Erasmus. Finisce gli studi con un internship in Canada, nel Quebec. Frequenta le lezioni di Antropologia Culturale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Nel 2017 si laurea all’Università I.U.A.V. di Venezia in Arti Multi-mediali e frequenta il NODE Institute di Berlino. Vince una menzione d’onore in fotografia da Monochrome Awards. 

La mostra, curata da Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo, viene presentata al pubblico sabato 18 novembre dalle ore 18 alle 21 e dopo l’inaugurazione è fruibile dai visitatori su appuntamento, prenotando ai numeri 3928918793 o 3284615638 oppure all’email vuotacasa@gmail.com

INFORMAZIONI TECNICHE:
TITOLO DELLA MOSTRA: Humus
ARTISTA: Alice e Ahad
LUOGO: Casa Vuota – Roma, via Maia 12, int. 4A
QUANDO: dal 18 novembre 2023 al 14 gennaio 2024
ORARI: visitabile su appuntamento
VERNISSAGE: 18 novembre 2023 (orari: 18-21)
INFORMAZIONI: cell. 392.8918793 – 328.4615638
vuotacasa@gmail.com INGRESSO GRATUITO

Odds, rarities and B-sides Vol.3 | videoarte da COSMO

Sara Bonaventura, framed Diapason

Il 17 Novembre 2023 Cosmo presenta la terza edizione della rassegna di videoarte Odds, rarities and B-sides, a cura di Nicoletta Provenzano e con la direzione artistica di Zaelia Bishop. 

Come nelle precedenti edizioni, la rassegna viaggia dentro i confini dell’eccezionalità, del bizzarro, del limite e della meraviglia, dove ogni singola poetica si fa scandaglio della natura e della sua seduzione, di limiti e frontiere di un indefinibile interno ed esterno fisico e cosciente, della realtà e dei suoi linguaggi, politici e tecnologici, euritmici o dissonanti, mordaci o canzonatori, melanconici e simbiotici. 

Gli artisti Sara Bonaventura, Basmati video (Audrey Coïaniz e Saul Saguatti), Sabrina Casadei e Masiar Pasquali, Marina Fomenko, Luca Grimaldi, Pedro Milagres, Maria Pia Picozza, Pietro Radin & Evi Stamou, Marco Raparelli, Gysin & Vanetti, esplorano parti di mondo dagli equilibri sconosciuti e incantati, percorsi di una umanità colta nella pungente ironia, invasioni ed intrusioni tecnologiche nel pensiero e nell’azione quotidiana, routine di vite che sembrano fuori del tempo, superfici di una natura sconfinata, non dissimile al sentire dell’individuo, conflitti e introspezioni di una coscienza alla ricerca di quiete, tra la dimensione interiore ed esteriore, corporeità e frequenze di armonica risonanza, attese e assenze dell’immobilismo politico, esplicitate con giocosa irriverenza, spazi cortocircuitali della percezione nella sperimentazione e intersezione di forze fisiche, luoghi marginali identitari costruiti da intrecci e grovigli, passaggi e impossibilità. 

Sara Bonaventura - con la performer Annamaria Ajmone e il sound designer Omar Contri - nel video Diapason conduce in un viaggio straniante, sinestetico e sintonico nei contorni del se’ e dell’esterno da sé. Il sodalizio artistico Basmati video, nella realizzazione autoriale di Audrey Coïaniz con le musiche di Filippo Bonelli, con il video Crack-Split attua una riflessione stringente sulla realtà tecnologica e sulla sua invisibile quanto inesorabile intromissione estraniante. Sabrina Casadei e Masiar Pasquali in The Icelandic diary ci introducono in un racconto di viaggio lungo distese di bianchi assoluti, di colori struggenti, di silenzi che contano i passi, di paesaggi e voci di vento che portano verso il mare del nord. Marina Fomenko – con le musiche di Paolo Ricci – nel video Modus Operandi / Afloat esplora la vita delle case galleggianti nel mar Cinese Meridionale, sul lungomare di Shenzhen, la città tecnologicamente più avanzata su scala mondiale, che vive al contempo un mondo antico, fermato tra gli equilibri di una vita spesa in mare, oltre la diacronia.  Luca Grimaldi con Mute footage of a president's speech without president porta l’osservatore nelle linee dell’assurdo, nell’attesa immobile di un accadere, all’interno di una compagine politica istituzionalmente pronta alla solennità del discorso presidenziale, che rimane muto e assente. Pedro Milagres - con il performer Kave Rocha e le musiche di Julio Guatimosim - in Deep breath, tra sfera meditativa e incontro/scontro con il mondo esteriore, tra corpo fisico e immaginario, si insinua nelle pieghe di un conflitto intimo alla ricerca dell’equilibrio. Maria Pia Picozza - nel video realizzato in collaborazione con Pierluca Zanda (148 Produzioni Audiovisive) e le musiche originali di Marco Ubik Bonini – indaga la frontiera e la relazione tra interno ed esterno, nell’impossibilità di accedere completamente all’altro in una osservazione sdoppiata tra soggetto e strumento indagatore, nell’impossibilità di riconoscersi completamente nella mutevolezza dell’accadere. Evi Stamou & Pietro Radin - con la performer Eleni Danesi e le voci di Maria-Isidora Vincentelli, Elektra Stamboulou, Vera Shchelkina e Anna Hentschel -, ispirati dagli scritti di Pia Pera, in Not Unlike a Plant evidenziano il legame tra individuo e natura, nel tempo che scorre, nella necessità di cura, nell’affrontare le intemperie, nell’appassire. Marco Raparelli con Palleggio & Muscles, nell’incisività del bianco e nero del linguaggio dei comics, rivela sfaccettature e paradossi sociali, stranezze e contraddizioni dell’individuo nel suo rapporto con il corpo e con la reiterazione di azioni ed esibizioni solitarie e senza scopo. Il duo artistico Gysin & Vanetti nel video Shaker derivato da una installazione interattiva, tramite una telecamera di videosorveglianza, investiga il piano percettivo e la forza di gravità in una relazione e reazione che sconfessa l’esperienza del reale e le sue leggi scientifiche. 

La rassegna Odds, rarities and B-sides Vol.3 nello scorrere degli accenti ritmici di ogni singolarità visiva si proietta in una peregrinazione che sonda territori e umanità, realtà e relazione, interiorità ed esteriorità, possibilità e pericoli, straordinarietà e assurdi, umorismi e rarità. 


 
INFO:
ODDS, RARITIES AND B-SIDES VOL. 3
videoart exhibition
a cura di Nicoletta Provenzano, con la direzione artistica di Zaelia Bishop
17, 18, 19 Novembre 2023

Opening 17 Novembre 2023 ore 18:30 – 22 

COSMO - Piazza di Sant’Apollonia 13 (Trastevere) – Roma
Dal martedì alla domenica, dalle 17 alle 21

giovedì 16 novembre 2023

Se la pittura è morta qualcuno avvisi la famiglia | Stefano Cardaropoli Nunzio Fucci Gianmaria Giannetti


“Non c’è niente di più difficile per un pittore veramente creativo del dipingere una rosa, perché prima di tutto deve dimenticare tutte le altre rose che sono state dipinte”, osservava Henri Matisse”. Mentre Keith Haring tagliava corto: “La più grande ragione del dipingere è che non c’è ragione di dipingere”. E” un dibattito ormai più che secolare, per certi versi anche un tormentone: che potenzialità ha ancora quale medium artistico un linguaggio antichissimo e apparentemente anacronistico come la pittura? Ferita gravemente già nell’800 con l’avvento della fotografia; agonizzante con le Avanguardie storiche di fronte all’invenzione del collage o del ready made; coinvolta nella critica al mercato nel sistema capitalistico borghese; rianimata solo come oggetto di tautologica riflessione concettuale e post. Perché ormai la pittura va intesa anche in un’accezione espansa, può protendersi oltre la superfice piana del supporto e invadere altri spazi. Non a caso un protagonista dell’arte povera come Kounellis, pioniere nell’uso di inediti e vitalistici materiali, ha sempre continuato a definirsi un “pittore. Il legame con la propria dimensione esistenziale (accentuata dal fatto che molte delle opere sono nate tra le mura domestiche durane il covid) è del resto uno dei trait d’union di questa iniziativa, che ha come primo movente l’amicizia di lunga data fra i tre artisti. Un mood affettivo e a tratti malinconico ma che, con temperature diverse, viene sdrammatizzato sempre dall’ironia e dal gioco. Il sorriso funziona infatti come antidoto alle inquietudini personali e al collasso epocale. Mentre la pittura, così alleggerita, spuria e privata di belletti formali, rivendica la sua capacità di porsi come investigazione e punto di domanda: su se stessa ma anche sul nostro stare al mondo.

“Se la pittura è morta qualcuno avvisi la famiglia” 
Opere in mostra di: Stefano Cardaropoli Nunzio Fucci Gianmaria Giannetti
dal 18 novembre al 11 dicembre 2023
a cura di Rosemarie Sansonetti
Testo Critico Antonella Marino

INAUGURAZIONE sabato 18 novembre 2023 ore 18.30 

Museo Nuova Era, Strada dei Gesuiti 13, 70122, Bari 
Aperti da Giovedì a Sabato ore 17.30 , 20.00 e per appuntamento 
Info: +39 3334462929 

Luce Delhove | Linea Mares

Luce Delhove, asper mare, 2023, tempera su viseline, cm 47x39


LA__LINEA Arte Contemporanea inaugura, giovedì 23 novembre 2023 alle ore 18.00 Linea Mares, una mostra personale di opere su carta e viseline dell’artista Luce Delhove che si forma a Roma, ma che opera tra Roma, Milano e Città della Pieve. In mostra saranno esposte le sue recenti opere grafiche: una serie di incisioni a bulino, puntasecca e rotella dal titolo “Linea mares”, che invitano ad entrare nei riflessi e nei moti dell’acqua attraverso segni incisi in maniera diretta su matrici di rame e stampati su carta con inchiostro nero. Inoltre saranno esposte una serie di opere su viseline, eseguite con la tecnica pittorica della tempera dove i protagonisti assoluti sono il colore azzurro, le sue trasparenze e le sue sfumature; attraverso lo spontaneo gesto pittorico che richiama alla mente il movimento dell’acqua, Luce Delhove conduce lo spettatore a riflettere sulle forme della natura oltre a mostrarci il suo universo interiore.

Linea Mares
Luce Delhove
a cura di Virginia Carbonelli e Simona Pandolfi

Inaugurazione giovedì 23 novembre 2023, ore 18.00

Dal 23 novembre al 6 dicembre 2023
Orario settimanale: dal martedì al venerdì, ore 17.00/19.30

la__lineaartecontemporanea
Via di San Martino ai Monti, 46 - 00184, Roma
lalinea.arte@gmail.com

giovedì 9 novembre 2023

Claudio Orlandi. Ultimate Landscapes



In occasione dei 15 anni dal lancio di Ultimate Landscapes, il progetto fotografico che racconta la fusione dei ghiacciai alpini, protetti da una “coperta termica” per prevenire i danni della crisi climatica, Claudio Orlandi inaugura la mostra “L’ambiente che ci rispecchia. Scegliere oggi quel che vorremmo essere domani” mercoledì 15 novembre al Fineco Center di via Simone Martini a Roma. 10 fotografie d’autore scattate nel corso di vari anni, dal 2018 fino al 2021, in diversi formati dal 40x60, 50x75, 60x90 più una panoramica 60x185. Una mostra non solo per ammirare la bellezza dei panorami all’apparenza immutabili dei ghiacciai attraverso le fotografie d’autore di Claudio Orlandi, ma anche per riflettere sul tema della crisi climatica connesso a quello della fusione dei ghiacciai, un problema che richiede una soluzione sempre più urgente.

Con la mostra “L’ambiente che ci rispecchia. Scegliere oggi quel che vorremmo essere domani” Claudio Orlandi festeggia il quindicesimo anniversario di “Ultimate Landscapes”, un progetto fotografico sull’arretramento dei ghiacciai alpini. Le fotografie d’autore di Claudio Orlandi ritraggono i ghiacciai del Presena, sopra il passo del Tonale, e il ghiacciaio dello Stelvio, in Italia, ma anche il ghiacciaio dello Zugspitze, la vetta più alta della Germania, il ghiacciaio dello Stubai in Austriae i ghiacciai Diavolezza e Rhonegletscher in Svizzera. 

Ultimate Landscapes è una narrazione per immagini di Claudio Orlandi sui ghiacciai della catena Alpina e sulle strategie volte a preservarne la struttura e la presenza che ci invita a una riflessione globale sulla condizione del nostro pianeta in questo delicato momento storico. Un long-term project partito nel 2008 attraverso il quale il fotografo romano riprende in differenti sessioni annuali l’evoluzione e la tecnica di “copertura” di questi ghiacciai.

Claudio Orlandi nasce a Roma, dove vive e lavora. Appassionato di Fotografia da sempre, dal 2010 vi si dedica completamente esponendo e partecipando a mostre ed Art Fair e pubblicando le sue foto sulle maggiori riviste di settore. Ha da sempre cercato di ricreare una visione differente attraverso la sua Fotografia, esaltando un punto di vista tendente a confondere le idee di chi osserva, tramite una metamorfosi controllata del dato percettivo già implicita nei soggetti stessi. Durante i 15 anni di “Ultimate Landscapes” l’arretramento dei ghiacciai è diventato gradualmente un problema sempre più grave. Basta pensare al Ghiacciaio del Miage in Italia che ha perso oltre 100 miliardi di litri d’acqua dal 2008 ad oggi. Se il 2022 era stato chiamato l’annus horribilis dei ghiacciai, con arretramenti record nelle zone italiane, il 2023 è riuscito a registrare dati ancora peggiori. Secondo il rapporto di Greenpeace Italia e del Comitato Glaciologico Italiano, le ondate di calore di quest’anno hanno comportato una fusione ancora maggiore dei ghiacciai italiani, con una perdita di 9 cm di spessore in media al giorno. Oggi, ancor più di 15 anni fa, è sempre più necessario sensibilizzare sul tema della crisi climatica, per favorire azioni concrete a protezione del patrimonio naturale nazionale, europeo e globale. Lo stesso Claudio Orlandisi esprime così in merito al progetto e alla situazione dei ghiacciai alpini: “L’apparente bellezza delle immagini del progetto cela in realtà una verità tristissima: nel 2035 il nostro arco alpino non avrà più ghiacciai, altro che fine secolo…”

La mostra “L’ambiente che ci rispecchia. Scegliere oggi quel che vorremmo essere domani”è organizzata dalla sede del Fineco Center di via Simone Martini, 46 – nell’ambito dei Fineco Days, per offrire ai propri clienti eventi ed esperienze esclusive e fuori dall’ordinario. 

Dopo l’inaugurazione del 15 novembre 2023, la mostra sarà aperta a tutti a ingresso gratuito dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle ore 13.30 e dalle ore 14.30 alle ore 18.00, fino a venerdì 19 gennaio 2024.

Partner della mostra: Fineco Bank, Galleria Gallerati, Yourban 2030 e HF4.

Ufficio stampa HF4 press@hf4.itwww.hf4.it
Marta Volterra marta.volterra@hf4.it
Valentina Pettinelli valentina.pettinelli@hf4.it 347.449.91.74
Matteo Glendening matteo.glendening@hf4.it391.137.06.31





Paolo Fichera. Interiormimetico


Sarà inaugurata il 9 novembre 2023 alle ore 18 la mostra Interiormimetico dell’artista Paolo Fichera, curata da Laura Catini per le iniziative di Micro. La pittura di Paolo Fichera è narrazione mimetica dei passaggi interiori del sé, come individuo, all’interno della sfera del quotidiano. Paolo Balmas nella sua presentazione critica della personale alla Cripta del Collegio di Siracusa (1989) afferma “…L’opera, dunque, lo attende ed è vera quanto egli saprà essere vero. La comunicazione, il coinvolgimento dell’altro, è funzione diretta di questo impegno di verità, di un livello di definizione che l’artista non conosce in anticipo e di cui, comunque, conoscerà sempre e soltanto un equivalente, l’equivalente costituito dalla propria stessa personalità…”.

L’esposizione Interiormimetico è prova consistente di quella dimensione d’interno-esterno, di cui si nutre il fare pittorico dell’artista.Inoltriamoci nel testo critico di Laura Catini, per meglio afferrare la consistenza del suo operato e dei lavori che saranno esposti in mostra.

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Nei corridoi mimetici dell’io
di Laura Catini

Il ticchettio silenzioso di una frazione temporale, fissata nell’atto del tocco del pennello, avvolge un’olimpica stasi, in cui il respiro si fa denso e stipato da un setacciamento irruente di scrigni, ove incalzano e si agguantano le plurime soggettività, le sfaccettate sessualità, le fantasie composite e un quieto rimpatrio alle attitudini delle origini. Una salvezza tinge una sincera tempra e replica un polisemantismo psicanalitico. È tra le velature del colore che si possono vagliare i minimi depositi di un sentire che sfugge alla sublimazione freudiana. Così, l’iconico quadro sopra il sofà - che tanto si attiene alle tendenze estetiche contemporanee - viene scongiurato dallo spirito corvino di una convulsa metafisica della puerizia. La stretta nell’emergere di una modalità critica e rivisitata con la lente della psicoanalisi nella luce modernista del Ventesimo secolo è pregna di una tenue commozione che si rinnova nel linguaggio pittorico del nostro. Bus (2019) è metafora primaria di una ricercata contiguità d’animo negli aspetti collettivi della vita, e alieni da un puro contesto domestico. Si fa ingresso nella sfera intima di un locusinteriore che ci riconduce simultaneamente tra le quattro pareti del nostro abitato. Immaginiamo dinanzi a noi, seduti sul divano, quell’arazzo e quel tavolino del nostro abitacolo familiare. Eppure, il giovinetto è ben saldo sulle gambe, nel mezzo di un bus e reca con sé gli indumenti o fardelli che lo hanno sospinto a una chiara veduta, quasi una predestinazione spettante all’uomo della folla. La sua vista strega lo scorrere, nelle nostre arterie, in un’interrogazione di un fatidico trascorso. Quello sguardo fanciullo rimane avviluppato dall’alterità delle esperienze decorse che annettono, nella loro voragine inghiottitrice, la spazialità della tela, in un soggetto adulto che contempla nell’altrove la domanda di solitudine che è patrimonio individuale e flagello comunitario. L’immaginario occidentale è vagliato nello spaccato di un realismo ontologico e metempirico che si forgia e si contamina con un neoespressionismo e con un simbolismo degli elementi. L’artista si astiene dai cavilli della pittura colta, dell’apparenza e della convenzione per sugellare l’appartenenza ai moti dell’animo, senza mai ricorrere a un loro diniego. Tuttavia, non è facile estetica, ma faticoso prelievo nelle stratificazioni consce e subconsce di un ioscandagliato nei suoi avvallamenti inconfessati. La realtà irresoluta si permea di una distesa inflessione nell’ultima produzione, in esposizione. Il pittore americano Robert Henry ha esplicitato che “L’arte è la donazione da parte di ciascun uomo della sua testimonianza al mondo. Chi desidera donare, ama donare, scopre il piacere di donare”. L’artista prima del suo trasferimento nell’Urbe, nel 1968, si appropria delle contaminazioni di una vita a contatto con la civiltà contadina, in cui vizi e virtù e una profondissima umanità incalzano nel trascorrere giornaliero di un imperturbabile accoglimento delle proprie limitazioni. Afferma Paolo Fichera “... la bellezza (è) sempre più simile a quei bambini che non riusciranno a vedere mai un grattacielo, leccandosi le dita dopo aver mangiato un hot dog ai piedi del David di Donatello”. Alla fine degli anni Novanta, il sintetismo concettuale degli anni Ottanta è nuovamente dissimulato dall’artista per un’inclinazione connaturale all’azione pittorica. L’arte muta in mezzo per fare ingresso, secondo una modalità simpatetica, all’esperienza di civiltà straniere. Jhon Dewey esemplifica che “Esse (le arti) provocano un ampliamento e un approfondimento anche della nostra esperienza, rendendola meno locale e provinciale via via che, per loro tramite, afferriamo gli atteggiamenti che sono alla base di altre forme di esperienza”. L’operaPaesaggio (2020) ci accoglie nella sua contraddizione visiva, nel suo posizionarsi alla fine di una discesa di un corridoio vetrato e, in sincrono, impegnando lo sguardo in una movimentazione di “sotto in su”, essendo una finestra su reminiscenze private, una terrazza di un grattacielo. Si espongono le fragilità di un derma quasi inconsistente che pone l’esperienza comune alla mercè di un’apatia stereotipata e priva di pensiero. Incontrare l’oppressione, indotta dal circostante e dai suoi elementi, ci priva da un’imprudente insensibilità e indolenza che ammettono tale esperienza come normalizzata e conducono all’offuscamento di una rilevanza della struttura pratica comune e delle sue separazioni di percezione sensibile. In Primavera (2019), una notizia trascina, con zelo, l’attenzione di un uomo e una donna in una reviviscenza di ascolto compartecipato. Si traccia, nel presente, una cura verso il recondito, in cui una coppia atemporale è attrice di un teatro senza spettatori e in cui il transitorio sosta solo pochi attimi, per dipoi dissolversi.Leda e il cigno (2020) è metaquadro che raccoglie la nota citazione del soggetto mitologico. È protagonista principe dell’intera raffigurazione, in cui il ciglio è accompagnato dalla direzione del tracciato pedonale. Lo straniamento apportato, tramite l’inserimento di ricorrenti fenditure, in forma di porte, finestre, schermi di televisione, particolari ornamenti parietali fisici o immaginativi che percorrono la duplicità allestitiva tra esterno e interno, occupa la parabola dell’artista. Il sonetto di William Butler Yeats, dal titolo omonimo, fonde il realismo psicologico con una visione mistica che la critica e femminista accademica e sociale americana Camille Anna Paglia definisce “il più grande poema del Ventesimo secolo” - e aggiunge - “tutti gli esseri umani, come Leda, sono coinvolti momento per momento nella ‘corsa bianca’ dell’esperienza. Per Yeats, l’unica salvezza è la forma e l’immobilità dell’arte”. Certo è che il mito ha lasciato un significativo dubbio sulla versione veritiera e univoca del mito. In alcune versioni, Elena non è figlia di Leda, bensì di Nemesis, la dea che incarna il disastro infuso a coloro che patiscono per orgoglio estremo o per hybris. In Set, un uomo si affaccia al di là di un sipario tendato che delimita un interno-esterno fisico che è sintomatico e del medesimo binomio interiorizzato. Intravede due individui lontani, e altrettanto vicini, transitare per isolati corridoi esistenziali. L’osservatore, esterno dalla narrazione soggettiva dell’artista, rileva - ancora una volta - due metaquadri che, singolarmente, ragguagliano distinti istanti di storie individuali. Due scene illustrano il fenomeno ottico-visivo in prossimità di una coppia colloquiante,Intervista (2017) e Al bar della stazione (2021). Nel primo flashback, la veduta esterna di distruzione e di vestigia di vecchi trofei automobilistici di uno sfasciacarrozze sulla Tangenziale è mimesi intestina di un’inframmettenza che preclude, in una celata inibizione del sé, la possibilità di interconnettersi e di raggiungere repliche autentiche e provenienti dai precipui abissi dell’io. Nella seconda rievocazione, durante la sosta dal viaggio in un fast-food, è sempre lo sguardo di una donna-madre, generatrice della vita e delle sue future coscienziosità, a guidare l’osservatore verso l’immaginazione che accende, nel riquadro dell’anima, il ricordo d’infanzia, nel cui andito è posto un tendaggio come quinta della mente in continua peregrinazione. In un corridoio psichico, si scopre Seminterrato(2019), in cui le ombre dell’affezione e della coscienza gettano una ritmicità cardiaca nella discesa delle scale e nell’ingresso in quella porta misteriosa che sembra traboccata, senza por tempo in mezzo, dal famoso volume di Lewis Carroll. A un luogo intimo corrispondono le opere di carattere privato dell’artista. Sul fondo, a destra di un tendaggio, si situa LCD (liquid crystal display, 2023), attimo successivo al risveglio mattutino, raffigurato in Ciao (2018), in cui l’artista si autoritrae dietro un sipario, questa volta rosso, disinteressato dalle fantasticherie di un trascorso e di un presente malinconico, al quale privilegia la fantasiasine tempore, dettata dal gioco libero della solitudine, in un palcoscenico surreale. Proseguendo il camminamento, in Attesa (2020), una ragazza pensierosa, nella propria stanza, spia al di fuori della finestra il trascorrere del tempo metaforicamente delineato dal passaggio di un veicolo, i cui fanali posteriori illuminano una nebbia viscerale. Gli scorci routinari riportano la nostra memoria alle opere hopperiane di riferimento al realismo degli interni di Edgard Degas. Pregevole gioiello in mostra è sicuramente La tela bianca (2020), in cui il metaquadro, in una prospettiva centrale, si moltiplica in uno spazio indefinito e nei confini incerti di una folta nebbia che campeggia nel perno della parete. Sulla destra, oltre una porta o l’immaginario, si intravede un uomo di spalle. Soggetto “protagonista”, la donna potrebbe non essere contemplata, effettuandosi una vera e propria metempsicosi nel corpo del visitatore. All’opposto, una serie di opere parla di intermezzi che, dalla solitudine, ci consegna una presenza-assenza di coppie. Laura (2023) chiude l’intero ciclo allestitivo, con uno sguardo di curiosità verso un mondo altro che getta un cardine utopico nell’aere confinante e nel nuovo avverarsi epocale.

INTERIORMIMETICO
Paolo Fichera
Dal 9 al 16 novembre 2023
Curatela e testo critico di Laura Catini

MICRO / Roma,Viale Mazzini 1 
Info: +39 347 0900625
info@microartivisive.it

Spells di Francesca Romana Pinzari

Curva Pura è lieta di presentare la personale di Francesca Romana Pinzari, Spells, a cura di Nicoletta Provenzano, che inaugura un nuovo ciclo di opere dell’artista, dove la parola ripetuta in forma geometrica sacrale si lega ad un intreccio di organi vitali, divenendo un universo di figure linguistiche e corporeità dal ritmo vibrante. 

Con questo ciclo di lavori Pinzari unisce alla propriaricerca filosofica e spiritualeun suo ritorno alle origini, attraverso la purezza del disegno, spaziando tra anatomie fantastiche, concetti di geometria sacra e diversi tipi di mantra. Una mostra atipica per quest’artista che ha ideato un progetto site specific, pensato appositamente per lo spazio di Curva Pura. 

Emblematicamente suggerito dal titolo Spells, incantesimi, ma anche radice della parola Spelling, grafia, l'esposizione conduce l'osservatore nell'incanto del linguaggio scritto, come sottolinea l'artista:

«Credo fortemente nel potere della parola pronunciata o scritta. Le parole sono veri e propri incantesimi che spesso lanciamo in maniera totalmente inconsapevole. Attraverso la parola possiamo creare e modificare la nostra stessa realtà, la sua vibrazione influenza anche la materia circostante e la ripetizione costante di un mantra calma la nostra essenza, aiuta a mantenerci nel presente e può anche avere effetti curativi. I nostri organi interni risuonano all’unisono con la vibrazione di un mantra, la nostra mente si rasserena, il corpo si rilassa e nel mentre ci nutriamo di un concetto che facciamo nostro fin dentro le ossa e le viscere». 

I simboli della geometria sacra, già presenti in forma accennata nei suoi precedenti lavori, spiccano ora con meticolosa attenzione al centro delle opere attraverso la ripetizione di mantra scritti pazientemente con pennino e calamaio centinaia e migliaia di volte in piena concentrazione. Come in una lunghissima performance, un rituale intimo e sottile evidenzia gli eleganti fraseggi multilingue in corsivo, accordati in movimenti lineari regolari, per poi farli attraversare da intrighi di formazioni organiche che, in un improvviso caos, spezzano il rigore apparente dei segni grafici.

Nella delicatezza e porosità del supporto cartaceo, scrittura e pittura creano, dalla dualità, un’unità dinamica e continua che appare come realtà intrinseca in rapporto di reciprocità tanto fisica, quanto cerebrale. 
Le opere, nella spontaneità di nodi pittorici e nell'esattezza formale di costrutti verbali, tracciano una mutua congiunzione, un entanglementtra natura e cultura. 

La mostra Spells è un invito a immergersi nella figurazione di una natura umana intricata in una sostanziale unità, dalla quale ogni opposizione duale ha origine. 

Parte delle opere in mostra sono l’impronta ispirativa dell’ultima serie di T-shirt dipinte a mano realizzate dal brand G.I.O.V.E., in collaborazione e joint venture con l’artista e l’Associazione Donne For Peace ETS per il Progetto UPE4INCLUSION - UCRAINIAN PEOPLE EMPOWERMENT FOR INCLUSION, che verranno messe in vendita tramite asta libera nell’evento di presentazione del brand, previsto per il 24 Novembre 2023, e il cui intero ricavato sarà devoluto a sostegno delle profughe ucraine. 


BIO
Francesca Romana Pinzari nata a Perth, (Australia) Vive e lavora a Roma. Lavora con video, installazione, performance, scultura e pittura. La sua ricerca parte dal corpo per parlare d’identità fisica, culturale, politica e religiosa. Concetti come la violenza domestica, diversity e radici culturali vengono affrontati con un approccio di stampo performativo che porta l’artista alla realizzazione anche di manufatti scultorei, pittorici o installativi di diversa natura a seconda del progetto espositivo. Espone in numerose gallerie e musei tra i quali: i Musei di Kajaani, Kokkola e Kotka in Finlandia e il Kunsthalle di Bratislava in occasione della mostra Transition of Energy - Palazzo Penna a Perugia per “tempo liberato’ curata e ideata da lei stessa - il Museo Galeria Miejska BWA Bydgoszcz in Polonia durante la Performance Night - il MACRO Testaccio Roma per la mostra Catarifrangenze, - il Kunstquartier Bethanien Museum di Berlino nell'ambito di una project room di 24h creata in occasione della mostra Arty Party e - il museo di Arte contemporanea di San Paolo in Brasile per la mostra di arte italiana ALEM - Palazzo ducale di Gubbio e Villa Croce a Genova per la mostra Visibilia - al 67 Gallery a New York - all’open studio della SVA a New York tramite il premio giovani artisti del comune di Roma.

INFO 
SPELLS
Francesca Romana Pinzari
a cura di Nicoletta Provenzano

Inaugurazione 9 Novembre 2023 ore 18.30-21.30 
Fino al 9 Dicembre 2023

Orari:martedì e giovedì dalle ore 18:30 e su appuntamento 
prenotare via mail curvapura@gmail.com o whatsapp 3314243004

Curva Pura 
Via Giuseppe Acerbi, 1a - Roma
curvapura@gmail.com

domenica 5 novembre 2023

Gianluca Patti. Diario di un sognatore

Azzurro frequencies , 2019

Fino al 26 novembre 2023, Fondazione Stelline ospita la mostra personale di Gianluca Patti DIARIO DI UN SOGNATORE, a cura di Alessandra Klimciuk. Il percorso espositivo racconta, attraverso oltre trenta opere e quattro installazioni, la ricerca artistica di Gianluca Patti, che indirizza verso colore e materia la sua capacità di espressione e la sua visione del mondo. 

Per comprendere pienamente le opere di Gianluca Patti dobbiamo includere il suo vissuto personale e la memoria di queste prime esperienze di visione, in cui l’orizzonte che immaginiamo è quello che vediamo. La densità di questo racconto esistenziale insieme alla scelta di materiali evocativi del suo passato familiare diventano elementi imprescindibili per entrare nel suo processo artistico e comprenderne l’unicità. Prodotti cementizi, resine e pigmenti, ma anche reti da cartongesso e fogli di pluriball, in memoria e onore del lavoro paterno, vengono decontestualizzati e riutilizzati per costruire opere stratificate e scultoree con una griglia visiva che è la sua lente sul mondo.

Il mondo monocromatico filtrato attraverso l’esperienza unica vissuta da bambino quando entrava e usciva dagli ospedali – il suo primo disegno è una macchia nera – diventa nella sua espressione matura un’esplosione di colori. Il colore e la luce delle sue opere nascono, però, da quel buio e lo conservano per sempre. Un riconoscimento dell’artista al valore profondo della sua esperienza, come di ogni esperienza vissuta, anche quella più dolorosa, con cui riconciliare la forza e la fragilità nella propria resilienza.

E se parliamo di colore e di visione – come ci ricorda la curatrice Alessandra Klimciuk nel testo in catalogo - rimane indimenticabile e necessario l’insegnamento di Josef Albers e la sua teoria del colore, sviluppata durante le lezioni al Bauhaus e pubblicata nel volume "Interazione del colore” nel 1963, con cui ha affinato una pratica per sviluppare l'occhio per il colore, quella sensibilità per la luce e le tonalità che il solo studio teorico dell'ottica e dei sistemi cromatici non può in alcun modo regalare. Attraverso il colore imparare a vedere il mondo. Ma anche ad ascoltarlo, perché nella sinestesia il colore ha un suono e la sua funzione è evocativa, permettendo la connessione tra l’artista, i ricordi e la dimensione del sogno.

É lo stesso processo artistico di Gianluca Patti, con la stratificazione della pittura e la struttura a griglia, a fare affiorare liberamente in superficie elementi sottostanti, quasi fossero ricordi ed emozioni del passato. Il percorso espositivo accompagna il visitatore in questa ibridazione sensoriale, immersi nella dimensione del sogno e delle armonie cromatiche. Le opere monocrome si alternano a quelle policrome, il grande formato alla piccola dimensione. Come una danza sinestetica in cui l’alternanza di suoni, colori e percezioni fa emergere un mondo immaginifico di emozioni, ricordi e sogni. Ma è Gianluca Patti a dirigere l’orchestra con maestria e conoscenza della materia e del colore.

Le opere in mostra raccontano questo viaggio autobiografico di ricordi ed emozioni, come l’installazione The point of view, evocativa dell’orizzonte osservato attraverso la ringhiera del balcone di casa da Gianluca bambino che, guardando il cielo e i suoi colori crepuscolari, sognava ad occhi aperti. L’opera vuole essere una trasposizione di quegli spazi di cielo, un invito per chi osserva ad andare oltre e di porsi di fronte alle cose cambiando sempre punto di vista. The game è un invito a fare la prossima mossa nella partita a tris evocata dall’opera, perchè come ci ricorda Bernard Shaw: “l’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare”. The Star è un omaggio al luogo delle Stelline, ma anche un pensiero rivolto ai cieli stellati, ai desideri, e alla notte che porta con sé il buio generatore di immagini. 

La mostra organizzata da Fondazione Stelline con il patrocinio di Regione Lombardia e Comune di Milano, è stata realizzata grazie al supporto di Isorropia Homegallery, Amaro Lucano, Drama Resine, Marie Danielle, Fontana Grafica, Ottica Barzaghi, Milky Way, Leontis Real Estate, Vitavigor, Talking Nat, All Flying Services e BIANCHIZARDIN Contemporary Art.

A supporto della narrazione sarà pubblicato un catalogo con testi di Alessandra Klimciuk e una sezione dedicata alle installation view.

“Sono sempre stato un sognatore, fin da bambino, da piccoli è più facile,
ma la curiosità può essere coltivata e lo stupore fa si che lo sguardo resti vivo.
Il mio è un invito a non smettere mai di sognare e di credere nelle proprie idee”
Gianluca Patti

Gianluca Patti è nato nel 1977 a Monza, vive e lavora tra Monza e Milano. La sua ricerca è incentrata sullo studio del colore e della materia quali strumenti di narrazione del vissuto personale e della dimensione temporale. Lo studio da autodidatta della storia dell’arte ha avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione della sua ricerca artistica: all’inizio del proprio percorso si appassiona al lavoro pittorico di grandi artisti quali Pollock, Vedova, Basquiat e Richter, approfondendone l’equilibrio cromatico e cercando un proprio approccio unico al colore, nell’ambito di una personale ricerca in continua evoluzione. Il lavoro di Gianluca Patti è stato esposto in diverse mostre personali e collettive, ed è entrato a far parte di collezioni di arte contemporanea di rilievo. L’approccio trasversale dell’artista l’ha portato inoltre a collaborare alla realizzazione di scenografie nel settore pubblicitario e dell’interior design e ad essere selezionato per progetti d’arte e impresa.


Gianluca Patti, installation, ph. Maurizio Pavone
GIANLUCA PATTI
DIARIO DI UN SOGNATORE
A cura Alessandra Klimciuk
22 ottobre - 26 novembre 2023

Orario: martedì – domenica, h. 10.00-20.00 (chiuso il lunedì)

Ingresso gratuito
Fondazione Stelline, c.so Magenta 61, 20123 Milano 
Info: mostre@stelline.it | stelline.it
Facebook: @fondazionestelline
Instagram: @f_stelline

Ufficio Stampa Gianluca Patti Ufficio stampa Fondazione Stelline
Laura Cometa Il Cigno Nero | Mario Marchi +39.3483713915 
+ 39 3271778443 Marianna Montanini +39.347.2317285
lauracometa.press@gmail.com ufficiostampa@stelline.it