lunedì 30 dicembre 2019

Matera Streetart 2019

opera di Giorgio Bartocci

Fino al 20 gennaio 2020 presso l’associazione Momart Gallery di Matera (in piazza Madonna dell’Idris, nei Sassi), la collettiva Matera Streetart 2019, a cura di Monica Palumbo con testo critico di Antonella Marino. 

La mostra - patrocinata dal Comune di Matera, dalla Fondazione Matera 2019 e dalla Regione Basilicata - vuole testimoniare le interessanti esperienze di Street Art che negli ultimi quattro anni hanno coinvolto Matera e la sua provincia, attraverso le opere di 13 artisti di riconosciuto talento. 
Sono: Chekos, Mister Thoms, Giorgio Bartocci, Luca Bia, Daniele Geniale, Carlitops, Nico Skolp, Biagio Lieti, Gods in love, Rizek, Ironmould, Ligama. Tra i protagonisti più significativi di un percorso, intrapreso dalla Momart Gallery nel 2015 con un progetto sui muri del parco Macamarda in via Saragat, che si conclude nel 2019 con la direzione artistica della Openplayfulspace/Uisp Basilicata e di Matera 2019. 

Durante la serata si potrà visionare l’inedita mappa turistica curata da Momart per la Fondazione Matera 2019. Si tratta di una guida itinerante di tutti gli interventi di arte urbana realizzati in questi ultimi anni nella città di Matera e negli altri paesi del territorio lucano. Scopo dell’iniziativa è quello di testimoniare la potenza e la fascinazione di questo linguaggio artistico, estrapolandone le linee guida ed evidenziando le ricadute culturali generati a livello locale e territoriale La mostra vuole anche avvicinare il contemporaneo all’antico: mettendo in relazione i colori forti e vivaci del mondo urbano e delle periferie con un uno spazio - quello dei Sassi, ai piedi dell’incantevole chiesa Madonna dell’Idris - che sembra immutato nel tempo. 

Sotto lo sguardo discreto e complice degli antichi Sassi, durante la giornata inaugurale gli artisti si avvicenderanno sul piazzale esterno della Momart nella realizzazione di happening e live painting a più mani, alla presenza del pubblico. L'obiettivo della performance è catturare la curiosità dello spettatore, fargli vivere la magia della creazione di un'opera di grandi dimensioni, attrarlo nel mondo creativo dei colori. L’evento, aperto a tutti con ingresso libero, sarà accompagnato dalla proiezione del film di Antonio Libutti “Con gli occhi al muro. Ricognizione e reportage sullo stato della street art in Italia”, con musica di Funk Rimini e Ricky Cardelli. Il documentario esplora il mondo dell’arte di strada, proponendo le esperienze più importanti del biennio 2014-2015 attraverso la voce dei protagonisti.




Matera Streetart 2019
Patrocinio: Comune di Matera, Fondazione Matera 2019, Regione Basilicata

Artisti: Chekos, Mister Thoms, Giorgio Bartocci, Luca Bia, Daniele Geniale, Carlitops, Nico Skolp, Biagio Lieti, Gods in love, Rizek, Ironmould, LigamaMassimo Pasca

Momart Gallery
piazza Madonna dell’Idris (quartiere Sassi)
Curatore: Monica Palumbo
Testo critico: Antonella Marino
Durata: fino al 20 gennaio 2019
info@momartgallery.it

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lunedì 23 dicembre 2019

Un luogo qualunque di Giuseppe Costa, Marilina Marchica e Federico Severino

Marilina Marchica, Blue Landscape, olio su tela di cotone, cm 40x40, 2019


A Pozzallo, domenica 29 dicembre alle ore 18, SACCA gallery presenterà il suo secondo progetto espositivo: “Un luogo qualunque”di Giuseppe Costa, Marilina Marchica e Federico Severino, a cura di Giovanni Scucces.

La mostra presenta una visione del rapporto fra la realtà e la sua rappresentazione in chiave metaforica e intimistica. Così può accadere che in questa trasposizione si possano perdere i riferimenti naturalistici e ambientali in genere. I lavori dei tre artisti in mostra esprimono una modalità di esplorazione del volto mutevole della nostra Terra, restituiscono le emozioni che ognuno di noi può provare di fronte alla visione di un paesaggio, di un ambiente o di un luogo, rappresentano una maniera di rendere manifesti gli stati d’animo che ci accompagnano nella nostra natura più profonda.

“Un luogo qualunque”perché la trasposizione intimistica di un luogo, che in alcuni casi può diventare persino astratta, può instaurare nessi con il nostro passato, con il nostro sentire, giungendo a creare dei possibili rimandi diretti o legami reconditi. In questo modo avviene il passaggio da luogo specifico, fonte di ispirazione, a luogo qualunque, sorgente di emozioni.


Giuseppe Costa (Palermo, 1980) vive e lavora a Milano. Costa intende il disegno come strumento di elaborazione nostalgica e pratica intima attraverso cui riconfigurare frammenti di memoria individuale e al contempo condivisibile. All’insegna di una suggestione romantica e dell’esplorazione dell’ignoto. Realizza disegni a carboncino, pastelli o grafite su carta che, nella loro evanescenza, si aprono a molteplici livelli di interpretazione.

Marilina Marchica (Agrigento, 1984) vive e lavora a Roma. Nelle opere di Marchicail paesaggio e la natura conducono la visione oggettiva del reale al limite dell’astrazione. Attraverso un procedimento a levare, volto a rimuovere ciò che è superfluo, va alla ricerca del senso che emerge dall’ambiente circostante e dal vissuto comune. In questa mostra verranno presentati alcuni lavori della serie “Landscapes”costituiti da immagini poetiche e rarefatte.


Federico Severino (Milano, 1990) vive e lavora tra Catania e Torino. La sua è una ricerca di nuove visioni intime di “paesaggio”, inteso come luogo e parte dell'esperienza vissuta. Nella serie “Landscape”è la natura a ispirarlo. Più di recente con i lavori di “Urban landscapes”è affiorata pure l’esigenza di confrontarsi con i paesaggi urbani. Essi, nel complesso, sono delle proiezioni mentali ed esperienziali. In generale si tratta di immagini che gradualmente si dissolvono e perdono i loro confini, diventano spazi aperti o ambienti contemplativi.


La mostra potrà essere visitata fino al prossimo 15 febbraio secondo i consueti orari di apertura della galleria o su appuntamento.

Durante il vernissage ci sarà l’opportunità di poter degustare una selezione di prodotti di due aziende che fanno parte del progetto SACCA e che potrete trovare stabilmente al suo interno e a breve anche online nel nostro e-commerce: i vinidella cantina Terre di Notoe il cioccolatodi Fico.



Informazioni:
SACCA gallery – Contenitore di sicilianità– Via Mazzini, 56 – Pozzallo (RG)
Titolo della mostra: “Un luogo qualunque” di Giuseppe Costa, Marilina Marchica, Federico Severino
Inaugurazione: 29 dicembre 2019 ore 18
Periodo: 29 dicembre 2019 – 15 febbraio 2020
Direzione artistica e curatela: Giovanni Scucces
Apertura al pubblico:
lun. su appuntamento
mar. 10-13 / 16.30-19.30
mer. 16.30-21.30
gio. 10-19.30 (orario continuato)
ven. 16.30-19.30
sab. 16.30-19.30
dom. la prima domenica di ogni mese ore 17-21

Contatti
social link (Facebook, Instagram, LinkedIn) sacca.online
e-mail info@sacca.online
phone +39 338 1841981

Giovanni Scucces - giornalista pubblicista (tessera n° 153344)
e-mail stampa giovanni.scucces@gmail.com

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domenica 22 dicembre 2019

Al Villaggio Olimpico di Roma: L’INAUGURAZIONE


Fabrizio Cicero, Ordine Nuovo, 2019
Ph Credit Titan Global Culture And Media Co.LTD


Presentata da VILLAM L’inaugurazione, in piazza Jan Palach, nel cuore del Villaggio Olimpico. Un invito che ha coinvolto tutti i cittadini di Roma nella partecipazione attiva a un'azione collettiva per ‘inaugurare' simbolicamente un nuovo momento storico, delineato e condiviso da una nuova comunità. L’iniziativa è parte del programma di Contemporaneamente Roma 2019 promosso da Roma Capitale- Assessorato alla Crescita culturale e realizzato in collaborazione con SIAE, con il supporto di Zètema Progetto Cultura e con il patrocinio del Comitato Olimpico Nazionale Italiano – CONI, del Codacons, del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi Roma Tre e della Scuola Popolare di Musica di Testaccio.

A ridosso del sessantesimo anniversario della costruzione del Villaggio Olimpico, sorto in occasione dei Giochi della XVII Olimpiade per offrire alloggio a più di 8000 persone fra atleti, tecnici ed accompagnatori, si propone un’ideale re-inaugurazione del complesso attraverso un’operazione artistica che collega metaforicamente l’ambito sportivo con il sistema dell’arte contemporanea, il territorio con la memoria storica, la tradizione con il tempo attuale. Due opere site — e time — specific animeranno lo spazio pubblico della piazza e segneranno l’apertura dei giochi per una nuova comunità in un’esperienza largamente condivisa, direttamente ed indirettamente, con l’intera città.

Iginio De Luca

Con la performance Iailat di Iginio De Luca, la composizione dell’Inno Nazionale rivisitata dall’artista, che la dilata, la trasforma, rendendola quasi irriconoscibile, diventerà esperienza reale, performativa, esecuzione emozionante e partecipata, grazie ad una banda musicale di 10 elementi. Sarà l’incontro dissonante e surreale di due differenti condizioni esistenziali, due diversi tempi in un continuo slittamento percettivo.

Nell’installazione Ordine nuovo di Fabrizio Cicero lo spettatore riconoscerà l’aspetto familiare e confortevole dell’oggetto scelto, utilizzato come elemento modulare, ma sarà destabilizzato dalla sua nuova formazione. Una gigantesca struttura, solida ma al contempo assai precaria, che tende verso l’alto attraverso l’aggregazione disordinata di luminarie, le cui pareti sono costituite dall’accumulo di mille luci di mille feste. L’imponente installazione di Fabrizio Cicero sarà visibile nella piazza fino al 30 dicembre; negli stessi giorni, Iginio De Luca esporrà presso l’Auditorium Parco Della Musica, con la supervisione della responsabile delle arti visive Anna Cestelli Guidi, un video che racconta il percorso creativo dell’opera sonora “Iailat”. Avviato proprio con l’installazione nel Sound Corner dell’Auditorium del febbraio 2018, passando per il blitz - una delle brevi incursioni dell’artista nello spazio pubblico, che diventano agenti provocatori grazie all’’arma’ dell’ironia - durante le elezioni politiche del mese successivo, approda ora all’esecuzione live nella performance per “L’Inaugurazione”.

In entrambe le opere, elementi folkloristici e tradizionali chiaramente presenti nell’immaginario collettivo vengono declinati nei linguaggi della contemporaneità per dare inizio ad un nuovo ‘risorgimento’. L’arte da sempre segue le dinamiche umane, a volte accarezzando e compiacendo le oscurità sociali, altre donando fiducia nelle aspettative. Da Villaggio Olimpico a “villaggio globale”, una comunità allargata, determinata non da fattori identitari o ideologici ma da una comunione d’intenti, si forma sul piano della solidarietà, della fiducia e scommessa comuni, alimentando un clima di speranza per un futuro da vivere insieme ‘sportivamente’, in un’atmosfera di festa collettiva e celebrazione popolare.

L’attività preliminare e basilare è consistita in incontri e passeggiate nel Villaggio Olimpico, con la partecipazione dei residenti e dei volontari delle associazioni Villaggio Olimpico 1960 e Villaggio dei Bambini, del centro anziani e del liceo Tito Lucrezio Caro, i quali sono stati pubblico partecipe e protagonisti delle video interviste realizzate con la consulenza di Ginevra Pierucci e Mattia Tebourski, fondatori e direttori del gruppo di ricerca Perìfera ed in collaborazione con il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi Roma Tre e la Titan Global Culture And Media Co.LTD, fondata da Xihan Zhang, che riunisce alcuni studenti dell’Accademia di Belle Arti di Roma.

L’intento è di far conoscere la storia del luogo, attraverso anche le istituzioni culturali più rappresentative che vi si sono inscritte, come L’Auditorium Parco della Musica, e di mettere in relazione gli abitanti con il resto della città, presentando un campionario di memorie individuali e collettive, di tradizioni e di nuove speranze, ed i risultati di un’attenta ricerca collaterale sui temi dell’architettura e dello sport, che caratterizzano il Villaggio Olimpico, in una conferenza che si svolgerà presso il Palazzo delle Esposizioni, il 17 dicembre, dalle ore 18.00 alle 20.00.

Fondamentale in tal senso è stato il confronto intergenerazionale e interculturale per entrare nel tessuto sociale locale e cittadino e restituirne una rappresentazione composita nelle video interviste tramite un lavoro multidisciplinare. Stabilendo un contatto umano profondo improntato sull’ascolto ed indagando la percezione del territorio, per come esso è vissuto, interiormente rappresentato e creativamente immaginato dai soggetti intervistati, si è tentato di raffigurare l’immagine poliedrica delle aspettative, dei desideri, dei sogni di chi lo abita e di proiettarla in un possibile futuro condivisibile grazie all’operazione artistica proposta da Fabrizio Cicero e Iginio De Luca.

Attuando un’ideale re-inaugurazione del complesso si intende sottolineare la valenza dello stesso come sito di

interesse storico-architettonico e antropologico, ossia un ampio esempio di pianificazione urbanistica formalmente coerente con criteri di organicità, pur rispondendo anche a necessità di carattere funzionale, e avviare un dialogo interculturale che restituisca al mondo l’immagine di una città viva, aperta, in fervente movimento, capace di accogliere i mutamenti sociali e culturali attuali, ma anche, probabilmente, prossimi.

Con la realizzazione del video dell’evento del 20 dicembre, sempre a cura di VILLAM, il progetto, partendo da una forte connessione con il territorio, si apre infatti ad una dimensione internazionale, già storicamente insita nella località scelta, sostenendo le potenzialità di Roma nell’affermarsi come centro propulsivo per l’arte e promotore di una visione contemporanea, attivo e altamente competitivo nelle proposte in ambito artistico e culturale. In occasione del sessantesimo anniversario della costruzione del Villaggio Olimpico, nel 2020, il video sarà presentato in anteprima nello spazio espositivo di Albumarte, a Roma, per poi essere diffuso, a livello nazionale e internazionale in diversi appuntamenti nell’arco dell’anno, attraverso istituzioni culturali, musei, gallerie, manifestazioni e festival dedicati al settore.





INFORMAZIONI
L’INAUGURAZIONE - a cura di VILLAM
Piazza Jan Palach (Villaggio Olimpico), 00196 Roma
L’installazione sarà visibile tutti i giorni fino alle h 13.00 del 30 dicembre 2019.
Ingresso gratuito

“Iailat”, video di Iginio De Luca
Dal 21 al 30 dicembre 2019
Auditorium Parco della Musica, Foyer,
Via Pietro de Coubertin, 30, 00196 Roma
Dalle h 11.00 alle 18.00 - Domenica e festivi dalle h 10.00 alle 18.00 Ingresso gratuito
Per ulteriori informazioni: info.art.villam@gmail.com

Fondatore e Direttore artistico di VILLAM: Anita Calà 
Assistenti di progetto: Valeriana Berchicci e Giulia Pilieci 
Ufficio stampa: Giulia Pilieci press.art.villam@gmail.com

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mercoledì 18 dicembre 2019

MARIO GIACOMELLI


Mario Giacomelli (Senigallia, 1925-2000) si dedica alla fotografia a partire dal 1953, dopo aver lavorato come tipografo e averne maturato una sensibilità che non lo avrebbe mai abbandonato, fino ad ottenere già nel 1955 i primi riconoscimenti per le sue serie fotografiche e le sue prime pubblicazioni.
La mostra si concentra sul tema del paesaggio agreste, vedute aeree a volo d’uccello di campi arati e paesaggi contadini, immagini ricche di contrasti dinamici e chiaroscurali accentuati in camera oscura: bianchi “mangiati” e neri saturati, l’uso dello sfocato e del flash, l’esaltazione materica e “informale” della grana e del supporto, come è evidente nella fotografia degli anelli concentrici di un tronco segato.
Ne nasce una tipologia d’immagini che, seppur disponendosi in serie fotografiche legate a un tema, si allontanano dal reportage documentativo (si racconta che in alcune occasioni paghi dei contadini per fare dei segni con i trattori sui campi che desidera fotografare), per assumere un’identità non solo e non tanto ancorata al reale, quanto alla capacità di Giacomelli di creare una drammaturgia fotografica ad ampio spettro, che racchiude quindi tanto l’emergenza visiva dell’oggetto fotografato, quanto la cultura materiale ad esso legata e i fantasmi immaginativi ad esso soggiacenti e qui risvegliati dall’occhio del fotografo e dal suo obiettivo. Come Mario Giacomelli stesso ha dichiarato: “Io credo all’astrattismo, per me l’astrazione è un modo di avvicinarsi ancora di più alla realtà. Non mi interessa tanto documentare quello che accade, quanto passare dentro a quello che accade.”
La profonda competenza tecnica di Giacomelli viene quindi declinata in queste immagini fino a portare la fotografia verso un esito quasi astratto (fu amico di Alberto Burri a cui lo unì una vicinanza anche formale) che pur intrattiene con il reale un dialogo e un rapporto vincolato, ma che eccede di gran lunga il mero scopo documentativo. Ne nasce una forma di presa sul territorio che assomiglia a una Land Art del profondo, una geografia umana che svela i nessi tra ambiente e essere umano, un complesso strumento di ricerca umanistica e territoriale, un ripensamento sulla storia, la vita umana e la morte. Lo strumento davvero importante, afferma, sono i suoi occhi: “uno strumento per prendere, per rubare, per immagazzinare cose che vengono poi intrise e rimesse fuori, per gli occhi degli altri.” Sono immagini che, soprattutto nel momento storico attuale, ben riflettono le tematiche di ascolto e di difesa della natura, del resto così ben espresse a partire dai titoli che Giacomelli stesso volle dare a queste serie fotografiche: “Presa di coscienza sulla natura”, “Storie di terra”, “Motivo suggerito dal taglio dell’albero”, “Neve a Sassoferrato”.
“La fotografia non è il risultato di una cosa meccanica, ma è una cosa tua, proprio perché continua. Il mezzo meccanico blocca, ferma e basta, ma occorre capire che una volta scattato, non si è fatto nulla: l’orgasmo vero lo si ha dal momento che si sceglie l’immagine e la cosa prende vita da quel momento, comincia a respirare, e se non la si vuol far morire bisogna svilupparla in una determinata maniera, poi bisogna stampare (pensa che non ho nemmeno il termometro perché si deve anche poter sbagliare, e talvolta l’idea nuova sta proprio nell’errore), correggere, modificare, per tenerla in vita.”
(Mario Giacomelli, dalle sue annotazioni sulla Fotografia, anni ’90).


MARIO GIACOMELLI
12.12.2019 > 21.02.2020
Dal lunedì al venerdì ore 10.30 - 18

via Nerino 3, 20123 Milano


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Ibrahim Mahama. Living Grains

Installation view presso la Fondazione Giuliani, 2019
foto di Giorgio Benni


Fondazione Giuliani comunica che Living Grains, la prima mostra a Roma dell’artista ghanese Ibrahim Mahama è estesa fino al 18 gennaio 2020. La personale include una serie di opere realizzate ex-novo, tra cui un’installazione su larga scala, fotografie, disegni e un film in virtual reality.

Immersi nella trama storica, culturale e socio-politica del Ghana, i lavori di Ibrahim Mahama affrontano i problemi legati alla globalizzazione, al lavoro, alla circolazione delle merci e alla creazione di comunità, evidenziando una condizione sociale universale. Mahama è noto soprattutto per la sua pratica di avvolgere le strutture architettoniche con sacchi di juta. Realizzati originariamente nel Sudest Asiatico e importati nel Ghana per trasportare i chicchi di cacao, questi sacchi diventano oggetti multifunzionali, impiegati sia dai venditori locali, che per diverse esigenze domestiche. Il materiale e il tragitto stesso della merce, la quale imprime nelle trame del suo involucro le tracce della propria storia, rappresentano il punto cruciale della ricerca di Mahama: l’indagine della memoria e del declino della storia, i frammenti culturali, lo scarto e la trasformazione futura di oggetti raccolti dall’ambiente urbano. Tramite l’analisi della loro storia, Mahama evidenzia come l’evoluzione nel tempo di questi oggetti denoti lo sviluppo e i cambiamenti nella società contemporanea.

Per la mostra in Fondazione Giuliani, Mahama ha lavorato a lungo con una rete di “collaboratori”, collezionando quasi duecento macchine da cucito in disuso per dar vita all’installazione su grande scala Capital Corpses I (2014-2019). Queste macchine, legate in maniera intrinseca alla moda e all’industria tessile, simboleggiano metaforicamente un contesto dove l’industria, e ogni ambito ad essa correlato, ignora completamente il processo di decadimento dell’oggetto. L’installazione esplora anche il suono, una componente importante e spesso trascurata dell’oggetto, che qui crea un’ulteriore connessione o eco con i due film in mostra. Il film Parliament of Ghosts (2014-2019) ritrae i lavoratori del mercato Agbogbloshie di Accra, la più grande discarica di rifiuti al mondo, mentre rimodellano incessantemente oggetti di latta, legno e acciaio, caduti in disuso con il progresso. La voce fuori campo che accompagna le scene di questo lavoro disumano sono le registrazioni dei dibattiti nel Parlamento ghanese degli anni ‘50. In questi dialoghi l’urgenza di valorizzare le capacità e il potenziale dei giovani ghanesi viene enfatizzata con un’ironia che risulta allo stesso tempo possibile e tragica. Il film in realtà virtuale Promises of hanging living men have no dead weight (2014-2019) crea un ulteriore eco, accompagnando lo spettatore nei funzionamenti interni e nelle dinamiche degli edifici in stato di degrado, dei silos abbandonati e degli altri scenari architettonici.

Maps of the Gold Coast (1898-2019) consiste in un gruppo di mappe del 1920-1950 oggi obsolete, prodotte durante il periodo coloniale in Ghana. Le mappe presentano tracce delle ricerche eseguite dagli inglesi durante la costruzione della ferrovia (ora quasi interamente in disuso) realizzata per il trasporto di merci e minerali, sulle quali Mahama è intervenuto con dei disegni. Queste mappe sono affiancate da una serie di fotografie che ritraggono l’avanbraccio di alcune donne provenienti da paesini del nord Ghana, vicini a dove Mahama è cresciuto. Partite per trovare lavoro come operaie nella capitale Accra, le donne si tatuano le braccia con i loro nomi e i contatti dei loro cari, nel caso venissero uccise o ferite durante uno dei numerosi incidenti stradali o in cantiere. Mahama è convinto che questa particolare crisi rappresenti un’apertura verso nuove conversazioni sull’idea del corpo nel ventunesimo secolo.

Ibrahim Mahama nasce nel 1987 a Tamale, in Ghana; vive e lavora ad Accra, Kumasi e Tamale. Una selezione delle sue mostre personali recenti più rappresentative include: Parliament of Ghosts, The Whitworth, University of Manchester, Gran Bretagna (2019); Labour of Many, Norval Foundation, Cape Town, Sud Africa (2019); A Friend, Fondazione Nicola Trussardi, Porta Venezia, Milano (2019); A straight line through the Carcass of History, 1918-1945, daadgalerie, Berlino (2018); In Dependence, Apalazzo Gallery, Brescia (2018); On Monumental Silences, Extra City Kunsthal, Anversa (2018); In the White Cube: Fragments, White Cube, Londra (2017); Fracture, Tel Aviv Museum of Art (2016). Ha partecipato a numerose collettive di grande prestigio, tra cui No Time for Caution 1966, La Biennale de l’Art africain contemporain: DAK’ART, Dakar, Senegal (2018); Documenta 14, Kassel, Germania e Atene (2017); All the World’s Futures, 56th Biennale di Venezia (2015). Quest’anno è stato uno degli artisti a rappresentare il Ghana al primo padiglione ghanese alla 58esima edizione della Biennale di Venezia.

A marzo 2019 Mahama fonda un centro artistico che comprende spazi espositivi, un centro di ricerca e le residenze degli artisti: il Savannah Centre for Contemporary Arts (SCCA) a Tamale, Ghana. Come estensione della sua stessa pratica artistica, l’intenzione dell’artista è quella di investire nella comunità contribuendo allo sviluppo e all’espansione della scena artistica contemporanea ghanese.


LIVING GRAINS
Ibrahim Mahama

dal 26 ottobre al 21 dicembre 2019
ESTESA al 18 gennaio 2020

Fondazione Giuliani per l'arte contemporanea
Via Gustavo Bianchi 1, 00153 Rome, Italy
info@fondazionegiuliani.org

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martedì 17 dicembre 2019

Shop Opera, Lecce-Bari, 17 e 20 dicembre 2019




Martedì 17 dicembre e venerdì 20 dicembre 2019 alle ore 19.30, Kunstschau in collaborazione con MICROBA e Achrome, presentano la seconda edizione di Shop Opera, mostra-evento rivolta allo sviluppo del “micro-collezionismo”.
La prima location ad ospitare l’evento sarà LO.FT | Locali fotografici, a Lecce in via Ernesto Simini 4/6/8. La seconda serata si terrà presso Officina Degli Esordi, a Bari in via Francesco Crispi 5.
Opere di piccolo e medio formato di Silvia Argiolas, Mariantonietta Bagliato, Violetta Barba, Giulia Barone, Grazia Amelia Bellitta, Chiara Bevilacqua, Maria Grazia Carriero, Pierluca Cetera, Roberto Ciardo, Luca Coclite, Mauro Curlante, Natalija Dimitrijević, Anna Dormio, Gianni D’Urso, Raffaele Fiorella, Gianmaria Giannetti, Luigi Loquarto, Andrea Margiotta, Ignazio Fabio Mazzola, Pierpaolo Miccolis, Dario Molinaro, Marcello Nitti, Giancarlo Nunziato, Alessandro Passaro, Davide Russo, Giuliano Sale, Francesca Speranza e Raffaele Vitto, potranno entrare nelle case di giovani collezionisti o diventare un regalo originale, a prezzi ben inferiori al valore di mercato.
Shop Opera vuole essere un momento d’incontro e un’opportunità per accostarsi a ricerche innovative, in cui le opere dialogano con il visitatore attraverso i loro differenti stili e linguaggi. Un continuo alternarsi di opere pittoriche, incisioni, disegni, oggetti d’arte, immagini fotografiche, il tutto scandito dal suono di una campanella e dalla voce di un battitore d’asta: Angelo Maria Monaco nella prima serata e Riccardo Pavone nella seconda.
Attraverso una timing-exhibition in cui ogni opera verrà esposta solo per pochi minuti consentendo una modalità di acquisizione get or leave, il pubblico della serata, potrà acquisire opere di piccolo e medio formato a basso costo, sostenendo in tal modo, sia giovani artisti che i due collettivi ideatori dell’iniziativa.
La finalità dell’evento è quella di sostenere le attività di Kunstschau e MICROBA nel 2020 e di incentivare la buona pratica del collezionismo, che alimenta il piacere estetico e culturale, sostenendo una intensa conoscenza e passione per l’arte contemporanea.
           Nicola Zito

lunedì 16 dicembre 2019

Lynda Benglis: Spettri

Lynda Benglis
Broken Favor I, 2015-2016
© Lynda Benglis. Courtesy the artist and Thomas Dane Gallery


Quanto posso andare lontano con l’illusione della materia? Quanto posso andare lontano esprimendo qualcosa che è dentro di me? Come posso far sì che funzioni visivamente? Sempre attraverso il disegno. Creando un’immagine che si muova.
Lynda Benglis

Dagli anni Sessanta Lynda Benglis è stata una pioniera delle forme libere, estatiche nell’essere, allo stesso tempo giocose e viscerali, organiche e astratte. Inizia la sua carriera nella New York dowtown di fine anni Sessanta quando la scena artistica era a forte stampo maschilista, conquistandola con i suoi ‘fallen paintings’, realizzati attraverso colate in lattice, sconvolgendo l'egemonia del Pop e del Minimalismo, così come i generi della pittura e della scultura, con un’inimitabile provocazione e libertà.L'approccio performativo di Benglis alla scultura è profondamente originale nel modo in cui allontana sistematicamente le convenzioni e s’interessa al corpo, il suo corpo, come Benglis sottolinea: ‘lei (l’essere umano) è la forma’. Il suo lavoro - che abbraccia una varietà apparentemente illimitata di materiali, dalla cera d'api, al lattice, alla schiuma poliuretanica e alle successive innovazioni con metallo, gesso, oro, metallo vaporizzato, vetro, ceramica, carta - dimostra un continuo fascino per il processo, la forma e il movimento.

Nella mostra Spettri, la Galleria Thomas Dane di Napoli riunisce elementi raramente documentati della prolifica carriera di Benglis: leggerezza e luce. Le storiche opere ‘sparkles’di Benglis sono poste in relazione a sculture di carta e glitter più recenti, vasi luminosi enigmatici, rilievi fosforescenti e nodi scolpiti in marmo degli anni Ottanta raramente esposte. La mostra cerca di tracciare un viaggio attraverso gli innumerabili luoghi che la sua scultura evoca, a Napoli, dai fantasmi di Pompei al Gabinetto Segreto del Museo Archeologico, ma anche i luoghi in cui continua a vivere o a lavorare: New Mexico, New York, Grecia e India.

Lo spirito nomade di Benglis trova una florida realtà a Napoli, città che ospita complesse storie geologiche e culturali. Spettrinasce proprio dagli spettri di questa archeologia, ma anche dal suo personale repertorio e dai suoi ricordi: Benglis ricorda vividamente il suo primo viaggio in barca in Europa nel 1953, all'età di 11 anni; il suo arrivo in una Napoli buia, verso la sua Grecia ancestrale, e il suo errare che seguirà dopo. Quasi 70 anni dopo, collega nuovamente i punti del Mediterraneo, avendo appena aperto una memorabile retrospettiva del suo lavoro al Museo d'Arte Cicladica di Atene.Questo dialogo rivela una profonda riflessione sulla sua stessa pratica - la sua costante metamorfosi, accrescendone i suoi significati– data la coalescenza di molteplici geografie e l'allineamento di opere storiche e contemporanee. Attraverso la composizione, la forma e la figura, molte di queste sculture si appropriano di una natura animista, portando materiali e oggetti elementari ad avere un'essenza spirituale. 

Mentre la manipolazione del volume di Benglis può evocare artefatti o antiche reliquie, il suo utilizzo di sparkles,glitter e foglie d'oro suggerisce decorazione ed eccesso. L’utilizzo di Benglis degli effetti sulla superficie, di motivi e di abbellimenti dimostra la sua implicita critica alla categoria dell'artigianato di genere. Questa sovrabbondanza di decorazioni nella sua serie Lagniappee sculture di carta si fonde con l'atmosfera vivace di Napoli e il periodo festivo del martedì grasso nella sua nativa Louisiana. Con l’opera Lagniappe, Benglis ricorda la sua infanzia: ‘A New Orleans, lagniappe significa qualcosa in più. Quando c'è una parata, e lanciando i regali. Sono fatti di cotone e carta....Non hanno alcun valore, come le caramelle di cotone. È un fiocco, un regalo senza valore, un gesto, un oggetto’. 

La mostra Spettri attraversando i fantasmi di molteplici geografie e storie, includendo una vasta ricerca, presenta l'appassionata scoperta della scultura di Benglis attraverso una lente di delicatezza e luminosità. 

Lynda Benglis è nata nel 1941 a Lake Charles in Louisiana. Tra le sue mostre personali in spazi istituzionali vi sono:In the Realm of the Senses, Museum of Cycladic Art, presentata da NEON, Athens, Greece (2019); Lynda Benglis: Face Off, Kistefos-Museet, Jevnaker, Norway (2018); Lynda Benglis: Secrets, Bergen Assembly, KODE Art Museums of Bergen, Norway (2016); Lynda Benglis, Aspen Art Museum, Aspen CO (2016); Lynda Benglis: Water Sources, Storm King Art Center, Mountainville, New York NY (2015); Lynda Benglis, The Hepworth Wakefield, West Yorkshire, England (2015); and Lynda Benglis: Figures, The SCAD Museum of Art, Savannah GA (2012), e molte altre. Le collezioni pubbliche in cui sono presenti le sue opere includono Tate, London, England; Dallas Museum of Art TX; Museum of Contemporary Art Chicago IL; Museum of Contemporary Art Los Angeles CA; The Museum of Modern Art, New York NY; Solomon R. Guggenheim Museum, New York NY; National Gallery of Victoria, Melbourne, Australia, e molte altre. Lynda Benglis è beneficiaria della Guggenheim Fellowship e di due National Endowment per le arti, che si aggiungono ad altri prestigiosi riconoscimenti. 

Lynda Benglis: Spettri
Private view: 14 Dicembre, 18.00 – 20.00
Date della mostra: 17 Dicembre 2019 – 14 Marzo 2020 

Via Francesco Crispi, 69 (I piano)- Napoli 
naples@thomasdanegallery.com
 
Orari di galleria:
Martedì – Venerdì 11.00 - 13.30 e 14:30 - 19.00
Sabato 12.00 – 19.00
O su appuntamento

pubblica: 
www.amaliadilanno.com         

Static-Dynamic of Koichi Yamamoto


RUFA – Rome University of Fine Arts presenta l’esposizione Static-Dynamic di Koichi Yamamoto, ospitata negli spazi della Fondazione Pastificio Cerere, Via degli Ausoni 7, a partire dal 17 dicembre fino al 16 gennaio.

L’inaugurazione della mostra, curata da Fabrizio Pizzuto, si terrà il 17 dicembre alle 18.00 e sarà preceduta, alle ore 10.00 della stessa giornata, da un’incontro formativo dell’artista con gli studenti del corso di Arti visive RUFA, curato dal docente Umberto Giovannini.

Il lavoro di Koichi Yamamoto si basa soprattutto sull’utilizzo della tecnica dell’incisione. Spazia con disinvoltura tra la tecnica del monotipo, del bulino e dell’acquaforte e in alcuni lavori è presente anche la chine collè. Le incisioni diventano tuttavia pretesto per un percorso tra le immagini. Appare un livello tridimensionale inaspettato: il lavoro si trasforma in oggetti, in particolare in aquiloni, adatti al volo.

Koichi Yamamoto è un artista che fonde tecniche tradizionali e contemporanee in modo da sviluppare approcci unici e innovativi al linguaggio della arti grafiche. Le sue stampe esplorano i temi del sublime, della memoria e dell’atmosfera. Ha lavorato su molte scale, dalle piccole lastre di rame meticolosamente incise ai grandi monotipi. Ha esposto in numerose mostre d’arte a livello internazionale. Ha insegnato alla Utah State University e all’Università del Delaware ed è attualmente professore associato all’Università del Tennessee, Knoxville.

L’incontro e la mostra nascono dall’iniziativa dei docenti Umberto Giovannini, Gianna Bentivenga e Maria Pina Bentivenga, Emiliano Coletta e Fabrizio Pizzuto.

Fondazione Pastificio Cerere
Static-Dynamic of Koichi Yamamoto
dal 17 dicembre 2019 al 16 gennaio 2020

Rome University of Fine Arts
Accademia di Belle Arti legalmente riconosciuta dal MIUR
via Benaco, 2 – Roma
T. +39 06 85865917

Orari di apertura della mostra: dal lunedì al sabato, ore 15.00 alle 19.00
Pausa natalizia: dal 21 dicembre 2019 al 6 gennaio 2020 compresi

pubblica: 
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sabato 14 dicembre 2019

Partiture illeggibili

opera di Nina Carini

Partiture illeggibili è un progetto tutto al femminile a cura di Angela Madesani che si compone di due mostre: la prima mette in dialogo Greta Schödl, Leila Mirzakhani e Nina Carini presso Labs Gallery (via Santo Stefano, 38) a Bologna dal 14 dicembre 2019 al 22 febbraio 2020; la seconda vede coinvolte Marcia Hafif, Max Cole ed Elena Modorati presso Arte Fiera Bologna dal 24 al 26 gennaio 2020 (Hall 18 Stand D38). Le due mostre presentano un dialogo sul segno attraverso i lavori di tre artiste storiche e tre contemporanee. Si tratta di artiste con percorsi assai diversi, riunite dalla curatrice in occasione della mostra sia da un punto di vista della tematica affrontata, che da quello della procedura dell’operare, intesa come esercizio quotidiano che coinvolge mente e corpo.

Marcia Hafif (Pomona, 1929; New York, 2018) ha utilizzato per le sue opere la grafite sulla carta da disegno perchè, come lei afferma "sono i materiali più elementari, che si usano per fare arte, sempre a portata di mano e che non richiedono tempi di preparazione". I segni leggeri nelle sue opere creano partiture, in cui tempo e spazio si confrontano, senza produrre significati di sorta.

Nelle opere su carta di Max Cole (Pittsburgh, 1937) il segno, ripetuto come in un mantra visivo, è protagonista assoluto. Spiega la curatrice nel testo in catalogo: "La sua è una sorta di disciplina segnica è il filo conduttore della ricerca dell’artista americana. Quelle che all’apparenza paiono linee nette, orizzontali nello spazio astratto, in realtà sono righe di diversa entità in cui brevi pulsioni verticali fanno da contrappunto in una dimensione ritmica".

Anche per Greta Schödl (Hollabrunn, 1929) la meditazione è un aspetto portante del lavoro. Per Angela Madesani, "nella ricerca dell’artista austriaca l’aspetto progettuale è assente. I suoi lavori, di diverse grandezze, sono al di là di una dimensione temporale precisa. Sono opere diacroniche che uniscono più momenti, in cui la datazione perde talvolta il suo senso". Nei suoi libri-opera, quasi tutti in copia unica, sono incollati frammenti di natura, pagine di antichi libri di soggetto sacro e parti d’oro.

"Scrittura come segno che istituisce il senso in un’accezione che rimanda agli archetipi, a una sorta di momento primario, in cui è il segno che graffia la terra e stabilisce delle coordinate rispetto alle quali è possibile orientarsi", così Elena Modorati (Milano, 1969) descrive il suo modo di vedere il segno. Nelle sue opere vi sono dei riferimenti alla pittura fiamminga, alla sua dimensione intima e nostalgica.

Le opere di Leila Mirzakhani (Teheran, 1978) sono realizzate con una tecnica essenziale, matita su carta così come era per Marcia Hafif. Nei suoi lavori il pensiero è dominante, mentre la tecnica è al suo servizio. La matita realizza il segno primitivo, archetipico, che riporta la mente al segno dell’uomo prima dell’avvento della storia. Quanto si vede è il frutto di un processo, che parte dall’artista stessa: le sue sono azioni, pensieri, rituali che affondano le radici nel zona più profonda del pensiero.

Di Nina Carini (Sicilia, anni Ottanta) sono in mostra opere installative. Al centro della luna è una lunga collana di sfere, grandi e piccole, che culminano nella luna, coperta da fili neri, che la collegano all’alto. La luna le tira i capelli, la trascina. L’indagine sul tempo, come per le altre artiste di Partiture leggibili, è un elemento essenziale della sua ricerca, così come l’indagine sui temi del linguaggio. In mostra è Je t’aime (2019) composta da 110 fogli stampati a mano con inchiostro e trasparina. A ogni foglio stampato, è stata aggiunta la trasparina in dosi minime, foglio dopo foglio. Così che nell’ultimo la frase Je t’aimesparisce. È un’opera performativa. La scelta della frase non è casuale: "L’ho scelta perché è una delle frasi più complesse del linguaggio umano".




Partiture illeggibili
a cura di Angela Madesani

Opening 14 dicembre, ore 18
Labs Gallery, Bologna
con Greta Schödl, Leila Mirzakhani, Nina Carini
dal 15 dicembre 2019 al 22 Febbraio 2020

Arte Fiera, Bologna
con Marcia Hafif, Max Cole, Elena Modorati
(Hall 18 Stand D38)
dal 24 al 26 Gennaio 2020

Contatti:
Via Santo Stefano, 38, 40125 - Bologna
Tel +39 051 3512448 | +39 348 932 5473


pubblica: 
www.amaliadilanno.com                                                             

venerdì 13 dicembre 2019

Renzo Marasca. O Mar Silente


La Fusion Art Gallery - Inaudita presenta O Mar Silente, mostra personale di Renzo Marasca a cura di Barbara Fragogna. La mostra è parte di NEsxT – independent art festival, e rientra nei circuiti di COLLA e ContemporaryArt Torino e Piemonte.


Esterno Ovest
di Barbara Fragogna

Noi non abbiamo riguardi; non ne attendiamo da voi. Quando verrà il nostro turno, non abbelliremo il terrore.“ - Karl Marx

Nel silenzio in cui ogni cosa si schiude piano, nel bagliore di un albeggiare tenue diffuso sul mare, dal vuoto dell’aria fresca, gelida, umida, salata, densa, effimera, sabbiosa, azzurra, un’onda infrange il sogno, lo frastaglia, lo rifrange. Multiformi schizzi di colore irradiano caleidoscopici mulinelli e la testa esplode in un pensiero dardeggiante: lontano oltre il mare, l’opportunità.
Opportunità, non speranza ma possibilità, l’andare e il tornare di molecole sempre differenti e apparentemente uguali genera una possibilità antagonista, acerrima nemica dell’abbandono, del tempo della disillusione. La spinta all’orlo, oltre l’orlo come positivo e cieco desiderio di conquista della novità. Renzo Marasca scava il “frame” di una sospensione precisa, l’uomo sulla scogliera di Friedrich senza il vento che strappa i vestiti, senza la tempesta e l’assalto del gesto plateale, della rivolta, dello splendore della gloria. Marasca è un eroe savio che imbriglia il furore (che c’è, sia ben chiaro), lo rende poetico, ermetico ma esplicito, la contraddizione del contenuto di un crogiolo di magma e ghiaccio. Dal suo pugno, dalla posizione china sulla spiaggia ad accarezzare la tela con l’onda lunga delle profondità abissali per nulla inconsce, egli proclama un punto mai fermo che gorgoglia come la bianca spuma marosa: silenzio roboante. La guerra arriva, la guerra è arrivata, è questo desiderio latente di scattare, questo pungolo che ci sussurra neuronale: “scappa, scappa”, questa tensione che si aggrappa ai muscoli addominali e che ci taglia il fiato, che ci minaccia ammonendoci mettendoci in guardia contro il pericolo di un imminente collasso sociale, umano. Una crisi che non teme rivolta, che preannuncia rivolta, che sopisce ogni rivolta.
L’artista di questa mostra delicata e magnifica, che usa materiali fragili, sottili come la carta velina e la tela libera (senza telaio), che permette alla battigia di impostare un ritmo, che non impone ma accoglie, che documenta e osserva da dietro una lente, che manipola ed elabora con colori dalle basi morbide, è un uomo che scruta il contemporaneo, un esule che migra tra i confini di una non patria (L’Europa), una mente splendida, implacabile e modesta, un corpo consapevole del suo ruolo pulviscolare, una voce intelligente e complessa, una brillante superficie cangiante. Un guerriero onesto.

O MAR SILENTE 
di Renzo Marasca

Spiaggia di Adiça, sud del Portogallo. Un rilievo roccioso, ricoperto di aspra e bassa vegetazione, si volge alla spiaggia come una presenza silenziosa che al mattino proietta la frescura fino all’umida e liscia battigia. In quelle ore fa freddo ad Adiça e dopo che l’alba è già passata da qualche ora, lentamente la grande roccia comincia a richiamare la sua ombra a sé; solo allora il giorno diventa giorno e il sole s’impossessa di ciò che è suo; ma fino all’ora del risveglio l’ombra della roccia assorbe ogni suono, e persino il respiro del mare sembra essere attutito in un silenzio quasi innaturale. O Mar Silente, pensai. E questo pensiero nominato è divenuto il titolo della mostra. Qui l’idea del mare lega un lavoro all’altro in una dimensione che non richiama soltanto la sua comunque inevitabile componente naturalistica, quanto una condizione culturale dell’esistere di un territorio che per sua natura guarda più al mare che alla terra. E su quella spiaggia ho realizzato parte dei lavori qui esposti. La grande tela, che titola la mostra, dipinta ad acquarello e acqua di mare, è stata stesa sulla battigia poi immersa in acqua poi di nuovo stesa, nel tentativo di cercare un contatto diretto con quel tipo di natura; a volte le onde allungavano la propria lingua fino alla tela e, nel ritornare al mare, lasciavano su di essa - di forza - la propria impronta di acqua salata e sabbia in una sorta di lotta silenziosa e veloce tra me e le onde del mare; infatti quegli ultimi sprazzi di oceano, che toccavano la tela e il colore, sovrastavano ogni mio gesto donando all’immagine che si andava formando quella primordiale e inevitabile forma di pittura che smise di interessarsi a me per rivolgersi, invece, al mare. Il grande telo di lino l’ho poi concluso in studio tracciando segni di pastello a cera, in ampi gesti su tutto lo spazio dipinto. Sulla stessa spiaggia, alcune settimane dopo, ho posizionato una videocamera di fronte al mare con l’intenzione di filmare il solo movimento delle onde in una ripresa fissa e senza audio. L’elemento narrativo improvviso è evidenziato da tre persone che entrano nei 16:9 dell’inquadratura inconsapevoli di essere ripresi. Le stesse intenzioni di raggiungere quell’apparente silenzio sono presentate in una serie di cinque carte veline dipinte con cere e gouache, in stratificazioni coloristiche complesse e processi mentali che la mano deposita in quel pensiero estetico. Infine alcune foto documentano il grande telo bianco sulla spiaggia come un reperto rifiutato dal mare e un piccolo quadro grigio piombo, che rimanda all’astrazione di una carta nautica o una mappa geografica. O Mar Silente - appositamente in lingua portoghese - è dunque una riflessione pittorica en plein air che si ispira all’eterno e ritmico movimento del mare, portando con sé la storia del mondo. 
Lisbona, Novembre 2019

Mostra
Titolo: O Mar Silente
Artisti: Renzo Marasca
Luogo: Piazza Peyron, 9g, 10143 Torino
A cura di: Barbara Fragogna
Inaugurazione: sabato 14 dicembre 2019 - ore 19
Visitabile fino al 30 gennaio 2020
Orari di apertura:
dal giovedì al sabato dalle 16 alle 19.30 e su appuntamento

Piazza Peyron, 9G
10143 Torino
+39 349 3644287Info:+39 3493644287 |  info.fusionartgallery@gmail.com

giovedì 12 dicembre 2019

Maurizio Bongiovanni e Giulio Catelli - Fiore aperto fiore chiuso


In corso alla galleria Richter Fine Art  la mostra Fiore aperto fiore chiuso, doppia personale di Maurizio Bongiovanni e Giulio Catelli

Per il terzo anno consecutivo la galleria Richter fine artorganizza una mostra “laboratorio”, in cui gli artisti scelti vengono messi in relazione e, dialogando e stimolandosi a vicenda, sviluppano un percorso espositivo.

La Richter Fine Art ospita i due pittori in una bi-personale in cui si specchieranno i reciproci dipinti e disegni, prevalentemente di figura.

“Abbiamo fatto delle belle riflessioni – affermano gli artisti - e i nostri discorsi ci hanno portati in un giardino, per l’esattezza in un roseto. Siamo rimasti affascinati dagli steli recisi... poi ci siamo distesi in questo roseto e abbiamo iniziato ad ascoltare musiche degli anni ’40 e ‘50 sul tema delle rose... abbiamo messo delle rose in un vaso, forse poche ma sufficienti”. 

La narrazione del corpo e dei suoi umori, in Maurizio Bongiovanni è eccezionalmente schietta, senza limiti temporali e geografici, come afferma l'artista: " sono uomini portatori del caos dell’esistenza". In Giulio Catelli, la dimensione del racconto, mostra dati di un vissuto meno evidente; sono le suggestioni e i dettagli minuti del quotidiano, a emergere nello spazio del dipinto. 

Il titolo della mostra allude quindi a due differenti registri del sentire, ai tempi propri della pittura, alle sue valenze seduttive, umbratili o sfavillanti che siano. 


Maurizio Bongiovanni. Classe ‘79 vive e lavora tra Milano e Londra.
Maurizio, pittore figurativo, e per descrivere il suo lavoro si può far riferimento al testo scritto da Zygmundt Bauman “modernità liquida”. In quanto sono compositivamente fluidi e il contenuto è chiaramente suturato insieme da materiale di origine disparato. Questi compositi liquidi tracciano visivamente gli slittamenti tra antico e contemporaneo, sfocando i binari di genere e la divisione tra natura e artificio. Applicando efficacemente l'antica tradizione della ritrattistica per raccontare il presente, l'artista ha sviluppato uno stile adatto a un periodo di conflitto radicale che circonda il valore della verità estetica e fattuale. 


Giulio Catelli. Classe ‘82 vive e lavora a Roma.
Giulio Catelli è tra i pochi pittori reduci dalla sempre più rara “esperienza en plein air”, e ciò aggiunge un incisivo valore esperienziale al suo lavoro. Nella sua pittura, ma soprattutto nei suoi ultimi lavori, ha rarefatto i segni e ridotto all’essenziale la materia pittorica e c’è una maggiore sintesi dell’immagine. Sebbene figurativa, l’opera di Catelli non diviene mai narrazione e non cede mai ai tranelli dell’illustrazione.Le pennellate fluide, felici e spontanee caratterizzano da sempre la sua pittura.


Vademecum:
Titolo: Fiore aperto fiore chiuso
Artisti: Maurizio Bongiovanni – Giulio Catelli
galleria Richter Fine Art, vicolo del Curato, 3 – Roma
Durata mostra: 10 dicembre – 24 gennaio
Orari: da mercoledì 11 dicembre dalle 13.00 alle 19.00 dal lunedì al venerdì e il sabato su appuntamento.

Email:info@galleriarichter.com
Fb account: Galleria Richter Fine Art

Ufficio Stampa: Chiara Ciucci Giuliani mob. +39 3929173661 | email: chiaracgiuliani@gmail.com

mercoledì 11 dicembre 2019

Andrea Fiorino. Amaro in bocca

Andrea Fiorino, Perdere la testa, 2019

Amaro, sulla lingua. Come il sapore che resta alla fine di un incontro. Il bicchierino di ammazzacaffè resta vuoto, il saluto è veloce, la porta si chiude e dove prima c’erano due persone impegnate in un corteggiamento, ne resta una sola. Con un carico di dubbi, parole non dette, imbarazzi e ambiguità. “Amaro in bocca” è il titolo della prima personale a Roma di Andrea Fiorino, ospitata nelle stanze di Casa Vuota, in via Maia 12 al Quadraro. Curata da Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo, la mostra s’inaugura sabato 14 dicembre 2019 alle ore 18:30 e si può visitare su appuntamento fino al 2 febbraio 2020, telefonando al numero 3928918793.

Artista siciliano che vive e lavora a Milano, Andrea Fiorino presenta dipinti, sculture e disegni realizzati appositamente nel 2019 per gli spazi di Casa Vuota e proposti al pubblico in modo installativo.

“Con le opere di ‘Amaro in bocca’ – spiega Andrea Fiorino – provo a raccontare ciò che può accadere durante un innamoramento e una delusione d’amore, in maniera ironica, a volte grottesca o spaventosa”. Costruita come una sequenza narrativa, la mostra racconta una storia attraverso varie scene, istantanee di un corteggiamento senza idealizzazioni, in cui si ritrovano gli stessi protagonisti, tela dopo tela, scena dopo scena, a condividere uno spazio di seduzione, stupore e mistero. “Tele di grandi dimensioni che occupano lo spazio in maniera prepotente e arrogante con il colore e il segno che le caratterizza – prosegue l’artista – si sparpagliano nell’ambiente e la casa fa da scenario a eventi che seguono un unico filo narrativo, dove personaggi e situazioni si ripetono come in un flusso di coscienza. Gli avvenimenti che ho rappresentato accadono tutti in un arco temporale contenuto, come se fossero scene del racconto di una notte soltanto. Spunti narrativi e immagini racchiudono in sé diversi livelli di lettura possibili. Senza che vi sia un unico finale precostituito”.

Casa Vuota è il teatro di questa storia che si popola dei personaggi bizzarri e surreali che sono tipici delle visioni pittoriche e scultoree di Fiorino. La sua ricerca infatti trova nell’accostamento di elementi disparati la chiave di lettura per superare i limiti del reale e trasformare la percezione quotidiana in sogno o finzione. Così, nella fluidità dei dipinti appesi alle pareti senza telaio, si rende possibile un’ambiguità dei generi, dei sentimenti suscitati e dei percorsi di lettura praticabili che corrisponde a un’ambiguità della visione, spingendo le operazioni di decodifica della trama pittorica sul terreno dell’ambivalenza, del doppio senso e del libero gioco delle analogie e delle dissonanze.

Andrea Fiorino è nato nel 1990 ad Augusta, in provincia di Siracusa. Laureato in Grafica d’arte e Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera, vive e lavora a Milano. Tra le mostre più recenti, si segnalano nel 2018 la bipersonale “Every day like a Sunday” alla Antonio Colombo Gallery di Milano a cura di Ivan Quaroni e nel 2017 le collettive “Limiti-Confini” 5° Premio Cramum per l’arte contemporanea presso il Grande Museo del Duomo di Milano a cura di Sabino Maria Frassà, “Novantiani” alla Fondazione Pio Alferano e Virginia Ippolito di Castellabate (Salerno) a cura di Camillo Langone e “Selvatico 13. Fantasia/fantasma. Pittura fra immaginazione e memoria” a Fusignano a cura di Massimo Fabbri.


INFORMAZIONI TECNICHE:
TITOLO DELLA MOSTRA: AMARO IN BOCCA
AUTORE: Andrea Fiorino
A CURA DI: Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo
LUOGO: Casa Vuota – Roma, via Maia 12, int. 4A
QUANDO: dal 14 dicembre 2019 al 2 febbraio 2020
ORARI: visitabile su appuntamento
VERNISSAGE: sabato 14 dicembre 2019, ore 18:30
INFORMAZIONI: cell. 392.8918793 | email vuotacasa@gmail.com | INGRESSO GRATUITO

Regina José Galindo – Lavarse las manos


La Real Academia de España en Roma presenta Lavarse las manos di Regina José Galindo a cura di Federica La Paglia e parte del più grande progetto dal titolo “cuestiones de estado”, dedicato al tema della migrazione e raccontato dall’artista attraverso le testimonianze dei migranti. Promosso e prodotto dal Ministero degli Affari Esteri, dell’Unione Europea e Cooperazione di Spagna, dalla Real Academia de España en Roma e dal Centro Culturale di Spagna in Guatemala, il progetto proseguirà poi a Madrid sempre nel mese di dicembre 2019 

L’artista guatemalteca ha ideato un progetto site specific che si sviluppa in una performance e una mostra, “Lavarse las manos”, ospitato presso la Real Academia de España en Roma. Il primo appuntamento è martedì 10 dicembre con la performance che vede la partecipazione attiva del pubblico, in un percorso obbligato che ha lo scopo di coinvolgere il visitatore rispetto al tema della migrazione, mettendolo di fronte alla vita degli altri. 


La mostra, che verrà inaugurata il 13 dicembre, nasce con la performance e si compone di vari elementi, tra cui un audio ambientale e alcune fotografie, il cui particolare formato evoca la forza delle protagoniste del progetto, con cui l’artista, come in tutta la sua più recente produzione, ha lavorato per l’occasione. 

Concepito appositamente per la Real Academia de España en Roma e realizzato a Roma durante un periodo di residenza dell’artista, “Lavarse las manos” riflette sulla migrazione attraverso abiti e testimonianze di donne rifugiate in Italia, perché “la storia troppo spesso si scrive sul corpo delle donne” sottolinea l’artista. 

In un periodo storico caratterizzato da una forte tensione sociale, da dibattiti sulla questione immigratoria e accesi rigurgiti di xenofobia, Regina José Galindo elabora un progetto di matrice relazionale, che mette in discussione il concetto di alterità, la sua visione occidentale ed eurocentrica e le relazioni di potere. 

Come spiega la curatrice Federica La Paglia, “Lavarse las manos è un progetto complesso in cui l’artista innesca un processo di responsabilizzazione del pubblico attraverso una gestualità quotidiana che solleva questioni in ordine alla normalità dell’indifferenza e intende scoperchiare pregiudizio, comoda inconsapevolezza e paternalismo. Galindo agisce a livello empatico per ribaltare la prospettiva sull’altro, il migrante, la donna. Spezza dinamiche relazionali deviate da prospettive storiche e culturali di stampo eurocentrico, accoglie e restituisce l’esistente. Non proprio un atto di accusa, ma un gesto di verità che vuole consapevolezza e passa attraverso l’economia del dono”. 


Regina José Galindo, classe 1974, è artista visiva e poetessa, vive e lavora in Guatemala, utilizzando il proprio contesto come punto di partenza per esplorare e denunciare le implicazioni etiche della violenza sociale e delle ingiustizie connesse con la discriminazione razziale e di genere e gli abusi del potere. 
Vincitrice del Leone d’Oro come Migliore Giovane Artista alla 51ma Esposizione Internazionale d’Arte-la Biennale di Venezia (2005) , più volte è stata invitata alla Biennale di Venezia, ha inoltre partecipato alla 14ª edizione di Documenta e, tra le altre, alla 17ª Biennale di Sidney, alla 2ª Biennale di Mosca. Tra le sue mostre personali: SOS. Prometeogallery, Milano 2018; La Sombra, Proyectos Ultravioleta, Frieze, Londra 2017; Mechanismen der Gewalt. Frankfurter Kunstverein, Francoforte 2016; Nadie atraviesa la región sin ensuciarse. ArtCenter, Miami 2015; Estoy Viva. PAC. Padiglione d'Arte Contemporanea, Milano 2014. Le sue opere sono entrate in molte collezioni tra cui quelle del Museum of Modern Art (MOMA), New York; Tate Modern, Londra (UK); The Pompidou Foundation, Parigi; Museo Castello di Rivoli, Torino; Guggeheim Collection, New York; Daros Foundation, Svizzera; Miami Art Museum, Miami; Cisneros Foundation, Miami; UBS, Svizzera; Fondazione Galleria Civica Trento, Trento e Meiac in Spagna. 


Regina José Galindo – Lavarse las manos
a cura di Federica La Paglia
Inaugurazione mostra: venerdì 13 dicembre 2019 ore 18.30 
Apertura mostra: 14 dicembre 2019 – 31 gennaio 2020

Piazza San Pietro in Montorio, 3 00153 - Roma - Lazio