venerdì 29 marzo 2019

Rita Mandolini: Disturbo di conversione


Meccanismo psichico e psicosomatico, causato da fattori mentali quali lo stress e il conflitto, il disturbo di conversione dà luogo a fenomeni che esprimono chiaramente ciò che fino a quel momento è stato celato, invisibile ad occhi esterni. Sebbene il titolo della mostra sia in parte ironico e dal duplice significato, sono effettivamente invisibili al mondo le protagoniste dei dipinti di Rita Mandolini, invischiate in una materia densa, quella del nero: il non-colore per antonomasia, con la sua qualità assorbente, che esalta per contrasto la luminosità e che è divenuto, nella storia della pittura, un elemento determinante per la composizione e la spazialità. La scala dei toni di nero, con ripetute pennellate, conferisce lo spessore materico e la profondità dei riverberi, fra tratti lucidi e opachi. Il non-colore costruisce la forma, che appare sfuggente e gradualmente si trasfigura, dando corpo a un’immagine persistente e penetrante. Le immagini di suore, una quadreria di suore, in cui ogni dipinto è un ritratto. L’osservatore dev’essere avvezzo all’attesa, occorre qualche istante prima che lo sguardo si abitui alla reale percezione della superficie nera. É l’oscurità, la condizione prediletta dall’artista. Il buio e i piccoli anditi: spazi intimi e nascosti, come i luoghi in cui ci si rifugia nell’infanzia. Ci troviamo in una dimensione privata e raccolta, ove si affacciano memorie sepolte, fra giochi e paure, evocate nella fotografia che ricorda il muretto della scuola sormontato da vetri taglienti. «I legami visivi ed emotivi che instauro con un luogo o una storia sono per me fondamentali nel dare forma a un’idea», scrive l’artista. In questo caso, l’esecuzione dei ritratti di suore si è dispiegata dal 2009 al 2019, un lasso di tempo in cui si colloca la visita al convento di Santa Rita, dove – nel racconto di Mandolini durante una conversazione – una suora le ha mostrato la “reliquia” di Yves Klein, devoto alla Santa, un prezioso scrigno contenente colori e oro dell’artista francese. Lo scrigno sembrava ambiguamente, ironicamente (e forse drammaticamente) simile a una trousse per il trucco femminile. Senza eufemismi né indulgenza, e in contrasto con l’apparente tranquillità emanata dai ritratti, lo sguardo si rivolge alle contraddizioni interiori sorte da proibizioni, inibizioni, conflitti, negazione della femminilità, segreti inconfessabili. Fronteggiano la quadreria due tradizionali simboli di femminilità: in Orpello (2017) appare un pettine, rappresentato a guisa di quelli dipinti da Diego Velàzquez, maestro nell’uso del nero; mentre un ventaglio, talismano di femminilità celata con frivolezza, è “decorato” con l’ecografia uterina dell’artista, mettendo in mostra un altro andito segreto, visibile nel suo aspetto fisico e crudo, spazio interno fra le interiora scelto come autoritratto. Il ventaglio conserva la forma originale, ma l’immagine è in attrito con la funzione dell’oggetto, che risulta quindi alterata così come avviene con la liquirizia, una massa strisciante di materia che invade il pavimento pur continuando a diffondere il caratteristico profumo che la rende così invitante. Identità e interiorità si trovano in opposizione, o comunque in bilico sul filo di un labile confine, tra lo sguardo distaccato e la compassione (nel significato latino del sentimento di vicinanza). Ma si tratta anche del confine tra la forma (se così possiamo chiamare la cangiante epifania dei dipinti) e l’informe (il ventre sul ventaglio e la matassa dei cavi di liquirizia). «Mi diverte molto modellare, ma anche disfare», afferma l’artista. La forma vive dunque in uno stato sempre mutevole, in virtù della luce o della malleabilità della materia, anche grazie allo sguardo altrui.

Diletta Borromeo

Rita Mandolini
Sono nata a Roma, dove vivo, lavoro e mi sono diplomata in pittura all’Accademia di Belle Arti. I legami visivi ed emotivi che instauro con un luogo o una storia sono per me fondamentali nel dare forma a un’idea. Ognuna richiede di essere espressa con un medium specifico. Ho iniziato con la pittura, che utilizzo prevalentemente e accoglie ogni altro linguaggio o tecnica che possa mettere in discussione l’ovvietà dei rapporti tra apparenza, tratto, materia, visibilità. Cerco di mettere in atto una trasformazione poetica del luogo o del soggetto. Ho sperimentato la natura del limite lavorando su spazi circoscritti come l’interno del corpo e l’ambiente domestico, usati come palcoscenico del proprio dramma. Sono attratta dalle potenzialità del nero, sempre diverso da sé, mutevole e cangiante. L’assenza di luce e colori mi ha sempre affascinato, fin dall’età in cui l’oscurità era un posto in cui rifugiarsi, capace di contenere segreti, idee e forme. Lentezza e attesa mi appartengono. Ambienti domestici, memorie sepolte, spazi ristretti, intimi e nascosti nella semioscurità, sono i miei campi d’azione preferiti. Quando non c’è luce a sufficienza, si è costretti ad affinare i propri sensi, ad essere pazienti, in attesa che il nostro sguardo, prima disorientato, abiti con disinvoltura il nuovo spazio. E’ in quelle zone d’ombra, in cui lo sguardo è solo una parte del tutto, che io mi ritrovo.

Progetti recenti:
• “La linea d’ombra”, di Pasquale Polidori, a cura di Diletta Borromeo, Macro Asilo, Roma, 2019.
• “Fuori 8”, collettiva a cura di Carlo Gallerati e Noemi Pittaluga, Galleria Gallerati, Roma, 2019.
• “Spazio buio”, Ogni spazio buio è la camera oscura dell’infanzia, l’immagine l’oggetto fatale, progetto per la Black room del Macro, Roma, 2018.
• “Non ti faccio uscire non ti lascio entrare”, personale a cura di Noemi Pittaluga, Galleria Gallerati, Roma, 2018.
• “Contestare l’ovvio”, collettiva a cura di Helia Hamedani, Mlac La Sapienza Università, Roma, 2017.
• “Il sé allo specchio / autoritratti fotografici”, collettiva a cura di Giorgio Bonomi, Ass. Cult. Artefuoricentro, Roma, 2017.
• “Pezzi Unici III”, collettiva a cura di Noemi Pittaluga, Galleria Gallerati, Roma, 2016.
• “Muse ispiratrici per artiste ispirate”, collettiva a cura di Manuela De Leonardis, progetto per la stanza di Jackeline Kennedy, Albergo Capitol, Crotone, 2015/2016.
• “Naked Lights”, progetto a cura da P.L.M. Piacentini e Ludovica Palmieri, Teatro Tor di Nona, Roma, 2015. “Radice”, azione; “Non puoi avere l’ultima parola”, installazione.
• “Dialoghi spuri in quattro atti”, Atto II, un progetto di Chiara Giorgetti, Sartoria Teatrale di Massimo Poli, Firenze, 2015. “Dal soffitto non cadono fiori, l’acqua non sempre riflette”, installazione e video.
• Nero Roma, personale a cura di Roy Alexander Leblanc, Roy Alexander Art Gallery, Los Angeles, 2015.


AOCF58 - Galleria BRUNO LISI, via Flaminia 58 - Roma (metro A fermata Flaminio) 
RITA MANDOLINI: Disturbo di conversione 
A cura di Diletta Borromeo 
Inaugurazione lunedì 1 aprile 2019 ore 18.30 
Periodo dal 1 al 19 aprile 2019 
Orario dal lunedì al venerdì ore 16.30 - 19.00 (chiuso sabato e festivi)

Romina Bassu. Monday blues


Studio SALES di Norberto Ruggeri è orgoglioso di presentare Monday blues seconda personale in galleria di Romina Bassu (nata nel 1982 a Roma, dove vive e lavora). 

La mostra presenta una nuova serie di opere pittoriche, realizzate appositamente per questa occasione, ed è incentrata sulla rappresentazione di figure femminili attraverso quel dark humour che spesso caratterizza l’immaginario dei lavori dell’artista. Le protagoniste di Monday blues sono immortalate in diversi stati emozionali, in preda alla noia, alla malinconia o intente in qualche bizzarra azione che coinvolge il loro corpo. All’improvviso si ritrovano sospese in un limbo tutto loro, in un universo di stati d’animo e conflitti personali, alla ricerca di una sparizione o in cerca di un altrove fisico e mentale.
Sono corpi assenti, quasi privi di vita, attraverso i quali Romina Bassu esplora il conflitto psicologico profondo, la disparità esistenziale tra l’essere e il voler essere e la pressione sociale e culturale, cui le donne sono esposte in maniera particolare.

[…] Le mie donne sono imprigionate nelle loro azioni, congelate nel tentativo di fuga da una realtà che probabilmente non vogliono più accettare. Qualcosa si inceppa, ne impedisce temporaneamente il corretto funzionamento, e questo offre una metafora sarcastica che fa emergere l’inquietudine sottostante: una nevrosi occultata, ma che è sotto gli occhi di tutti. 
(Romina Bassu)

Le donne di Monday blues galleggiano tra tensione psicologica e humour, rimangono imprigionate nelle loro morbide acconciature, nei loro tacchi scomodi, riversando le proprie ansie nei fumi dell’ennesima sigaretta o contro l’elettrodomestico che non funziona come dovrebbe, oppure concedendosi una stretta abbandonica sul cuscino.

Le donne descritte in Monday blues da Romina Bassu nascondono la propria fragilità emotiva, la loro umoralità, il loro sentirsi inadeguate e costantemente fuori posto. Lo fanno nella massima segretezza delle mura di casa e in solitudine: fuori fingono perfezione, nel loro mondo cedono ai propri fastidi, cadono in una sorta di black out, perdendosi, diventando inutili, a-funzionali, non produttive, assenti.
Romina Bassu sbircia in questo mondo segreto, svelando la vulnerabilità di cui sono consapevoli le protagoniste stesse dei suoi quadri, quadri che diventano delle finestre su questa intimità nascosta e silenziosa.

Piazza Dante 2, int. 7 00185 - Roma - Lazio

Monday blues
personale di Romina Bassu
a cura di Manrica Rotili

La mostra sarà visitabile fino al 17 maggio 2019 
dalle 15:00 alle 19:00 e su appuntamento 
info@studiosales.it 

giovedì 28 marzo 2019

And Now, My Last F***ing Videos


Presentazione e incontro/dibattito amichevole intorno la realizzazione degli ultimi lavori video di Massimiliano Manieri, tratti dalle performance live: Kontrolle Macht Frei e Anatomia di un Calligrafo.

La presentazione comune di due progetti video parte dal pensiero che ha accomunato tali lavori performativi, da cui questi video son tratti, ed è il senso del rituale, ora volto all’oscenità della modernità (Kontrolle Macht Frei), ora volto a rituali ancestrali intorno la scrittura (Anatomia di un Calligrafo).

Alla presentazione dei video seguirà dibattito moderato da Katia Olivieri

Video (a cura di Massimiliano Manieri):
KONTROLLE MACHT FREI
(durata 06:35 minuti – prod. MeditFilm – 2018)

ANATOMIA DI UN CALLIGRAFO
(durata 10:17 minuti – prod. Franco G. Livera – 2019)

Dialoga con gli artisti:
Katia Olivieri

Artisti partecipanti:
Fabrizio Fontana
Franco G. Livera
Maria Gabriella Marra
Massimiliano Manieri

venerdì 29 marzo 2019 ore 21:00




Susana Serpas Soriano - Terra e sangue. L’orizzonte primitivo


Terra e Sangue è il tentativo di riproporre il tema della creazione come orizzonte primitivo. L’anelito verso un non-luogo immaginale che con il mito dell’origine del mondo evoca l’utopia della prima dimora dell’anima a cui eternamente aspiriamo secondo un movimento di conversione e di riflessione che ritorna su se stesso. La sospensione dell’attesa è colta come manifestazione che appartiene al dialogo silenzioso tra la Terra e il Cielo nel ciclico andare dalle tenebre alla luce e dalla luce all’oscurità. Le immagini sono state scattate in viaggio. Il più delle volte da un’automobile o dal treno. Ogni episodio rappresenta una stazione della creazione e ogni contenitore è il teatro della sua epifania. 

Susana Serpas Soriano - Terra e sangue. L’orizzonte primitivo
a cura di Giovanna dalla Chiesa

#opening 29 marzo ore 19.00

la mostra rimarrà aperta dal 29 marzo al 18 maggio 2019

Via Giovanni Battista Tiepolo, 38 - 00196 Roma 
tel. +39 335 8310878 | info@studiotiepolo38.eu 

orari di apertura: Lunedì-Giovedì ore 16.00-22.00 | Venerdì-Sabato ore 16.00-24.00

mercoledì 27 marzo 2019

Divenire


Andrea Pinchi - 2019 - Umberto Urban Squid – tecnica mista su tela - cm 100x 140


Divenire
C’è un’armonia nascosta, ineffabile, nel rinnovarsi a ogni istante dell’esperienza, di ogni esperienza mai uguale a se stessa. È il messaggio fondamentale di Eraclito di Efeso, il pensatore presocratico di cui, secondo Nietzsche, il mondo avrebbe eternamente bisogno, così come la vita ha eternamente bisogno di verità. Eraclito molto probabilmente non pronunciò il motto Pánta rheî, fu Platone a tramandarlo, quale condensato dei pensieri di Eraclito sul perpetuo fluire. Eraclito parlò della fissità come inganno, delle acque di un fiume che non sono mai le stesse e Platone parlò del Sole come Bene, un sole da render nuovo ogni giorno:come si può pensare il continuo mutamento della natura e delle cose che non è possibile ingabbiare in sistemi? Il fiume in cui ci immergiamo è lo stesso, ma se le acque che lo compongono non sono mai le stesse, anche il fiume, la realtà, così come il sole, non è mai lo stesso fiume. Non si può rivivere ciò che è passato: bisogna accettare il divenire. Tale tematica è intercettata senza fatica dal lavoro degli artisti Marco Angelini, EPVS, Yiannis Galanopoulos, Cristallo Odescalchi, Andrea Pinchi e Federica Zianni, la deriva eraclitea del divenire si traduce infatti nella grammatica di opere non ibride, ma che suggeriscano ed evochino l’idea di fluidità. Angelini propone un ciclo che a livello cromatico e concettuale rimanda nell’immediato a paesaggi o aspetti della vita fluida, liquida, quasi immateriale, come suggerito dalla forma astratta: si tratta di memorie di viaggi dell’artista che si rimescolano, per raccontare una deriva continuamente mutevole, come uno storyteller che intesse la realtà dei suoi pensieri; gli stessi pensieri sovrapposti come mattoni di un ideale puzzle in una delle opere del fotografo greco Yiannis Galanopoulos, che a tale “accumulo” affianca l’idea di fluidità suggerita dai tubi o da elementi di una quotidianità post-industriale. La vivace forma fluida e dal tocco industrial, sinuosa si risolve nelle sculture della giovane Federica Zianni, dove meandri di materia sapientemente plasmata nelle mani dell’artista si accendono in colori vivaci, che suggeriscano l’idea di una società viva, pulsante, dunque in continuo e costante divenire; il divenire diviene invece rarefatto nell’elegante dittico di foto di EPVS, cui sono poste a protezione lastre plexiglass: un suggestivo tramonto degradè si affaccia sul nero cosmico di una piscina che raccoglie speranze disattese, cocenti disillusioni che sembrano covare sotto la cenere, in perfetta antitesi con l’elemento fluido: affermare il divenire equivale stavolta all’accettazione di un fallimento. Lo stesso nero cosmico, frammentato dal bianco, si ritrova nella meticolosa ricerca di Cristallo Odescalchi, le cui opere dai tratti puliti e nitidi raccontano visioni reali o immaginate che comprendano o evochino l’elemento fluido, da forme astratte sinuose a più netti elementi di un racconto sempre lucido nella mente dell’artista. Sigillo della mostra è l’opera di Andrea Pinchi, in cui una stilizzata e simbolica rappresentazione di una creatura che popola l’universo marino s’innesta nel cemento urbano: l’accumulo di materia pittorica rimanda alla società liquida, dai consumi culturali onnivori, nella quale la figura dell’artista, troppo spesso stigmatizzata, perpetuamente necessita di muoversi infrangendo gli schemi.


Giuditta Elettra Lavinia Nidiaci 


English below___

Becoming
There is certainly a hidden and indefinable harmony that is renewed at every moment of experience, in every experience never equal to itself. This is the key message of Heraclitus of Ephesus, the pre-Socratic thinker of whom, according to Nietzsche, the world is eternally in need, just as life always needs the truth. Heraclitus probably did not pronounce the adage Pánta rheî, it is Plato who transmitted it, summarizing the thoughts of Heraclitus on the perpetual fluctuant. Heraclitus spoke of fixity as of a trickery, the waters of a river that are never identical, and Plato of the Sun as a Good, a sun to be renewed every day: how to conceive then the continuous change of nature and things that we cannot hold in the cage of systems? The river in which we are immersed is the same, but if the waters that compose it are never the same, even the river, the reality, like the sun, is never the same. We cannot relive what has happened: we must accept it as becoming. This theme is easily intercepted in the works of artists Marco Angelini, EPVS, Yiannis Galanopoulos, Cristallo Odescalchi, Andrea Pinchi and Federica Zianni, the Heraclitan drift of becoming translates into the grammar of non-hybrid works, but suggesting and evoking the idea of fluidity. Angelini proposes a cycle that, at the chromatic and conceptual level, immediately makes reference to landscapes of fluid, liquid, almost immaterial life, as suggested by the abstract form: these are the travel memories of the artist who are mixed together to tell a drift. By continually changing it, like a storyteller who weaves the reality of his thoughts; the same thoughts are superimposed like the bricks of an ideal puzzle in one of the works of the Greek photographer Yiannis Galanopoulos, who associates the idea of fluidity suggested by the pipes or the elements of a postindustrial everyday life. The fluid and lively form and the sinuous industrial touch are solved in the sculptures of Federica Zianni, where the meanders of materials cleverly fashioned in the hands of the artist are illuminated by bright colors, which suggest the idea of a vibrant society living continuously in transformation; it is becoming more and more rare in the elegant diptych of EPVS photos, placed to protect the plexiglas slabs: an evocative and degrading sunset overhanging the cosmic black of a swimming pool that gathers ignored hopes, disillusions burning that seem to hatch under the ashes, in perfect antithesis with the fluid element: to affirm that the becoming is this time equivalent to the acceptance of a failure. The same cosmic black, fragmented by the white, is reflected in the careful research of Cristallo Odescalchi, whose works with clear and crisp lines tell real or imaginary visions including or evoking the fluid element, from sinuous abstract forms to more complex elements, an ever clearer narrative in the artist’s mind. The seal of the exhibition is the work of Andrea Pinchi, in which a stylized and symbolic representation of a creature of the marine universe engages into the urban concrete: the accumulation of pictorial material refers to the liquid society, resulting from omnivorous cultural consumption, the role of the artist, too often stigmatized, always needs to move away to break the patterns.


Giuditta Elettra Lavinia Nidiaci


Translation by Romina Fucà

DIVENIRE
Opere di  Marco Angelini, Andrea Pinchi, Elena Panarella Vimercati Sanseverino, Yiannis Galanopoulos, Cristallo Odescalchi e Federica Zianni.
a cura di Giuditta Elettra Lavinia Nidiaci
fino al 29 marzo 2019

Spazio Arte T24
via della Tribuna di Campitelli, 24 – Roma


martedì 26 marzo 2019

Mara van Wees. L’arte di misurare la terra


Continua il ciclo di mostre Fuochi Incrociati. Forze Sciamaniche Fra Spazio Terra e Corpi a cura di Gianluca Peluffo. In corso da Canova22 la personale L’arte di misurare la terra di Mara van Wees.

Nel lavoro di Mara van Wees il filo conduttore è rappresentato dalla geometria, l’architettura, il volume, lo spazio, il dentro e il fuori, un suo “uso” immaginario. L’artista si appella a Canova architetto, al tempio canoviano - la Chiesa della Santissima Trinità - disegnata da Antonio per il suo paese Possagno. Nel tempio si riconoscono tre differenti linguaggi architettonici: sul colonnato lo stile greco ad ispirazione del Partenone, il corpo centrale ricorda il Pantheon, mentre l’abside con l'altare maggiore una chiesa cristiana. I pavimenti, interni ed esterni, sono delle magnifiche composizione geometriche. La mostra si divide in due momenti distinti: nel primo sarà un modulo rigoroso, in argilla bianco/grigio, di un quadrato/cerchio/triangolo, a costruire volumi tridimensionali e ottici dinamici, quali piramidi, cubi, torri, che a loro volta si ispireranno al lavoro di Victor Vasarely, maestro dell’optical art. Nel secondo, la libera interpretazione in terracotta dell’elemento geometrico prende il sopravvento: i triangoli, rombi, quadrati si rincorrono liberamente, inciampando, deformandosi, dando il via a una ludica convivenza nello spazio. 

“I lavori di Mara van Wees, Riccardo Monachesi e Danilo Trogu, sembrano nascere sia per questo specifico luogo archetipico, che per tutti i luoghi possibili in cui il tempo non è il cattivo presente, ma il buio del contemporaneo. I tre artisti affrontano temi che sono propri della terra: la corporeità, la materia, opaca o lucida, la contemporanea presenza evocata di tempi diversi, l’altrove, la memoria e il futuro, la forma. La forma, plastica o archetipica, è l’ineluttabile confronto dell’artista ceramista. Proprio per questo, i lavori dei tre artisti, pur cogliendo in alcuni casi ispirazioni dal presente degli eventi, cercano forme e colori, che trascendano l’iconologia, ma che si inseriscano in una “storia delle forme” che dialoghi con il tempo in senso genealogico e continuo, come linee formali di persistenza e creazione. La casa, il vaso, il piatto, il cubo. I valori formali delle opere in terra che entrano e trovano spazio nella Fornace Canova, sembrano esprimere proprio una ricerca di adualità, ovvero di superamento delle opposizioni tradizionali: fragilità-durata, popolare-aulico, ripetizione-unicità. Questa capacità inclusiva dello spazio della Fornace, determina un’energia inclusiva delle ceramiche stesse, attraverso le mani dei tre artisti, che sembrano quasi prestarsi alla guida sciamanica di un respiro, di un “genius loci” qui presente. Allora il dialogo con le forme archetipiche della ceramica di van Wees, che sembrano interagire con tempi antichi, anche primitivi, e contemporaneamente con il futurismo o con il costruttivismo solitario di Chillida, porta a questo corto circuito temporale e materico.” (dal testo critico di Gianluca Peluffo)

Mara van Wees, nata in Olanda, studia all’Accademia Belli Arti a Rotterdam, dove si avvicina alla ceramica scultorea. Lavora nel Street Theater Lantaarn di Rotterdam e come designer e imprenditrice in vari campi artistici, prima in Olanda, poi a Firenze e Roma. Alla fine degli anni Novanta ritorna a plasmare l’argilla. La Scuola di Amsterdam con Berlage fa parte del suo DNA, ma la sua ricerca trova ispirazione anche nel Futurismo. Predilige le installazioni site-specific a tema, in dialogo con altri artisti; ha partecipato a diverse mostre istituzionali come la Biennale d’Arte Ceramica Contemporanea alle Scuderie Aldobrandini di Frascati (Roma), “Meanwhile” al St. Stephen Cultural Centre Foundation di Roma, Land-Art al Furlo nelle Marche, “Color Crossing” nel Castello Costaguti di Roccalvecce (Viterbo), “Pietra Liquida”, “Il Codice Vulci” e “Vulci Mon Amour” nel Parco Archeologico di Vulci (Viterbo), le edizioni di “In Crypta” a Roma, Todi (Perugia) e Grottaglie (Taranto), “Il Sole negli Orci” al Museo Archeologico di Canino (Viterbo). Nel 2015 vince il bando “In Loco” del MIBACT / Puglia, per una residenza d’artista a Grottaglie. Negli ultimi anni sviluppa progetti di land art di grandi dimensioni e con materiali diversi dalla ceramica. Nel 2018 realizza una scultura pubblica sul lungomare di Montalto di Castro. Vive e lavora tra Roma e la Maremma. 


Mara van Wees
L’arte di misurare la terra

Via Antonio Canova, 22 - Roma

Fino al 7 aprile 2019

Fuochi Incrociati 
Forze Sciamaniche Fra Spazio Terra e Corpi 
Un ciclo di mostre a cura di Gianluca Peluffo

Riccardo Monachesi - Diverso Amore, Diversa Psiche 
9 - 30 aprile 2019

lunedì 25 marzo 2019

Ornella Rovera. Corpo Errante


Le opere in mostra vogliono far riflettere sulla condizione femminile, tutt’ora discriminata. Ancora oggi persistono meccanismi sociali strutturali quali quelli di una divisione sessuale dei compiti. Nelle opere esposte, si è utilizzata la simbologia come metafora della condizione femminile. Le immagini e gli oggetti rappresentati appaiono come involucri, strutture in cui il corpo risulta assente, ad evocare sia la possibilità di poter essere “abitati” da entrambi i sessi (emancipazione) e sia ad indicare metaforicamente la difficoltà da parte del genere femminile di un’ascesa sociale. Il termine “corpo errante” può essere inteso, da una parte come corpo che cerca una sua collocazione, dall’altra come corpo che sbaglia. L’artista utilizza linguaggi come la fotografia e la scultura, linguaggi i quali sono comunque in rapporto tra loro, esprimendo spesso un legame simbiotico. Come scrive Eugenio Alberti Schatz: “Una scala introflessa. Una cintura trasparente. E un potente, incontrovertibile grembiule da lavoro. Su questi archetipi si sviluppa la riflessione ad alta voce di Ornella Rovera. Ad alta voce, poiché quando si ragiona sui simboli, non ci sono molti posti dove andare a nascondersi. In questa mostra ogni affermazione pare essere accompagnata dal suo contrario: è un elogio del dubbio, delle certezze calcificate che smottano verso un campo del possibile più ampio e aperto. D’altronde, già il titolo invita a una pluralità di lettura: il corpo erra nel senso che ha sbagliato o nel senso che se n’è andato come in un’esperienza extracorporale, lasciandoci soli davanti al monitor?”

Ornella Rovera. Corpo Errante
testo di Eugenio Alberti Schatz

Centro indipendente BACS Between contemporary art and sociology per il dialogo
fra arti visive contemporanee e sociologia
via Donizetti 42 - LEFFE (BG)
Inaugurazione Domenica 14 Aprile 2019
Orario visite: ore 16,30 - 19,30

Visitabile sino al 4 Maggio 2019

Ornella Rovera
www.ornellarovera.it
ornellarovera@yahoo.it
+39 3472223510

venerdì 22 marzo 2019

Porta San Gennaro di Andrea Aquilanti


Venerdì 29 marzo alle ore 18:30 Spazio NEA presenta “Porta San Gennaro”, personale di Andrea Aquilanti. A cura di Graziano Menolascina, la mostra sarà aperta al pubblico fino al 29 aprile 2019. 

“Porta San Gennaro” è un progetto site specificpensato in esclusiva per Spazio NEA, ispirato alle bellezze architettoniche di Napoli ed in particolare a Porta San Gennaro, la più antica porta di ingresso alla città di Napoli.

Menzionata già in documenti risalenti all’anno 928, quando era dilagata la paura dei Saraceni che avevano già distrutto la città di Taranto, la Porta era l’unico punto di accesso per chi proveniva dalla parte settentrionale della città. Il nome deriva dal fatto che qui partiva anche l’unica strada che portava alle catacombe dell’omonimo santo. In età ducale la porta fu ricostruita poco lontano dal luogo originale, tra Caponapoli e il vallone di Foria, nei pressi del Monastero di Santa Maria del Gesù delle Monache. Già dal X secolo si hanno testimonianze che la porta veniva denominata di San Gennaro. Nel 1537 fu ancora spostata per volere di Don Pedro di Toledo e furono eliminate le due maestose torri fortificate che la fiancheggiavano, occupando la collocazione che ancora oggi conserva su via Foria, di fronte a piazza Cavour, inglobata nel complesso edilizio che gli è stato costruito intorno. Dopo l’epidemia di peste del 1656, come ex voto, vi fu aggiunta un’edicola affrescata da Mattia Preti che raffigura San Gennaro, Santa Rosalia e San Francesco Saverio.

Andrea Aquilanti, tramite questa ricostruzione, si rimette sui passi della storia operando attraverso dei processi di ricostruzione e di percezione; le immagini del suo lavoro subiscono costantemente dei passaggi destrutturanti fino allo sdoppiamento e alla dissolvenza creando continue interazioni con il pubblico. Porta San Gennaroè una video installazione che ricopre per intero la superficie dello spazio espositivo, accompagnata da grandi disegni realizzati a muro con sovrapposizioni di immagini proiettate in continua evoluzione che danno vita a meccanismi di condizionamento mentale, effetti allucinatori sino a perdersi nei labirinti della fantasia.

È un’attitudine post-moderna quella di scomporre e miscelare le materie. Aquilanti, tramite strumenti tecnologici e connessioni celebrali, crea uno strumento attraverso il quale fa dialogare il passato con il presente, generando un grande gioco illusionistico delle vanità umane. Uno spazio mentale tutto da scoprire, un orizzonte illimitato di profonde verità che giacciono nei meandri bui della coscienza dell’umanità.


Andrea Aquilanti nasce nel 1960 a Roma dove vive e lavora. Negli ultimi anni ha realizzato numerose mostre personali e collettive. Tra le più recenti si segnalano: 2016 Quelli che vengono, quelli che vanno, a cura di Marco Bazzini, SpazioBorgogno, Milano; Andrea Aquilanti, Doppio Movimento, a cura di Lucilla Meloni, in occasione della “Carrara Marble weeks” in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Carrara e il Comune di Carrara, ex Ospedale San Giacomo, Carrara. Nel 2015 è presente alla56^ Biennale di Venezia, Padiglione Italia, Codice Italia, a cura di Vincenzo Trione. Nel 2013: Post Classici, La ripresa dell’antico nell’arte contemporanea italiana a cura di Vincenzo Trione, presso il Foro Romano Palatino a Roma e Ritratto di una città #2. Arte a Roma 1960 - 2001 al Macro - Museo d’arte contemporanea di Roma.Nel 2012: Versŭs, video-installazione nella Basilica di Santa Maria in Montesanto, Roma, a cura di Silvia Marsano e Future and Reality, 5 Beijing International Art Biennale, presso National Art Museum of China Pechino, Cina.Nel 2011: Ultimo giro di giostra, video-installazione lungo via Margutta nell’ambito della manifestazione Roma si mette in luce, Roma.Nel 2010: le personali La stanzapresso la galleria Ciocca Arte Contemporanea, Milano; si segnala inoltre la collettiva Contemporary energy. Italian Attitudes, Premio Terna 02 and Utopia IGAV in Shanghai with 28 artists, presso il Shanghai Urban Planning Exhibition Center (SUPEC), Shanghai.

artista: Andrea Aquilanti
titolo: Porta San Gennaro
a cura di: Graziano Menolascina
durata: venerdì 29 marzo 2019 - lunedì 29 aprile 2019
dove: Spazio NEA, via Costantinopoli 53 / piazza Bellini 59 - Napoli
orario: lunedì - domenica dalle 9.00 alle 2.00 am
ingresso: libero
contatti: 081 45 13 58 | info@spazionea.it

mercoledì 20 marzo 2019

L'Arte che Accadrà_III Edizione Premio d’Arte Contemporanea

just lily by Silvia Celeste Calcagno

È ormai un appuntamento fisso nel calendario dell’arte contemporanea. Giovedì 21 marzo scatta la terza edizione de “L’Arte che Accadrà”, il premio dedicato ai migliori talenti italiani che si snoda attraverso un’esposizione all’interno delle sale di Palazzo Fiano, splendido edificio quattrocentesco nel cuore di Roma e sede di Hdrà, gruppo di comunicazione guidato da Mauro Luchetti e Marco Forlani. La rassegna, a cura di Valentina Ciarallo, vedrà quest’anno un percorso espositivo con opere di Silvia Celeste Calcagno, Fabio Giorgi Alberti, Marta Mancini, Giuseppe Pietroniro e Corrado Sassi.

Obiettivo finale dell’iniziativa è quello di sostenere l’arte contemporanea italiana e costruire, anno dopo anno, una collezione permanente del gruppo. L’opera che vincerà il Premio “L’Arte che Accadrà 2019” sarà acquistata da Hdrà e si aggiungerà a quelle di Marco Raparelli e Matteo Nasini, vincitori delle precedenti edizioni. A decidere sarà una giuria composta da tutti i 150 dipendenti, che per due mesi saranno a stretto contatto con le opere d’arte all’interno del loro ambiente lavorativo.

“È una modalità di condivisione e di partecipazione collettiva - spiega Mauro Luchetti, presidente di Hdrà - che ha l’intento di allargare i confini della fruizione di queste forme di espressione a un pubblico eterogeneo, più ampio e meno esperto di chi frequenta abitualmente musei e gallerie, ma certamente altrettanto curioso e ricco di capacità critica. Con questa iniziativa, però, vogliamo anche coinvolgere tutti coloro che fanno parte del nostro gruppo, stimolando un senso di condivisione e di orgoglio aziendale”.

Il vincitore dell’edizione 2019 del Premio “L’Arte che Accadrà”, sulla base dei voti ottenuti, sarà reso noto a fine mostra.


GLI ARTISTI
Silvia Celeste Calcagno presenta il suo lavoro “Just lily” rielaborato per l’occasione e reso site-specific per Palazzo Fiano. Una stanza dei ricordi, un’opera autobiografica che diventa esperienza universale da condividere. Sospensione tra passato e futuro, ripetizione di gesti, memoria come forma dell’esistere, cambiamento, ossessione del ricordo, accumulo emotivo sono alla base del suo linguaggio espressivo che in questo luogo trova nuova dimora. Le immagini, come dei “frame” dell’esistenza, impresse su grès tracciano sulle pareti una seconda pelle. Una tecnica, quella della fotoceramica sperimentale “fireprinting®”, ideata e brevettata dell’artista, dove la fusione tra materia e fotografia diventano un insieme omogeneo attraverso la sublimazione della cottura.

Fabio Giorgi Alberti utilizza vari media come la scultura, la pittura, il disegno, il video, la parola. Per Hdrà, luogo dedicato alla comunicazione, ha realizzato un lavoro site-specific e ha immaginato un percorso tra le parole, poiché il linguaggio è espressione primaria e autobiografica del suo gesto artistico. È affascinato dal processo di interazione tra le differenze e le similitudini in atto tra parlare, leggere, scrivere, vedere, guardare. La ricerca inizia dal suo corpo in connessione con lo spazio così come avviene per la parola: lettere, spazio, corpo, tempo, negazione e affermazione danno, così, inizio a una relazione.Vorrei dire queste parole perché vorrei effettivamente dire queste stesse parole.Il significato rimbalza tra il futuro, l’aspettativa delle parole che si ritiene si stiano per sentire, e il passato delle parole appena dette che erano il presente a cui bisognava prestare attenzione.

Marta Mancini è romana di nascita e di formazione. La sua opera muove dai primi paesaggi oscuri e densi di cromie che prendono corpo in tele di piccole dimensioni, dove il tratto è veloce e le immagini non definite, appena sussurrate. Il disegno si fonde con l’elemento pittorico fino ai nuovi lavori di ampio respiro, acrilici su tela, risultato di un processo intuitivo che rivela una somma, in apparenza casuale, di segni organici dai colori vibrantima che svelano, invece, un dinamismo ragionato attraverso un attento processo di sottrazione. Come fossero micro forme primordiali che diventano macro all’occhio dello spettatore, grazie all’uso sapiente del colore e della forma. “Molle” colorate che si rincorrono e si combinano fra loro fluttuando sulla tela. Un approccio metalinguistico al lavoro, quello dell’artista, che la porta ad una riflessione continua sulla pittura.

Giuseppe Pietroniro, esponente di spicco della sua generazione, parte da un’analisi concettuale della realtà, ricerca che si evidenzia nei vari linguaggi che utilizza, dalla fotografia al disegno, dal collage all’installazione fino alla pittura. L’artista indaga la realtà come forma di illusione cambiando la percezione delle forme e dello spazio. Metalli, vetri, superfici specchianti, materiali semplici che vengono assemblati insieme sempre in modo raffinato. Una ricerca di nuovi orizzonti percettivi attraverso il gioco dell’illusione ottica, pur mantenendo sempre una puntualità e un equilibrio formale che lo contraddistinguono. “Mi interessa creare con poche linee un monumento con una superficie bidimensionale”. Per lo spazio Hdrà saranno esposti in anteprima dei mini-modelli, bozzetti preparatori di grandi installazioni, piccole architetture surreali, l’inizio di nuove forme.

Corrado Sassi, artista multidisciplinare, focalizza la sua ricerca su fotografia, performance, pittura, installazione e disegno su carta. Mezzi di espressione che gli consentono di osservare la realtà e di trasformarla in nuove scenografie, di stampo cinematografico e architettonico, pronte ad accogliere le inquietudini del vivere umano. Con la serie degli arazzi l’artista, attraverso il lavoro artigianale del ricamo con la lana, intreccia e sovrappone fotografie stampate su pvc a elementi figurativi, forme geometriche e astratte. Il tema del viaggio diviene strumento di costante ricerca e individuazione di nuovi spazi architettonici, dove linee contemporanee e geometriche diventano pagine quadrettate su cui appuntare pensieri, parole e citazioni. Una contrapposizione, dunque, in termini concettuali tra immagini e lettere, strettamente legata al mondo pubblicitario e della comunicazione e che trova in questa sede la sua naturale e coerente collocazione, lasciando allo spettatore la libertà ultima di esplorare il suo linguaggio.


Palazzo Fiano, il cui nucleo più antico risale alla seconda metà del XIII secolo, viene ricostruito totalmente nel Quattrocento quale sede dei titolari Cardinali della chiesa San Lorenzo in Lucina. Interessato da vicende particolari nei secoli, come il ritrovamento dei primi resti dell’Ara Pacis durante i lavori di scavo del 1568, il palazzo ritrova il suo splendore intorno alla metà del Seicento diventando proprietà della famiglia Peretti, legata a Papa Sisto V. Alla fine del Seicento passa ai Duchi Ottoboni di Fiano, da cui prende il nome. Nell’Ottocento è noto per essere sede di un teatrino di marionette che attira molti intellettuali e, durante la belle Epoque, si trasforma in teatro Olimpia dedicato agli spettacoli di caffè concerto. Nel 1898 viene venduto al ricco commerciante Edoardo Almagià e dal 1923 al 1990 gli spazi del piano nobile diventano sede del rinomato “Circolo degli scacchi”. Dal 2013 al 2016 il palazzo diventa quartier generale di un partito politico, Forza Italia e oggi sede del gruppo Hdrà. Di grande pregio sono gli affreschi del Salone, nel piano nobile, risalenti alla metà del Seicento dipinti dal francese François Perrier e dall’artista bolognese Giovan Francesco Grimaldi, oggi adibito a salone di rappresentanza. L’iconografia delle immagini rivela il richiamo verso gli elementi dell’aria, dell’acqua, del fuoco e della terra accompagnati dalla presenza di divinità. Ad opera di Perrier sono le scene mitologiche come la nascita di Venere, Cerere davanti a Giove, Cupido dormiente con putti, Cupido bendato. Il maestro italiano si dedica, invece, alla realizzazione dei paesaggi come quello fluviale romano, copia di un dipinto di Annibale Carracci e alla riproduzione di tempeste marine. Due insolite figure di nani fanno capolino dalle volte del soffitto, probabilmente gli autoritratti ironici degli artisti stessi.Ricorrenti la figura del leone rampante e rami con pere e stelle, simboli della famiglia Peretti. La maestosa Sala degli Specchi, ricca di decorazioni, stucchi e lampadari di cristallo, arricchisce il piano nobile. Il duplice affaccio su Piazza San Lorenzo in Lucina e Via del Corso rendono il palazzo magnificamente ubicato nel cuore della città.



III Edizione Premio “L'arte che Accadrà” - Gruppo Hdrà
A cura di: Valentina Ciarallo 
Con la collaborazione di: Silvia Cavalsassi
Sede: Palazzo Fiano, Piazza San Lorenzo in Lucina, 4 Roma 
Inaugurazione: giovedì 21 marzo 2019 – ore 18.30 – 21.00
Apertura: 22 marzo 2019 – 22 maggio 2019 
Orari di visita: su appuntamento
Informazioni mostra: Hdrà tel +39 06 68892401; www.hdra.it
Organizzazione e informazioni artisti: v.ciarallo@giubilarte.it- www.giubilarte.it 

  
pubblica: 

LIVE WORKS Vol.7_Open call


LIVE WORKS Vol.7
6 – 21 Luglio 2019 

un progetto di Centrale Fies art work space

Open call

Scadenza 1 aprile 2019

a cura di Barbara Boninsegna (direttrice artistica di Centrale Fies, Dro)
Simone Frangi (ricercatore e curatore, Milano)Aperte le iscrizioni al bando LIVE WORKS Vol.7

Per il settimo anno consecutivo Centrale Fies art work space presenta LIVE WORKS, piattaforma di ricerca e di produzione dedicata all’approfondimento transdisciplinare della performance. 


9 i progetti selezionati per un periodo di residenza artistica collettiva ospitata dagli spazi di Centrale Fiese strutturata attraverso una free school - dal 6 al 16 Luglio 2019 – e un programma live di presentazione dei progetti al pubblico, in apertura della 39a edizione del Festival di arti performative Drodesera - 19, 20 e 21 Luglio 2019. 

Fino al 1 aprile il bando è aperto a partecipanti di ogni provenienza geografica e senza limiti di età, singoli o gruppi, con pratiche artistiche live di diversa natura: performance, sound and new media art, text-based performance, lecture performance, multimedia storytelling, pratiche coreografiche, pratiche relazionali e progetti workshop-based, e altri progetti che mettono in discussione l’idea di performance al di là del corpo. 

La specificità di LIVE WORKSconsiste in un’attenzione particolare alla ricerca ibrida, con l’intento di sottolineare la natura di “apertura” e fluidità del performativo, la sua implicazione sociale e politica e la sua intelligibilità pubblica. 

La produzione dei progetti performativi in residenza avverrà intrecciando diverse tipologie di curatela, dallo sviluppo tecnico all'accompagnamento teorico, sempre. 

Nelle tre serate live di LIVE WORKS, un board di professionisti internazionali, provenienti da festival, istituzioni, programmi di produzione e residenza e manifestazioni che sostengono e producono la ricerca in ambito performativo, saranno coinvolti attivamente in un confronto con i nove artisti per approfondire alcuni passaggi fondamentali delle performance presentate: 

Christine Eyene (Direttrice artistica della 5°edizione della Biennale Internazionale di Casablanca 2020, Marocco); Elvira Dyangani Ose (Direttrice, The Showroom, London); Ane Rodríguez Armendariz (Direttrice artistica, Tabakalera, International Centre for Contemporary Culture, Donostia/San Sebastián, Spagna); Hicham Khalidi (Direttore, Jan Van Eyck Academie, Maastricht, Paesi Bassi); Ash Bulayev (Direttore, Onassis AiR: (inter)national artistic research residency program, Atene, Grecia); Danjel Andersson (da maggio 2019 Direttore di Dansehallerne, Copenaghen, Danimarca).

Concepito come un organismo in evoluzione, LIVE WORKS diventa ogni anno più aderente alla filosofia di chi l'ha ideato: non un semplice evento annuale ma una piattaforma continua, animata da una politica reale di curatela, nutrimento, sostegno e diffusione di quelle pratiche artistiche emergenti che creano nuovi scenari e ampliano la ricerca nel campo del performativo.

staff tecnico di Centrale Fies
Produzione Stefania Santoni e Maria Chemello
Comunicazione Virginia Sommadossi

Ufficio Stampa Unpress
Chiara Ciucci Giuliani 

info

contatti
liveworks@centralefies.it
unpress@centralefies.it
Centrale Fies, Località Fies 1- Dro (TN), Italia


martedì 19 marzo 2019

Milena Rossignoli. Limiti di curvatura


Il limite di curvatura è l’istante prima della rottura, una tensione in bilico tra il massimo potenziale e la lacerazione, fisica ed emotiva. Il processo di Milena Rossignoli è fortemente legato all’intuizione, come atto di resistenza ai filtri della logica durante l’apprendimento. Indaga la dilatazione e la contrazione dello spazio attraverso il rapporto con la luce, il vuoto e la sua stessa presenza nell’ambiente.

Dopo aver costruito una relazione personale con il luogo ne porta via delle tracce utilizzando la tecnica dello strappo su pavimenti, pareti o finestre, dando vita a tele dalle geometrie instabili in cui è impresso il pattern della superficie.  Ogni calco è uno strato di pelle in cemento, un frammento di territorio che contiene il dna dell’intero organismo. Un archivio di impronte digitali di stanze anonime, piani bidimensionali che possono essere scomposti e assemblati altrove in un inconsapevole tentativo di ricostruire un nido. La cifra installativa di Milena ricerca l’altezza, la sospensione e il non finito, come simboli di un cerchio concettuale che non può mai chiudersi. La forma quindi anticipa e diventa l’esperienza, un catalogo di variazioni di identità in cui cambiando l’ordine dei fattori il risultato non è mai lo stesso. Non solo tela e cemento, ma carte traslucide, legno e materiali da costruzione sono spinti all’estremo delle loro potenzialità di torsione e piegamento attraverso il vapore, il tempo, l’usura e la gravità. Svincolati dalla loro funzione originale diventano la base di un linguaggio compositivo privo di regole prefissate, che parla allo spettatore nel suo essere qui e ora, variando significato e significante a seconda delle condizioni ambientali. Un paradosso linguistico dovuto alla necessità di instaurare un legame intimo e paraverbale tra il contenitore fisico ed il contenuto umano. Le stoffe ed i materiali sono dei moduli universali, pesanti come un saio, fragili o diafani, che si trasformano di volta in volta in sculture o installazioni, in un decostruttivismo architettonico estremo e incapace per scelta di arrivare ad una forma fissa e definitiva. Una sintesi che si spinge fino al simbolismo arcaico, in cui l’inconscio e l’istinto sono le unità di misura dello spazio. In Limiti di curvatura i tre ambienti della galleria saranno un percorso verso l’alto, un processo di resistenza all’aria. Nel primo una curva diafana modificherà l’architettura interna attraverso la luce. Nella seconda sala grosse tele – in origine pavimenti – si alzeranno dal suolo inarcandosi, in opposizione alla gravità. Infine l’altezza: “Resistenza I”: una struttura ispirata agli aquiloni del periodo Edo, considerati oggetti sacri e punto di contatto fra Terra e Cosmo. Nella cultura giapponese la forma stessa del Tako esprime un concetto, la mano dell’uomo lo guida attraverso il vento, unica forza in grado di governare tutti gli altri elementi. In questa costruzione, la potenza estetica del filo impercettibile che congiunge le due estremità è forse la sintesi più forte della ricerca di Milena Rossignoli. 
Le sue opere sono luoghi di passaggio in cui l’accettazione dell’incompiutezza è la vera forza evolutiva.

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The limit of curvature is the instant prior to the breakage; pure tension suspended between maximum potential and immediate tear, both physical and emotional. The creative process of Milena Rossignoli heavily relies on intuition, as an act of resistance to the logical filters generated by knowledge. An investigation on the contraction and expansion of physical space in relation to light, vacuum and her own presence in the setting.

After building a relationship with the place, Milena tears away traces of it from the floor, walls or windows giving life to geometrically instable canvases showing the imprinted pattern of the architectural surface. Each cast is a concrete layer of skin, like a fragment of land containing the entire DNA of the organism.  A fingerprint database of anonymous rooms, two-dimensional plans which can be broken down and re assembled in an unconscious attempt to rebuild a primordial nest. 
The artistic language of Milena focuses on height, suspension and incompleteness as symbols of a conceptual circumference that can never be closed.  So the form precedes everything and becomes the experience, a catalogue of identity variations in which the result is never the same when changing the arrangement of factors. Not only canvas and concrete but translucent papers, wood and building materials are pushed to their bending and torsional limits using steam, time, wear and gravity. Free from their original function, they become the basis of a compositional language with no rules. Talking to the viewer, here and now, they change significance and significant according to external conditions.
A linguistic paradox caused by the will to establish an intimate and nonverbal connection between the physical container and the human content. Fabric and material are like universal modules, heavy as habits, fragile and diaphanous, that turn into sculptures or curtains in an extreme, architectonic deconstructivism; unable, by choice, to reach its final shape.  An aesthetic synthesis pushed to an archaic symbolism in which instinct and subconscious are the unit of measurement for space.  In the show Limiti di curvatura the three rooms of the gallery will create an upward path, in resistance to the atmosphere. In the first one a pale curve will change the architecture playing with the light. In the second, big canvases – which used to be floors – will raise arching their frames in opposition to gravity. Just to arrive to Resistenza I: a structure inspired by Edo-period kites, considered the sacred link between the Earth and the Cosmos. 
In the Japanese culture the form itself of the Tako is a concept and the hand of man drives it through the wind, the only force able to overcome all the other elements. In this construction, the aesthetic value of the imperceptible rope that links its two ends is perhaps the highest synthesis of Milena Rossignoli’s research.
Her artworks are transitory places in balance between lightness and tension in which the acceptance of incompleteness is the real evolutionary force.


Milena Rossignoli
Limiti di curvatura
23 marzo - 25 maggio 2019
opening 23 marzo h 18:30

White Noise Gallery
via della Seggiola 9, 00186 Rome, Italy

venerdì 15 marzo 2019

Danilo Bucchi. Paesaggio sospettato


Danilo Bucchi. Paesaggio sospettato
installazione site-specific per la quinta edizione di Skin Taste

Skin Taste è il progetto a cura di Adriana Rispoli, giunto alla quinta edizione, che dal 2013 dona alla facciata di oltre 250 metri quadrati del Porto Fluviale di Roma un volto nuovo, assegnando ogni anno a un artista il compito di creare una grande opera site-specific in carta da manifesto, che coinvolga il pubblico in transito davanti all’edificio con un messaggio artistico e non pubblicitario.

Skin Taste ha come finalità la riqualificazione estetica dell’area metropolitana e la volontà di fondare unnuovo incubatore di creatività, con la missione specifica di generare una sinergia tra mondi non poi cosìdistanti come l’arte e l’enogastronomia.

Il Porto Fluviale, attualmente ristorante ma anche salotto e luogo di incontro, occupa gli spazi di un capannonedegli anni Cinquanta, adibito nel corso degli anni a opificio, magazzino e deposito, tra Trastevere, Piramide e Testaccio, zona oggetto di un intenso fenomeno di rigenerazione urbana nell’ultima decade.

Dopo Mariangela Levita, Flavio Favelli, Giuseppe Stampone, Igor Grubic|Raffaela Mariniello, quest’anno l’interpretazione della “pelle” dell’ex opificio è stata affidata all’artista romano Danilo Bucchi, noto per la maestria dei suoi interventi urbani di grandi dimensioni, con l’opera Paesaggio Sospettato.

Con un segno pittorico a primo sguardo astratto ma denso di narrazioni silenziose, Bucchi in Paesaggio Sospettato ci introduce in una dimensione “altra”, in cui una figurazione appena accennata parladirettamente all’inconscio dello spettatore. Come in uno screen play surrealistico, i sei pannelli - indipendenti e sciolti da una lettura spazio-temporale - sembrano restituire un intimo flusso di coscienza. Inun’alternanza di piani, ominidi iconici del linguaggio dell’artista, assimilabili alla tradizione novecentescadell’automatismo psichico, abitano un “paesaggio” intervallato da violenti tocchi di rosso e puntellati daaccenni alla vita domestica. Apparentemente ludico ma a tratti inquietante, il lavoro di Danilo Bucchi èinsieme onirico e realistico concedendo allo spettatore il potere dell’interpretazione e magari dell’immedesimazione.

Come scrive Achille Bonito Oliva, Bucchi non vola svincolato nella verità della materia, egli non vuole trasformare l’arte in una pratica che cancella la gravità fisica del mondo... vuole potenziarlo mediante la fondazione di un metodo reale, figurabile, capace di estrarre un segno, formalizzando e circoscrivendo nel recinto di una forma necessaria l’oscuro peso del colore.

Danilo Bucchi (Roma,1978) compie i suoi studi a Roma, dove frequenta l’Accademia di Belle Arti concentrandosi sulle tecniche del disegno, della pittura e della fotografia. L’artista dimostra fin dagli esordi una severa determinazione nel radicare il suo linguaggio in un universo di segni che rimanda alla tradizione dell’astrazione europea delle prime avanguardie, con l’ausilio di tecniche e supporti fortemente tecnologici. Comincia ad esporre nel 2003, partecipando a mostre internazionali in città come Bucarest (Bulgaria (City Art Gallery di Varna 2013 2014), Costanza (Singapore (Partners & Mucciaccia Gallery), Atene (True Lies_Copelouzos Art Museum_2012), New York (MET Metropolitan Museum of Art Cairo (10°Biannele Internazionele, 2006), Parigi (Istituto di Cultura Italiano, 2007), Buenos Aires (Museod’Arte Contemporanea di Buenos Aires, 2005), Baku (Ambasciata d’Italia, 2004) e Amsterdam (Supper Club, 2003). Palazzo del Parlamento 2016), Sofia (SAMCA 2016), Museo di Archeologia 2014), 2010), Pechino (798 art discrict 2008) e Il Tra le principali mostre personali si ricordano quelle a: Contemporary Art Society (2008, Roma); Museo del Risorgimento (2011, Bologna); Palazzo Collicola Arti Visive (2011, Spoleto); Museo Laboratorio Arte Contemporanea (2011, Roma); Galleria Poggiali e Forconi (2015, Firenze); Galleria Il Ponte Contemporanea (2016, Roma). Tra il 2014 e il 2015 Danilo Bucchi è invitato a realizzare tre grandi progetti di riqualificazione urbana: Il paese dei balocchi (2014 Roma) l’opera permanente presente al MAAM; Assolo (2015, Roma) per Big City Life a Tor Marancia con il quale partecipa poi alla Biennale di Venezia (15° Mostra di Architettura Padiglione Italia); Minotauro (2015, Catania) per Emergenze Festival. Il 2017 è segnato dalla mostra personale Lunar Black al MACRO di Roma, a cura di Achille Bonito Oliva. 

La quinta edizione di Skin Taste è realizzata con il supporto di Caffè Mogi



SCHEDA INFORMATIVA
Evento: Skin Taste #5 | Danilo Bucchi. Paesaggio sospettato
Curatrice: Adriana Rispoli
20 febbraio – 30 aprile 2019
Sede: PortoFluviale, via del Porto Fluviale 22, 00154 Roma
Informazioni: Doriana Torriero, 335- 6048665, portofluviale.com


giovedì 14 marzo 2019

Henni Alftan

Photo: Filippo Armellin


Come per Bertrand Morane, il protagonista del film di François Truffaut “L’uomo che amava le donne” - che si innamorava se affascinato da un solo dettaglio femminile - Alftan trasforma le peculiarità raccolte nel reale negli elementi fondanti con i quali costruire il suo delicato immaginario pittorico. Ne scaturisce uno “storyboard” in continua evoluzione che si sviluppa tavola dopo tavola: un’intima visione del quotidiano che si compone mescolando ricordo, immaginazione e vissuto dell'autore. 

Utilizzando una stesura grafica, compiuta tramite l’utilizzo di pennellate piatte e colori densi, Alftan costruisce un inventario di piccoli particolari fissando su tela il momento in cui il suo sguardo entra in connessione con quello dell’osservatore, stimolandone inevitabilmente anche il suo alfabeto mnemonico. La sua quotidianità è bagnata da una luce opaca che dipanandosi proietta ombre nette, descrivendo una realtà molto prossima al close-up di un sogno o di una finzione elaborata e liberata dalla sua mente. 

Nello studio dell'artista non esistono immagini fotografiche da cui prendere ispirazione: tutto nasce da astratte annotazioni mentali che ogni giorno Alftan cerca di riprodurre nella maniera più sintetica ed evocativa; mani impegnate alla definizione di un’azione, oggetti o profili umani dai quali fare emergere, tramite l’esclusiva gestione del colore, alcune caratteristiche “elette” come degli occhiali o delle gocce di sudore. Le proporzioni si articolano nel perimetro della tela, cogliendo solo il necessario e determinando un linguaggio pittorico che punta non alla mera rappresentazione ma alla celebrazione di un mondo altro. 

In fondo come amava ripetere Duchamp, la qualità fisica e poetica della pittura è quella di fissare l'apparizione di un'apparenza.

Like Bertrand Morane, the protagonist in François Truffaut’s film The Man Who Loved Women – a character who falls in love if attracted by a single detail of a woman – Alftan transforms the peculiarities gathered within reality into the foundational elements she uses to construct her delicate pictorial imaginary. From them she crafts a “storyboard” in continuous evolution, developing from canvas to canvas: an intimate vision of the everyday composed through the blending of the artist's memory, imagination and experience. 

Employing a hand-drawn graphic style, created through the use of flat brushstrokes and dense colors, Alftan constructs an inventory of small particularities, depicting on the canvas that moment in which her gaze forms a connection with that of the observer, inevitably also stimulating their mnemonic alphabet. Her use of the everyday glows under an opaque light that, unravelling, projects clear shadows, describing a reality very similar to the close-up of a dream or an elaborate fiction liberated from her mind. 

In the artist’s studio there are no photographic images from which to take inspiration: everything is born from abstract mental annotations that each day Alftan attempts to reproduce in the most synthetic and evocative way possible; hands busy defining an action, objects or human profiles from which, solely through the manipulation of color, emerge some “elect” characteristics like glasses or drops of sweat. The proportions articulate themselves on the perimeter of the canvas, forming only that which is necessary and determining a pictorial language that strives not only for representation but for the celebration of another world.

As Duchamp used to repeat, the physical and poetic quality of the painting is to fix the apparition of an appearance.

Henni Alftan
Helsinki, 1979 - lives and works in Paris

Studies
2001 - 2004 Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts de Paris, DNSAP (MFA)
2001 Exchange student at The Edinburgh College of Art
1998 - 2001 Ecole Pilote Internationale d′Art et de Recherche de la Villa Arson, DNAP (BFA)

Selected Solo and Duo Exhibition: 2018 Horizon, TM-Galleria, Helsinki; 2017 One Sweet Moment, Galerie Claire Gastaud, Clermont-Ferrand, Shadows in the Mirror, Z Gallery Arts, Vancouver; 2016 The Missing Picture, Galleria Sculptor, Helsinki, Entrevu, Iconoscope, Montpellier; 2015, Galerie Claire Gastaud, Grand Palais, Paris, Enlighten, Forum Box Monttu, Helsinki; 2014 Henni Alftan, Galerie Claire Gastaud, Clermont-Ferrand; 2013 Henni Alftan, Galerie Anhava Studio, Helsinki; 2012 Série noire, Galleria Huuto Viiskulma, Helsinki

Selected Group Show: 2018 A Desired World - contemporary drawings, Galerie Claire Gastaud, Clermont-Ferrand, The Vexi Salmi Collection, Kajaani Art Museum, Kajaani, Rêver deux printemps, Galerie Detais, Paris, People in Focus, works from the Heino foundation collection, Kuntsi Museum of Modern Art, Vaasa, J'aime, Galerie Henri Chartier, Lyon; 2017 Color and Form - works from the Vexi Salmi collection, Hämeenlinna Art Museum, Finland, Les retrouvailles, Musée des beaux-arts de Brest, France, Peindre, dit-elle-Chap.2, Musée des Beaux-arts de Dole, France; 2016 J'ai des doutes, est-ce que vous en avez?, Galerie Claire Gastaud, Clermont-Ferrand, Virus, galleria Lapinlahti, Helsinki; 2015 Open Studios, International Studio & Curatorial Program, Brooklyn, New York, Cinematic Senses, Exhibition Laboratory, Helsinki, Collection 6, Galerie Claire Gastaud, Clermont-Ferrand, Shift In The Shadows; works from the collection, Amos Anderson Art Museum, Helsinki


Henni Alftan 
22_02_2019 > 25_03_2019

Via Alessandro Tadino 20, 20124 Milano 
mob: +39 347 5575910 
info@studioloproject.com